Ferruccio Pinotti; Massimo Sideri, Sette 8/2/2013, 8 febbraio 2013
C’È UN PATTO SCELLERATO TRA BANCHE E POLITICI NELLA BOMBA DERIVATI
Il disastro finanziario di Mps ha riportato l’attenzione sui derivati, prodotti ad alto rischio di cui non solo banche e imprese si sono nutrite in questi anni: ne hanno fatto incetta molte amministrazioni comunali e regionali, che si sono ritrovate in corpo veri e propri bocconi avvelenati, tossici per i bilanci degli enti.
I cittadini non sono a conoscenza del fatto che silenziosamente - tramite accordi con l’obbligo di riservatezza stipulati con le stesse banche corresponsabili - importanti enti locali, come i Comuni di Roma e Verona e la Regione Lazio, stanno negoziando alla chetichella l’uscita dalla trappola dei derivati senza rendere conto degli enormi danni comunque provocati alle finanze pubbliche.
Come Sette ha avuto modo di scoprire attraverso documenti finora mai pubblicati, solo nel caso della Regione Lazio i magistrati avevano quantificato in 82,8 milioni di euro il danno iniziale causato dai costi occulti di diversi prodotti derivati, venduti dalle banche ai tempi di Piero Badaloni (1995-2000) e, soprattutto, Francesco Storace (2000-2005). Un buco che, nel frattempo, potrebbe anche essere peggiorato visto che la complessa architettura dei prodotti strutturati fa sì che le perdite si muovano con i tassi di interesse. La lista degli istituti coinvolti in questo caso è lunga e va dalle americane JP Morgan e Merrill Lynch a Unicredit e Bnl. Ma è probabile che la sentenza di Milano (con cui il tribunale nel 2012 ha condannato le banche che avevano venduto derivati al Comune di Milano, giunta Albertini) abbia avuto un ruolo nella attuale corsa alle transazioni.
Il caso Roma. Già Deutsche Bank, Ubs e Citigroup hanno chiuso la partita con la Regione Lazio tramite un accordo extragiudiziale. La giunta Polverini sta inoltre trattando anche con gli altri istituti. In questo caso gli enti incassano, ma è improbabile che le transazioni possano coprire le perdite già quantificate dai magistrati. Senza contare che non è chiaro quanto i rischi sottostanti siano stati effettivamente sterilizzati.
Peraltro anche il Comune di Roma ha chiuso, in gran segreto, 7 dei 9 derivati da 3,2 miliardi rinegoziati in gran parte tra il giugno 2007 e il febbraio 2008 dall’allora sindaco Walter Veltroni e dall’assessore al bilancio della capitale, Marco Causi. In questo caso la partita era stata sfilata al sindaco Gianni Alemanno e affidata al Commissario Massimo Varazzani, uomo di fiducia di Giulio Tremonti, mandato nel 2010 anche a sistemare i conti di Fintecna. Il quale a Sette rivela: «Il meccanismo dei derivati nei bilanci pubblici ha una evidente finalità: si copre il buco e lo si rinvia con un pagamento a rate».
E, in effetti, alcune delle operazioni del Comune di Roma vennero effettuate proprio pochi mesi prima del cambio di governo della città. «Per questo motivo», aggiunge Varazzani, «ho preferito chiudere sei contratti nel 2011, e l’ultimo pochi mesi fa, facendo risparmiare ai cittadini 200 milioni di euro di costi prospettici se calcolati in quel momento».
Tra i derivati chiusi anche quello più noto relativo al Colosseo bond da 1,4 miliardi. Il buco, nel caso dei derivati della capitale, aveva raggiunto anche i 100 milioni, riducendosi poi fino quasi ad azzerarsi in ragione dell’andamento del mercato, a dimostrazione dell’aleatorietà di questi prodotti. «Restano due prodotti con banche di Intesa Sanpaolo: su uno stiamo perdendo ma sull’altro il cosiddetto mark to market (il meccanismo di calcolo usato per quantificare la perdita potenziale a un dato momento, ndr) è positivo anche se non si azzerano reciprocamente», spiega Varazzani. Pulizia quasi fatta, dunque. Ma sapere quanto l’operazione derivati sia costata ai romani è una missione impossibile, aiutata dalla complessità dei prodotti in questione. Com’è ormai chiaro, i derivati non hanno colore politico né geografico. Dalle giunte del centrosinistra a quelle del centrodestra, nessuno è riuscito a resistere alla sirena delle banche che promettevano di poter rinviare il problema al prossimo sindaco. A spese, è chiaro, di noi cittadini. Dove non arrivò Garibaldi pare sia arrivato il derivato, diffuso in tutte le regioni, dal Nord alla Puglia, dove il governatore Nichi Vendola ha chiuso una transazione secretata del valore economico di 200 milioni con Merrill Lynch, senza annullare il contratto che è stato, però, sterilizzato dai rischi. Nelle casse della Regione sono entrati 10 milioni.
Il caso Verona. Il nodo derivati sta esplodendo anche nella ricca Verona: come nella Roma di Veltroni, un’amministrazione di centrosinistra, quella guidata dal cattolico Paolo Zanotto (figlio del banchiere Giorgio, a lungo presidente del Banco Popolare) ha negoziato il 5 aprile 2007 (l’ultima fase dell’amministrazione Zanotto, a due passi dalle elezioni del 25-26 maggio) una montagna di derivati con l’obiettivo di ristrutturare il proprio debito coprendosi in teoria dai rischi: un derivato da 256,8 milioni di cui l’83%, cioè 213,8 milioni, con Merrill Lynch, e il resto con Unicredit. Ora la giunta leghista di Flavio Tosi vuole liberarsene. Tre anni fa, però, Merrill Lynch, vista l’inerzia del Comune, ha citato in giudizio l’ente scaligero al foro di Londra, chiedendo alla corte di certificare che la banca si fosse comportata correttamente. Il Comune si è difeso, cercando di dimostrare che Merrill Lynch avrebbe applicato commissioni occulte, nello stipulare il contratto (l’assessore al bilancio era Giancarlo Frigo). Verona ha contestato alla banca costi indebiti che avrebbe subìto nell’operazione, mentre non risulta che sia stata contestata la mancata convenienza economica della ristrutturazione del debito. Alla Corte di Londra, però, una prima sentenza ha dato ragione a Merrill Lynch e il Comune di Verona dovrebbe versare 280mila euro.
La strategia del Comune è di venirne fuori a costo zero, come spiega il sindaco Flavio Tosi. «A Unicredit, con cui abbiamo sottoscritto la quota minore di derivati, abbiamo chiesto di comporre la questione senza arrivare a estreme conseguenze, tenendo conto dei rapporti che intercorrono fra il Comune e l’istituto di credito, legato al nostro territorio», dice il sindaco rilevando, invece, che con Merrill Lynch la situazione è tesa: «Qui il rapporto buono non c’è e quindi, tanto più alla luce della sentenza delle scorse settimane, stiamo pensando di procedere con una denuncia penale, agendo in autotutela per la parte dei derivati relativa agli swap», spiega Tosi.
La causa civile sarebbe un passo ulteriore, ovviamente carico di rischi, ma al tempo stesso un indicatore di come Tosi e la sua giunta vogliano procedere. «La denuncia penale che intendiamo portare avanti si fonda sul fatto che all’amministrazione non erano stati comunicati gli effetti pesantemente negativi che potrebbero sorgere dall’utilizzo di questi derivati», conclude il sindaco, «e quindi vogliamo uscirne il prima possibile. Noi un contratto sui derivati non lo avremmo mai fatto. Avremmo usato la Cassa depositi e prestiti. Siamo decisi a dare battaglia».
Altro caso spinoso. Il Piemonte, nell’agosto 2012, ha chiesto 168 milioni a Intesa, Merrill Lynch e Dexia. L’8 novembre 2012 è iniziato il giudizio di merito promosso dalle banche contro l’annullamento da parte della giunta piemontese delle delibere con cui la Regione aveva sottoscritto cinque contratti derivati, collegati al prestito obbligazionario da 1,85 miliardi emesso nel 2006. Se le banche chiedono che venga riconosciuta la validità dei derivati, la Regione, in forza del loro annullamento, ha chiesto al Tar che le vengano riconosciuti gli interessi e le quote di ammortamento fino a ora versate in forza dei contratti. «Abbiamo chiesto la restituzione di circa 168 milioni di euro», ha spiegato l’avvocato Tommaso Iaquinta, legale della Regione Piemonte e di diversi Comuni nella guerra ingaggiata dagli enti locali.
Responsabilità politiche bipartisan. Nicola Benini, presidente di Ifa Consulting, società di consulenza indipendente che ha aiutato molti enti locali a uscire dalla trappola derivati – ha guidato la Regione Puglia nella maxi transazione relativa a 870 milioni di euro di derivati con Merrill Lynch e Bank of America – rivela: «Esistono mediatori che contattano politici e amministratori locali per conto dei collocatori dei prodotti finanziari. È lì che volano le tangenti, che girano i grossi soldi, con un patto perverso tra finanza e politica. Soggetti che favorivano i contatti tra enti e banche, per concludere operazioni in derivati anche per centinaia di milioni di euro di controvalore». Mancano poi i controlli: «La Consob è spesso carente, anche se tecnicamente non carente. Bankitalia, in quanto istituto partecipato e controllato da banche private, è in conflitto di interessi e non interviene efficacemente. Servono invece authority indipendenti, che intervengano con forza. In Inghilterra la vendita di derivati agli enti locali è vietata da molto tempo, ma le loro banche hanno fatto affari da noi».
Per Pietro Maria Tantalo, partner di Nctm e – con l’ex ragioniere dello Stato, Andrea Monorchio – fondatore di Mtm, società di consulenza sui derivati agli enti locali, è difficile capire se ci sia un legame tra Milano e le operazioni di bonifica in corso: «Quella di Milano è solo la sentenza di primo grado e i risultati potrebbero venire ribaltati nei gradi successivi». In Italia non sarebbe una novità. Di chi è la responsabilità politica di una situazione così grave? Gli strumenti finanziari arrivano nei bilanci di enti pubblici grazie a due finanziarie: quella del 1997 e quella del 2002. La prima, governo Prodi, autorizza «Cassa depositi e prestiti ed enti pubblici economici» all’uso di «operazioni di swap per ristrutturare il debito pubblico». La seconda, del governo Berlusconi, autorizza «Comuni, Province e Regioni» a «emettere titoli obbligazionari e contrarre mutui bancari con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza, previa costituzione di un fondo di ammortamento del debito o previa conclusione di swap». L’operazione consisteva nel trasformare i mutui degli enti in emissioni di bond con derivati sui tassi. Il potenziale affare era di oltre
300mila miliardi di lire. Una torta gigantesca, che ha scatenato colossali appetiti.
Solo con la manovra d’estate del 2008, quando ormai era già esploso il caso Milano, Tremonti ha fatto dietrofront, impedendo agli enti locali di comprare nuovi derivati. Ma ormai la frittata era fatta: «Da 4 anni manca il regolamento che avrebbe dovuto disciplinare la materia e prevedere i criteri di trasparenza sui rischi», prosegue Benini. Le perdite degli enti locali, spiegano da Ifa Consulting, non sono nemmeno stimabili: «Le stime di Bankitalia parlano di 206 Comuni, Province e Regioni che hanno ancora in essere operazioni di derivati, per una cifra superiore agli 11 miliardi su cui è maturata una perdita potenziale di 6,2 miliardi. Ma si tratta di cifre che tengono conto solo di alcuni strumenti negoziati con controparti italiane e non con quelle estere, quindi andrebbero moltiplicate anche per 10».
Il Tesoro e le Poste coi derivati. Il paradosso è che anche il Tesoro, a inizio 2012, ha chiuso con un assegno da 2,6 miliardi uno sfortunato swap sottoscritto nel 1994 con Morgan Stanley: cifre che sono più del 10% dei soldi incassati con l’Imu. Le Poste, detenute al 100% dal Tesoro, hanno invece raggiunto un accordo riservato con JP Morgan.
I cittadini sapranno mai tutta la verità sui danni e sui reali costi di queste transazioni?
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