VARIE 8/2/2013, 8 febbraio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - L’ULTIMO GIORNO DI SONDAGGI
DALLA STAMPA DI STAMATTINA
Il giorno dopo il dietrofront dell’Agcom che vieta la diffusione dei sondaggi elettorali via telefonino la società Swg valuta azioni legali. Ma la decisione dell’Autorità per le comunicazioni è chiara: «È vietato non solo rendere pubblici, ma comunque diffondere i risultati di sondaggi demoscopici sull’esito delle elezioni e sugli orientamenti politici e di voto. La norma dunque non fa alcun riferimento alla piattaforma trasmissiva attraverso la quale avviene la diffusione». Quindi smartphone, social network come Facebook e Twitter, d’ora in poi sono trattati alla stregua degli strumenti tradizionali di comunicazione di massa (radio e tv) e sottoposti alle regole della par condicio. Blogger e sondaggisti sono avvertiti: in caso di divulgazione sono previste pesanti sanzioni amministrative.
L’Agenzia è in forte imbarazzo. Venti giorni fa i suoi uffici avevano autorizzato la «app» per telefonini dell’Swg. Il Consiglio dell’Agcom nel frattempo s’è reso conto che lo smartphone ormai non è più un semplice telefonino e che l’interazione con i social network garantiva che tutti avrebbero conosciuto istantaneamente i risultati dei sondaggi in barba alla legge. «Inevitabili gli effetti di diffusione incontrollata dell’informazione», e ciò è vietato dalla legge sulla par condicio
REPUBBLICA.IT
VERCELLI - Pierluigi Bersani non è preoccupato dai risultati dei sondaggi sulla campagna elettorale pubblicati da tutti i giornali che danno in rimonta il Cavaliere (e dalla mezzanotte di oggi scatta il divieto di pubblicare le rilevazioni sui mass media). Definisce "un boomerang" le proposte shock di Berlusconi e si impegna ad affrontare subito la questione del conflitto di interessi.
La due giorni in Piemonte del segretario Pd parte da Borgosesia, in provincia di Vercelli. Dalla cittadina, importante polo tessile-laniero (qui furono intessute le ’giubbe rosse’ indossate dai garibaldini), il leader democratico commenta i risultati dei sondaggi sulla campagna elettorale che campeggiano su tutti i giornali: "Sono contento. E’ chiaro che la destra cerca di chiamare a raccolta un pezzo di quelli che l’hanno abbandonata ma si vede la tendenza di fondo che è positiva e ho grandissima fiducia". "Io non ho mai sottovalutato la destra - aggiunge- tuttavia vedo che questa volta c’è la possibilità di un cambiamento".
Sul tema delle alleanze intanto arrivano le parole di Antonio Ingroia da Genova: "Possiamo offire al Pd i nostri voti al Senato per fare un Governo di centrosinistra senza Monti, su questo si potrebbe aprire un confronto. Vediamo dopo le elezioni, parlarne prima è inutile". Il leader di Rivoluzione Civile conclude con una fosca previsione: "è possibile che si torni al voto tra sei mesi", qualora il centrosinistra non raggiunga una maggioranza a Palazzo Madama.
Bersani non teme le proposte di Berlusconi perché, secondo lui, gli si ritorceranno contro: "Spero che ne faccia altre - commenta - mi pare che alla fine funzionino come dei boomerang. Ci vuole rispetto per gli italiani, che sono persone intelligenti - ha aggiunto Bersani - credo che queste boutade dell’ultimo momento, queste sparate propagandistiche, non siano gradite in questo momento agli italiani perchè i problemi sono seri e quindi pretendono serietà". "Io terrò questo profilo in campagna elettorale - ha concluso - e sono sicuro che porterà bene".
Rispondendo poi all’appello di Articolo 21 sulla libertà di informazione, assicura che "il conflitto di interessi sarà una delle prime leggi che porterò all’approvazione del nuovo Parlamento ed è mia intenzione far entrare l’Italia in Europa anche in materia di normative antitrust e di autonomia del servizio pubblico".
In un’intervista all’agenzia parlamentare Vista, Bersani torna sul voto utile, garantisce che il patto con Vendola "non è in pericolo" e conferma la possibilità di un confronto sulle alleanze. Sull’Imu spiega che "’con la nostra proposta esentiamo le fasce deboli e togliamo l’Imu, credo, al 90% delle prime case e invece carichiamo sui grandi patrimoni immobiliari. Questa è una proposta che sta in piedi".
(08 febbraio 2013)
LA REPUBBLICA.IT - ILVO DIAMANTI
LA DISTANZA fra gli schieramenti principali si fa stretta. Questa settimana più delle precedenti. Il centrosinistra è sempre davanti, come accade da mesi. Ma il centrodestra si è avvicinato. Il margine che divide le due coalizioni principali si è ridotto a 5 punti e mezzo. Non poco. Ma un mese fa il distacco era più che doppio. E dieci giorni fa sfiorava i 10 punti. A due settimane dal voto, dunque, il sondaggio dell’Atlante Politico di Demos presenta una competizione più aperta di quel che, solo in gennaio, si sarebbe potuto immaginare. Questo avvicinamento è il prodotto di tendenze simmetriche. Il calo del centrosinistra - e soprattutto del Pd. La crescita del centrodestra e del Pdl. Circa un punto e mezzo in più per il Pdl - per la prima volta, dopo mesi, sopra il 20% - e tre in meno per il Pd - per la prima volta sotto il 30% da mesi - hanno ridotto il divario fra le coalizioni principali di oltre 4 punti.
Queste tendenze riflettono ragioni difficili da misurare distintamente. Lo scandalo Mps ha, sicuramente, creato un clima sfavorevole al Pd. Ha associato l’immagine del centrosinistra al dissesto di una Banca simbolo dell’area rossa. In tempi in cui le banche appaiono simboli (negativi) delle difficoltà incontrate dai cittadini e dalle imprese. Il centrodestra, invece, beneficia del protagonismo di Berlusconi. Le sue "proposte choc": non sono credibili. Ma, paradossalmente, anche per questo viene preso sul serio, da alcune componenti di elettori. Perché il Cavaliere è "irresponsabile". Disposto a tutto, pur di vincere le elezioni. Governare, si sa, è un’altra storia. Ma domani è un altro giorno. Si vedrà. Intanto, è da una settimana che si discute di Mps e di rimborso dell’Imu. Con l’effetto di generare un clima d’opinione sfavorevole al centrosinistra. E di "scongelare" gli elettori indecisi. Negli ultimi giorni si sono ridotti di oltre 5 punti. Oggi sono intorno al 25%. Si tratta, principalmente, di elettori delusi, che, in parte, stanno "tornando a casa" (Berlusconi).
Difficile non rivedere l’ombra del 2006. La rimonta di Berlusconi, proprio nelle ultime settimane prima del voto. Eppure le differenze, rispetto ad allora, sono evidenti. Nel 2006 si confrontavano due coalizioni che aggregavano praticamente tutti i partiti. Grandi, piccoli e piccolissimi. I due candidati premier disponevano di un buon livello di consenso. Prodi intorno a 40%. L’inseguitore, Berlusconi, al 36%. Oggi Bersani sfiora il 46% (in calo rispetto alla rilevazione più recente). Ma Berlusconi è poco sopra il 24%. Pochino, per chi divide il Paese, da vent’anni.
L’avvicinamento, dunque, non dipende dal ritrovato appeal del Cavaliere. Né dalla ripresa del Pdl. Il quale, nell’ultimo mese, ha aumentato la sua base elettorale. Ma supera appena il 20%. Circa metà rispetto al 2008, ma anche rispetto al 2006. Il Pd è intorno al 30%. Sotto di 3 punti rispetto al 2008. Insieme, Pd e Pdl superano di poco il 50%. E le due coalizioni principali il 60%. Insomma: questo sistema non è bipartitico (come tentò di fare Veltroni, nel 2008) ma neppure bipolare, come invece è sempre stato dal 1994, dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi.
Oggi vi sono almeno due altri concorrenti, che non hanno possibilità di vittoria, ma sono in grado di complicare il gioco. E, comunque, di svolgere un ruolo importante nel prossimo Parlamento.
Monti e la sua coalizione di Centro, in lieve calo, superano, comunque, il 16%. Soprattutto al Senato, è difficile pensare a una maggioranza, senza un accordo con il Professore. Il quale, proprio per questo, marca i confini a sinistra. Polemizza con Bersani. Gli chiede di smarcarsi da Vendola. Per non perdere consensi ed elettori a destra. Per segnare il perimetro del suo spazio politico, lì al centro.
E poi ci sono Beppe Grillo e il M5S. Il soggetto politico che ha guadagnato di più, in questa fase. Nell’ultima settimana: oltre 3 punti. Come la fiducia verso il Capo: cresciuta anch’essa di 3 punti, nell’ultimo mese. E di 10, rispetto a dicembre. L’impressione è che la crescita del M5S sia ancora in corso. Anzi: in corsa. Alimentata dal flusso degli elettori indecisi, che non trovano risposta nei partiti e nelle coalizioni maggiori. Perché provano malessere. Identificano la "politica" con i "partiti". E si dicono - o forse sono definiti, per questo - "antipolitici". Gli scandali delle ultime settimane, una campagna elettorale aspra, quasi del tutto televisiva, hanno moltiplicato questo (ri) sentimento popolare. Grillo ne è divenuto l’amplificatore. Come nel recente passato, canalizza e intercetta il malumore politico dei cittadini. Gli dà voce e volto. Tanto più perché, in queste settimane, quasi da solo, gira il Paese, una piazza dopo l’altra, sommerso da persone - attivisti, simpatizzanti, curiosi. Ed è sempre in tivù, anche senza andarci di persona. Perché fa audience e tutti i Tg, tutti i talk lo riprendono e lo rilanciano.
Così, il principale rischio che emerge, dai dati dell’Atlante Politico di Demos, è la frammentazione. È il pericolo che nessuno, alle prossime elezioni, vinca davvero. E sia in grado, in seguito, di governare. Il rischio, suggerito da questi dati, è l’ingovernabilità. Perché, con questi numeri, è difficile immaginare una maggioranza stabile e solida, soprattutto al Senato. Ma è ancor più difficile misurarsi con le istituzioni e i mercati internazionali. Assumere scelte impegnative e dolorose, per il Paese. Affrontare il malessere sociale. Prodotto dalla crisi economica e dall’anomia politica di questi tempi.
Tuttavia, prima del voto mancano ancora due settimane. E molto può ancora cambiare - in due settimane di campagna elettorale. Ma debbono essere "usate" in modo "utile". Per evitare e contrastare la frammentazione. Per convincere gli elettori - indecisi ma anche decisi - a usare bene il voto. In modo "utile". E "responsabile". Perché il "berlusconismo" è finito, ma Berlusconi è ancora lì. Invecchiato, ripetitivo. Passa in tivù come una replica infinita. Ma è ben deciso a difendere i suoi spazi. Non si tirerà da parte da solo.
(08 febbraio 2013)
BERLUSCONI PASSA IN RASSEGNA I CANDIDATI - REPUBBLICA.IT
ROMA - Fini? "E’ un traditore". Grillo? "Un populisa". Monti? "Flirta con Bersani da tempo, è un suo collaboratore". Nicole Minetti? "E’ più popolare di Belen, ma per una donna bella in Italia è difficile fare politica". Silvio Berlusconi, ospite di ’Coffee break’ su La7 passa in rassegna tutti i suoi competitor nella corsa alle elezioni. Da Fini a Giannino, da Grillo a Monti a Bersani non risparmia nessuno.
Candidati in rassegna. La prima vittima degli attacchi del Cavaliere è il leader di Fli, ora alleato con la lista del Professore: "Fini oggi è il piu grande traditore che si sia avuto in politica. Ha tradito tutti e si è condannato all’inesistenza assoluta. Il suo piccolo parito, secondo le ultime rilevazioni, e ha allo 0,7% per cento". Poi è la volta del capo di M5S: "Non sono un populista. Nel momento attuale si può dire di Grillo e non credo che si possa offendere per questo. Io sono un moderato". Il premier uscente, poi, "flirtava con Bersani a distanza. Finalmente si sono uniti in matrinomnio con la benedizione della Merkel. Votando Monti si vota Bersani. Monti è precipitato nella platea politica e adesso la sua massima aspirazione pare sia quella di fare il collaboratore di Bersani". Il segretario Pd resta, tuttavia, il suo vero competitor: "Il mio avversario politico è la sinistra e il leader della sinistra è Bersani ed è con lui che ci confrontiamo nelle arene per vedere chi governera il paese". Ce n’è una anche per Oscar Giannino: "E’ un liberale molto narciso che è stato colpito dalle luci delle tv. Ultimamente ha detto che il suo fine e far perdere il centrodestra in Lombardia".
Il giudizio sul telespettatore. Il Cavaliere poi conferma la "formula Bernabei" sugli spettatori tv. Ettore Bernabei, potentissimo dirigente Rai dal ’60 al ’74, diceva del telespettatore (e in definitiva dell’italiano medio) che era come "un bambino di undici anni, nemmeno troppo intelligente". Il leader Pdl concorda con il rating del teleutente (in ultima analisi l’elettore, dati i tempi), addolcendolo un pò: "Penso di sì. Magari, nel frattempo, ha fatto qualche progresso negli ultimi tempi, è arrivato alla terza media".
Proposte e promesse. In campagna elettorale ogni promessa vale, fondata o meno che sia. Berlusconi ritorna sulla proposta dei "quattro milioni di posti di lavoro" e ribadisce che si trattava di una frase estrapolata da "un discorso di due ore rivolto ai giovani". "A me è venuta semplicemente un’idea - continua - nessun governo ha la bacchetta magica per creare 3 milioni di posti di lavoro".
Politica e belle donne. A proposito di Nicole Minetti dice che fa fermare il traffico", perché "in questo momento è la donna più popolare in Italia, anche più di Belen", ma "per una bella donna fare politica in italia è difficile, gli italiani preferiscono Rosy Bindi" (video). Quindi la decisione di candidarla è stata una "scelta infelice".
Impresentabili. Dalle scelte sbagliate agli impresentabili il passo è breve. Quella di escludere Nicola Cosentino dalle liste è stata una decisione "eccezionale e dolorosissima". "Non ho rinunciato alla battaglia garantista - spiega l’ex premier- ma nel caso di Cosentino e di altri amici" abbiamo ritenuto opportuno chiedergli di fare un passo "indietro perchè aggrediti dalla magistratura con false accuse".
Magistratura. Dopo la notizia che i giudici di Milano hanno accolto la richiesta dei suoi legali di legittimo impedimento per il processo Mediaset, Berlusconi torna a criticare la magistratura, o meglio "quella parte che è corrotta, è il cancro della democrazia". Quanto a Ilda Bocccassini aggiunge: "E’ uno degli autori di questa parte magistratura" che ha "montato una grande operazione di diffamazione nazionale e internazionale che mi ha dato fastidi notevoli d’immagine. Il tutto fondato sul nulla".
Lo scontro con Giannini. Non manca un duello verbale con l’altro ospite della trasmissione, Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica: "Siete un organo di disinformazione - tuona Berlusconi scagliandosi contro il quotidiano del Gruppo Espresso - avete non l’abitudine di informare, ma quella di disinformare". Ma Giannini e l’ex premier battibeccano anche sulle leggi ad personam per sfuggire ai processi ("Dobbiamo aspettarci un nuovo lodo Alfano?", chiede il giornalista - video) e sulla pressione fiscale che, secondo il vicedirettore di Repubblica, durante il governo del Cavaliere sarebbe aumentata rispetto al governo di sinistra. "Non è così", rivendica Berlusconi, che propone a Giannini una scommessa, inizialmente di un milione, poi di 10mila euro. "Non sono ricco, devo mantenere una famiglia", la risposta del giornalista. Alla fine stretta di mano e scommessa fatta: si vince una cena.
(08 febbraio 2013)
MANNHEIMER SU CORRIERE DI STAMATTINA
Il dato che maggiormente caratterizza la distribuzione attuale delle intenzioni di voto è l’incremento del Pdl, a seguito anche (ma non solo) delle «proposte choc» enunciate dal Cavaliere nei giorni scorsi. Secondo la gran parte dei sondaggi, compreso il nostro, il partito di Berlusconi avrebbe nettamente superato la soglia psicologica del 20%. Qualche altro istituto rileva ancora per il Pdl valori inferiori: ma tutti concordano sulla ascesa, più o meno accentuata, dell’ultimo periodo. Occorre sottolineare che le interviste sono state effettuate nei giorni immediatamente successivi alle dichiarazioni del Cavaliere: la reazione immediata potrebbe forse avere accentuato il sostegno per quest’ultimo. Vedremo nelle prossime, ultime, due settimane se il trend positivo per il Pdl continuerà (il Cavaliere ha già annunciato nuove «proposte choc») oppure si arresterà o si invertirà: in fondo, anche il forte recupero del Pd lo scorso dicembre a seguito delle primarie vide poi un aggiustamento. Resta il fatto che la crescita mostrata sin qui dal principale partito del centrodestra è notevole: ancora alla fine del 2012 si collocava attorno al 16-17% e oggi è al 22%. Il complesso della coalizione del centrodestra si avvicina — senza tuttavia averlo raggiunto — all’obiettivo del 30%.
La «tenuta» di Bersani
Nell’altro campo la coalizione di centrosinistra mantiene ancora oggi la netta maggioranza delle intenzioni di voto, collocandosi tra il 37% e il 38%. La distanza dal centrodestra è dunque ancora ragguardevole e supera i 7 punti percentuali: un divario che il Cavaliere pensa di recuperare nei prossimi giorni, ma che è obiettivamente assai difficile da colmare.
Monti cala (poco). Exploit di Grillo
Ma nello scenario elettorale — e nella composizione del prossimo Parlamento — si muovono almeno altri tre protagonisti importanti. Il centro, rappresentato da Monti e dai suoi alleati, che subisce negli ultimi giorni un lieve ridimensionamento, ma che continua a conquistare una parte rilevante dell’elettorato, pari a circa il 13%. L’ex magistrato Ingroia, collocato all’estrema sinistra, che mantiene il 4-5% delle intenzioni di voto. E, last but not least, Grillo, il cui consenso ha visto un ulteriore incremento (anche, sicuramente, a seguito degli scandali di vario genere che ancora si sono manifestati negli ultimi giorni) e ottiene oggi il 14-15%. Un così largo supporto per una forza che si oppone vivacemente a tutti i partiti tradizionali (e che, come si è già documentato su queste colonne, rappresenta il partito più popolare in assoluto tra i giovani che affrontano per la prima volta il voto) dovrebbe fare riflettere questi ultimi, anche in vista della futura presenza in Parlamento di così tanti esponenti del Movimento 5 Stelle.
La gara in Lombardia
La ancora larga distanza che separa il centrosinistra dal centrodestra (seppure significativamente inferiore a quella registrata qualche settimana fa) parrebbe assicurare tuttora una netta vittoria alla coalizione guidata da Bersani e, di conseguenza, grazie alla legge elettorale attuale, una larga maggioranza (55% dei seggi) alla Camera dei Deputati. Per il Senato, come si sa, la situazione è assai più complessa, in quanto la normativa in vigore prevede l’assegnazione in ogni Regione del premio di maggioranza, in proporzione ai seggi assegnati a ciascuna. Ciò comporterebbe, per il centrosinistra, la sicurezza di avere la maggioranza anche in Senato solo in caso di vittoria in tutte (o quasi) le competizioni regionali. Ma i risultati dei sondaggi suggeriscono sin qui uno scenario forse diverso: è vero che nella grande maggioranza delle Regioni la coalizione di Bersani appare prevalere, ma il Veneto (che assegna al partito che prevale ben 14 seggi) risulta per ora appannaggio del centrodestra e in due Regioni-chiave (per ampiezza di popolazione e, di conseguenza, numerosità dei seggi in palio) quali la Lombardia e la Sicilia, il risultato sembra ancora molto incerto. Nella prima (per la quale risultano in competizione 49 seggi sui 315 complessivi del Senato) è la coalizione di centrodestra a raccogliere sin qui la maggioranza relativa dei voti, conquistando così i 27 seggi comprensivi del premio di maggioranza. Ma la differenza, di soli 3 punti (è bene ricordare che i sondaggi, pur se effettuati su un numero ampio di interviste, nel nostro caso 1.500 per ciascuna Regione, comportano un margine di approssimazione del 2,5%) impedisce di attribuire con certezza questa Regione. Va ricordato inoltre che in Lombardia si tengono anche le elezioni per il presidente della Regione che hanno un’influenza anche sul comportamento per le politiche. Stando agli ultimi sondaggi, si riscontra, anche in questo caso, una situazione di quasi parità, con il centrodestra (Maroni) in lieve vantaggio nella Regione, ma il centrosinistra (Ambrosoli) con più consensi nel capoluogo, a Milano.
L’incertezza in Sicilia
In Sicilia si riscontra la stessa situazione all’inverso: qui è in vantaggio il centrosinistra (acquisendo, di conseguenza, 14 seggi comprensivi del premio di maggioranza), ma la distanza è ancora inferiore e non raggiunge i tre punti percentuali. L’incertezza nella distribuzione dei seggi al Senato comporta dunque una analoga indeterminazione, sino a questo momento, sull’esito complessivo della elezione e, di conseguenza, sulla composizione del futuro governo. Anche se l’ipotesi più probabile rimane quella della coalizione tra il centrosinistra di Bersani e il centro guidato da Monti.
In conclusione, è bene ricordare che la fotografia scattata dai sondaggi che qui presentiamo (e che abbiamo effettuato negli ultimi due giorni) descrive, il più accuratamente possibile, la situazione odierna, ma non può prevedere quella futura. Il dato di oggi è infatti solo la base di partenza per la fase decisiva della campagna elettorale — quella in cui buona parte degli indecisi giunge finalmente ad una scelta — che si svolgerà in questi ultimi quindici giorni.
CALABRO’ SUL CORRIERE DELLA SERA
«Il Grillo canta sempre al tramonto» è il titolo del nuovo pamphlet che Beppe Grillo ha scritto con Dario Fo e Gianroberto Casaleggio. Titolo evocativo da molti punti di vista. Si potrebbe dire che Beppe Grillo canta al tramonto della Seconda Repubblica. Oppure che sta crescendo a dismisura nei consensi, adesso, verso la fine della campagna elettorale. Comunque la si vuole vedere il dato è incontestabile. Dice Alessandra Ghisleri di Euromedia Research, la sondaggista di fiducia di Berlusconi, «io l’ho quotato ieri al 14,5 per cento su scala nazionale: ma il dato impressionante è che ovunque vada riempie le piazze, l’altro ieri ad esempio a Cagliari, e ovunque il fenomeno è quello che si è verificato in Sardegna ieri: il consenso al Movimento Cinque Stelle nell’isola è balzato in su di quattro punti».
La Ghisleri mette naturalmente in grande evidenza che il Pdl ormai si aggira da solo intorno al 23 per cento, e che per lei la distanza tra le due coalizioni ieri si era ulteriormente assottigliata: 34,4 il centrosinistra (il Pd un pelo sotto il 30 per cento) contro il 32,7 del centrodestra. Mentre il centro sembra cedere terreno. I centristi tutti insieme sono quotati dalla Ghisleri al 12,3 e la lista Monti è scesa all’8 per cento (una soglia che se fosse confermata metterebbe in questione fortemente anche la performance in Senato).
La forbice tra Pd e Pdl si riduce a 4 punti, anche secondo i sondaggi Swg e Technè, lasciando intravedere scenari di maggioranze di difficile composizione.
«Oltre 7 milioni di indecisi si riveleranno determinanti per l’esito della competizione elettorale. A 16 giorni dal voto — afferma il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento — il distacco tra centrosinistra e centrodestra è di poco più di 5 punti percentuali: circa un milione e 800 mila voti separano oggi le due coalizioni».
Il Movimento 5 Stelle secondo il sondaggio di Demopolis (per Otto e Mezzo), supererebbe oggi il 18%, con un consenso in crescita di circa tre punti nelle ultime due settimane.
Ma l’esito delle prossime elezioni si giocherà anche sul numero dei seggi attribuiti al Senato in Lombardia ed in Sicilia: potrebbero essere poche migliaia di voti a determinare il risultato a Palazzo Madama. Mentre circa 11 milioni e mezzo di italiani, il 24% degli aventi diritto, potrebbero invece restare a casa.
M. Antonietta Calabrò
RE.BE. SUL CORRIERE DELLA SERA
MILANO — Sempre più: disorientati, globalizzati (con fiducia), impegnati in politica o nel sociale, affamati di emozioni, tecnologici e connessi. Sempre meno interessati a: mercato, solidarietà, pari opportunità e dibattiti sulla famiglia tradizionale. Ecco gli italiani: chi sarà il politico che può rappresentali meglio? A tracciare la mappa della società italiana del 2012 ci ha pensato Episteme, l’istituto di ricerca diretto da Monica Fabris, incrociando ai tradizionali orientamenti politici (da sinistra a destra) le risposte di 2 mila persone tra i 15 e i 74 anni a un questionario su 250 affermazioni predefinite. Il dossier che ne è risultato, Atlas 2012, si legge come un quadrante politico per intenzioni di voto e leader che ispirano maggiore fiducia. Tra Monti, Bersani, Berlusconi e Grillo, la vera gara sarà tra il premier uscente e il segretario del Pd, per Fabris: «Monti ha un bacino quantitativo ancora piccolo, ma riesce a parlare ai delusi di diversi partiti. Il leader con maggiore ecumenicità è Bersani: parla a molti, di diverso orientamento, ma rischia di scontentare».
Le risposte al questionario (che hanno delineato valori e convinzioni «in salita» e quelli «in discesa») sono state incrociate con quelle di autocollocazione politica degli intervistati. Chi si definisce di centrosinistra è disorientato, tiene a partecipazione, welfare, tecnologia. Gli elettori di centro hanno tratti in comune con chi si ritiene di destra: paura della violenza, difesa del mercato e della famiglia tradizionale.
Il dossier ricava quindi 5 gruppi socioculturali, «terre di mezzo», nell’Italia di indecisi e delusi, tra i quali ciascun elettore oscilla. Li sintetizza Fabris: «La società liquida, moderna, giovane e disorientata, formata da potenziali elettori di centrosinistra; Diritti e doveri è l’area post ideologica e libertaria, campo di sinistra radicale e centrosinistra; Nuove morali è appannaggio dei valori di centrosinistra che però ora è il centro a soddisfare (austerità e moderazione); In trincea resistono, in pieno centrodestra, le persone più chiuse alla diversità. Nell’area Tradizione (destra conservatrice e Udc) ci sono i più anziani, legati a tradizioni e localismo». La traduzione politica? A livello di gradimento Monti ha un legame a sorpresa con Vendola: i due piacciono a chi ha a cuore il lavoro. Chi sceglie Pd e M5S (molti potenziali elettori in comune) è più interessato alla partecipazione e pretende laicità e pari opportunità.
Re. Be.
MARIA TERESA MELI SUL CORRIERE DELLA SERA
ROMA — C’è un dato che preoccupa i vertici del Partito democratico ben più della presunta rimonta di Berlusconi. E’ il fenomeno Grillo a cui i sondaggi riservati di largo del Nazareno attribuiscono percentuali che oscillano tra il 20 e il 21. Certo, Antonio Ingroia può rosicchiare voti a Sel, ma sia il suo movimento che quello di Vendola sono sotto il 4 per cento. E’ l’esplosione dell’antipolitica che inquieta Pier Luigi Bersani. E non solo lui, se Ugo Sposetti, acerrimo nemico di Matteo Renzi di cui ha detto peste e corna in campagna elettorale, ospite della "Zanzara", esorta il sindaco di Firenze a girare in camper per fare propaganda a favore del segretario.
Già, perché come diceva Rosy Bindi per criticare il primo cittadino del capoluogo toscano: «Grillo è il greggio, Renzi è la benzina: non è che dicano cose diverse». Esagerazioni frutto dell’antipatia, ma non sfugge a nessuno nel Pd che il sindaco di Firenze (che in questa campagna girerà dieci regioni) può drenare voti da quella parte. Del resto era ed è il suo obiettivo: «Bisogna recuperare voti tra i grillini», è il leit motiv di Renzi. Che, in tempi non sospetti aveva avvertito il Pd: «Se vogliamo fermare Grillo dobbiamo fare una battaglia più incisiva contro la casta».
Ed è proprio il timore dell’ingovernabilità e dell’arrivo in Parlamento dell’anti-politica che spinge Bersani a ribadire le aperture al dialogo con Monti: «Non governerò mai secondo una logica frontista». La certezza della vittoria piena non c’è, per questa ragione il Pd deve fare i conti con una possibile alleanza di governo con i centristi, alleanza che invece viene esclusa nel caso di successo sia alla Camera che al Senato.
Anche di fronte a una vittoria a metà, Bersani vuole comunque tenere lui in mano le redini del governo: «La guida del Paese tocca al partito che arriva primo. Anche in Germania quando hanno fatto la grande coalizione hanno seguito questa strada». In parole povere: i centristi non credano di poter porre veti su palazzo Chigi. Su questo punto a largo del Nazareno sono determinati. Però qualcosa dovranno necessariamente cedere. Un esempio? Il Pd vorrebbe cavarsela dando a Monti la presidenza del Senato. Ma dagli ambienti vicini al presidente del Consiglio si ribatte con un’altra richiesta: quella del ministero degli Esteri. Un dicastero che, come è noto, Massimo D’Alema vorrebbe per sé.
All’idea dell’ingresso di Monti nell’esecutivo a guida Bersani Stefano Fassina storce naso e bocca: «E’ chiaro che il premier è sceso in politica solo per non far vincere il centrosinistra e per poterlo condizionare al governo». E comunque c’è il problema Vendola. Quest’estate il "governatore" della Puglia nel corso di un colloquio riservato con il segretario del Pd non aveva chiuso le porte ai centristi: «Io non pongo veti, così come non intendo accettarne». Ma l’ipotesi di cui si parlava all’epoca era quella della collaborazione sulle riforme, non quella di un’alleanza di governo. Con un pareggio al Senato la prospettiva può cambiare e non è detto che Sel sia in grado di reggere l’urto dell’eventuale novità. Tanto più dopo la "botta" di Fausto Bertinotti, che è pronto all’endorsement a favore di Antonio Ingroia.
Maria Teresa Meli
BERTINI SULLA STAMPA
E venne il giorno delle promesse parallele: non è solo il Cavaliere a fare la parte del leone, l’ultima di ieri son quattro milioni di posti di lavoro. Ora anche Monti e Bersani non vogliono esser da meno, pur modulando in diverso modo le loro proposte. Il leader Pd deve aver valutato che non gli conviene giocare di rimessa reagendo solo con un’alzata di spalle alle bordate di Berlusconi, perché farsi dettare l’agenda dall’inseguitore non è mai cosa buona. Con l’occhio incollato ai sondaggi riservati che tutti i leader conoscono; e che danno in costante rimonta più Grillo che Berlusconi: cosa di cui il Pd in cuor suo si compiace, affidando a Renzi il compito di evitare che l’antipolitica peschi pure in casa propria; mentre il centrodestra teme che si sgonfi la speranza di un sorpasso e i centristi vivono nel terrore di arrivare quarti. Una cornice che spiega meglio la rincorsa di tutti a promettere cose che abbiano ricadute sulle tasche degli italiani, per cercare di indurre gli indecisi a non sposare il voto di protesta.
La mossa del Cavaliere Dopo il rimborso dell’Imu, un pensiero forte dedicato anche ai neo-votanti, trasmesso di buon mattino da Rai Webradio: «Cari ragazzi, se gli italiani ci daranno la responsabilità di governare, già nel primo Consiglio dei ministri approveremo un decreto che consentirà alle imprese di assumere un nuovo collaboratore senza dover pagare i contributi, nè le tasse per i primi anni. Se ogni impresa assumesse anche un solo giovane avremmo creato 4 milioni di nuovi posti di lavoro». E a chi vuole fare impresa in proprio, verrà data «la possibilità di non pagare le imposte per i primi cinque anni e un prestito per far partire un’attività o comprare una casa con un fondo speciale del Tesoro che darà alle banche le garanzie che chiedono». Subissato dagli sfottò, Berlusconi spiega che il suo «è un invito ai capitani coraggiosi», insomma un auspicio e non una promessa. Incita i suoi alleati, «siamo a -1,7% dalla sinistra, dobbiamo mettere la freccia e sorpassarli convincendo gli indecisi». E fa il verso alla cadenza emiliana del leader Pd, che «anche oggi abbaia: Berlusconi ha detto un’altra delle sue stron...» Bersani scopre le carte Alza la voce chiudendo una giornata di lavori del Pd sulle parole chiave dei riformisti, dice che «inseguire la demagogia è un insulto all’Italia che non va presa in giro». Sfotte «questo qui che promette 4 milioni di posti di lavoro e ancora aspettiamo la milionata dell’altra volta...». «Questo qui», con il quale Bersani da Mentana promette di non voler mai più avere a che fare. Citando «un’ipotesi da fantascienza: se Berlusconi con la Lega si prende il Senato, non mi si chieda di fare un accordo con loro. Escludo governi di unità nazionale: l’arrabbiatura di metà paese la condivido, da ora in poi si cambia, niente inciuci». E mentre rilancia l’idea di far pagare alla pubblica amministrazione i debiti con le imprese emettendo titoli per un valore di 10 miliardi l’anno per 5 anni, tira fuori altri flash: per i giovani «diritto allo studio e lavoro. Investimenti e consumi, per dare un pò di lavoro. E un grande piano di piccole opere che parta subito».
Monti, meno Irpef e Irap Scelta Civica lancia in rete il suo programma economico: al primo punto la riforma del sistema fiscale. Poi aumento dell’occupazione, incremento della competitività, revisione della spesa e no a condoni fiscali. Si comincia dal taglio dell’Irpef per i redditi medio-bassi, per una riduzione del gettito totale a fine legislatura di oltre 15 miliardi e un dimezzamento del peso Irap sul settore privato entro il 2017, pari a un gettito inferiore di circa 11,2 miliardi. E una serie di detrazioni sulla prima casa per alleggerire il peso dell’Imu alle famiglie.
E per il lavoro, un contratto unico a tempo indeterminato, più flessibile ma a minor costo previdenziale e fiscale.
CENTRISTI PREOCCUPATI (sulla STAMPA di stamattina)
La campagna elettorale sta prendendo una piega che allarma i leader delle tre principali coalizioni, alle prese con la concorrenza di partiti minori che pescano nei rispettivi elettorati. Il caso più evidente é quello di Oscar Giannino e Berlusconi. Il Cavaliere lo ha invitato pubblicamente a ritirarsi perché teme che possa togliere voti decisivi al centrodestra, senza raggiungere la quota del 4 per cento, necessaria per superare la soglia di sbarramento ed entrare in Parlamento. Berlusconi continua la sua campagna battendo colpo su colpo sulle tasse e non curandosi minimamente di dimostrare l’effettiva realizzabilità delle sue proposte: ieri era la volta dei quattro milioni di posti di lavoro, ottenibili, a suo dire, con l’esenzione totale dai contributi e dalle tasse per le aziende che assumono. Ma dietro il ritmo incalzante della campagna berlusconiana, cova il timore, che nasce dalle tabelle dei sondaggi, che la rimonta del Pdl possa essere bloccata dall’affermazione della lista concorrente del giornalista ultraliberista.
Analogamente, in casa del centrosinistra, si guarda all’ andamento in crescita di Ingroia e della sua formazione, che potrebbe risultare determinante in una regione chiave per il Senato come la Sicilia, e al conseguente dimagrimento di Sel, con Vendola che torna a picchiare per tentare di risalire. Ieri il responsabile economico del Pd Fassina ha ripetuto che il suo partito punta a governare con i soli voti del centrosinistra e di Vendola, senza neppure ricorrere all’aiuto di Monti. Altrimenti, ha spiegato, si torna a votare. Bersani lo ha parzialmente corretto, dicendo che anche in caso di vittoria cercherà un’intesa con il Professore e in nessun caso accetterà la larga coalizione con il centrodestra, di cui tuttavia il presidente del consiglio continua a parlare.
Monti affronta un difficile vertice europeo, in cui non é il solo a dover fare i conti con le tensioni della vigilia elettorale, e le cui conclusioni daranno sicuramente spunto a nuove polemiche nei giorni finali della campagna. Ma anche nel suo schieramento i conti non tornano. Il calo, oltre ogni previsione, dell’Udc nei sondaggi per la Camera, da qualche giorno rende nervoso Casini, che non fa mistero della propria insoddisfazione per la riuscita dell’alleanza centrista. Nè lo hanno certo tranquillizzato le voci sulla possibilità che, in caso di alleanza con il Pd, Monti possa essere eletto alla presidenza del Senato, una poltrona che fino a qualche giorno fa sembrava destinata proprio all’ex presidente della Camera.
ROBERTO WEBER SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Roberto Weber, della Swg, è alle prese con l’ultimo dei sondaggi pubblicabili dai giornali; emerge che Monti è debole al Senato, ma probabilmente determinante. Alla Camera irrompono anche Grillo e forse Ingroia mettendo in crisi il bipolarismo. E allora, Weber, che dobbiamo pensare? Che i giochi sono fatti?
«Sostanzialmente, sì. I trend sono questi. C’è un Grillo in ascesa regolare: da quattro settimane cresce di 1-1,5%. Il trend continuerà e si fermerà forse attorno al 18-19%. C’è un piccolo trend di ascesa del Fli: Fini rosicchia anche lui qualcosa settimana dopo settimana. Secondo me agguanta il 2%. Monti ha cominciato altalenante e così prosegue: una volta è al 13, poi al 14, poi al 15, poi ricomincia dal 13. Questo è il suo bacino. Sostanzialmente stabile è anche il Pd. Ha avuto la sua piccola flessione, ma è rientrata. La coalizione è stabile da 4 settimane e tale resterà. Lo stesso dicasi per la coalizione di centrodestra. Sì, mi aspetto che le distanze di oggi vengano confermate anche il giorno dopo il voto».
D’accordo, tutto sembra stabile. Sono da escludere, secondo lei, accelerazioni o frenate brusche legate al finale di campagna elettorale?
«Le sorprese possono venire da quelle formazioni che stanno attorno al 4%. È chiaro che se Ingroia entra o non entra in Parlamento, conta. Per il momento sembra avere raggiunto la soglia di salvezza del 4%. Ma nutro qualche dubbio al riguardo. Sono andato a vedere i sondaggi del 2008: quella volta abbiamo sbagliato tutti, noi di Swg e tutti i colleghi, sovrastimando la sinistra radicale dell’Arcobaleno. Comincio a pensare che sia sovrastimata nei sondaggi anche la Lista Ingroia».
Intende dire che probabilmente l’elettore di estrema sinistra è fiero della sua scelta e non vede l’ora di dichiararsi?
«Qualcosa del genere. Così come nei sondaggi è più difficile da sempre misurare l’elettore di destra, perché più schivo. È per questo motivo, all’opposto di Ingroia, che io penso sia un po’ sottostimato Oscar Giannino. Potrebbe essere lui la sorpresa di queste elezioni. Intendiamoci, un 2% di voti per una lista neonata e senza esposizione mediatica è già uno straordinario successo. Ogni punto in percentuale significa 350-400 mila voti. E quindi se Giannino incassasse 800 mila voti non si può parlare di successo?»
Certo. Tanto più se quei voti fossero concentrati al Nord, come si dice. Magari tutti o quasi in Lombardia. Ma con gli indecisi come la mettiamo? Non è che cambieranno le percentuali all’improvviso?
«Premesso che finora l’offerta di centrodestra è stata fagocitata dal ritorno di Berlusconi, queste elezioni si stanno rivelando molto diverse da quelle del 2006 e 2008. In quelle due occasioni, il voto si polarizzò spontaneamente. Questa volta accade che agli indecisi viene offerta una gamma di scelta. Per gli indecisi di destra, che progressivamente escono dall’indecisione, gli si propongono Berlusconi, ma anche Grillo e Giannino. E così il recupero a destra si sfrangia».
Si dice che Berlusconi sia furibondo perché la concorrenza di Giannino potrebbe soffiargli voti preziosi in Lombardia.
«Dalla Lombardia mi aspetto sorprese. Vedo i primi segnali di voto utile. Diciamo che gli italiani, nella loro duttilità, e profonda saggezza politica, in Lombardia più che altrove stanno valutando il voto disgiunto. Mi aspetto che molti votino per Monti alla Camera e per Bersani al Senato».
PIEPOLI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Nicola Piepoli, non le chiederemo previsioni degne di chi ha la palla di vetro, lei però sta analizzando i trend dell’elettorato. Che cosa si aspetta nei prossimi quindici giorni?
«Noi sondaggisti lavoriamo sulle probabilità, non sui fatti. E che cosa mi dice la legge delle probabilità? Che il centrodestra è piuttosto stabile, attorno al 32%. Questo non vuol dire che la coalizione del centrodestra stia rimontando, però, bensì che è Silvio Berlusconi a fagocitare tutti i suoi alleati. La Lega tiene, gli altri della coalizione no. Il centrosinistra anche è stabile, attorno al 36%. Bersani non arretra affatto: era al 33% dell’intenzione di voto due mesi fa; oggi è al 31%. Lo definirei gradimento granitico. La differenza tra i due poli è sul 4% e mi aspetto che tale rimarrà».
Non ci saranno sorprese dell’ultimo miglio?Èquestocheleisiattende:che le ultime due settimane di campagna elettorale non serviranno a niente?
«Le rispondo con una metafora: l’Italia è come quelle superpetroliere da trecentomila tonnellate. A farle virare, occorre molto spazio e tempo. Non sono mica un motoscafo. Ecco, siccome l’Italia è questa, una superpetroliera in navigazione in un mare difficile, non mi aspetto nessuna virata improvvisa. Ci vorrebbero forse tre mesi di campagna elettorale, non quindici giorni, per cambiare sensibilmente i numeri».
E i famosi indecisi, che faranno? Non è vero quel che si dice, cioè che gli indecisi votano con la pancia e uscendo dai loro dubbi all’ultimo istante?
«Prima risposta: gli indecisi non esistono. Per come la vedo io, gli indecisi hanno ampiamente deciso, quantomeno a livello inconscio. Seconda risposta: diffidare di chi risponde che non sa ancora chi votare. Lo sa eccome. Racconto spesso una storiella che mi ha molto colpito. Un professionista amico mio, in un’elezione di qualche tempo fa, dopo che aveva annunciato al mondo intero che avrebbe votato Di Pietro, ci ha ripensato al momento di entrare nella cabina elettorale. All’ultimo istante ha avuto come colpito da una folgorazione. Di Pietro gli è sembrato troppo aggressivo per i suoi gusti. E ha pensato: mio padre chi voterebbe? Il padre, nel frattempo deceduto, ha sempre votato democristiano. E il figlio ha guardato la scheda elettorale, ha visto che c’era lo Scudo crociato, ed ha finito per dare il voto all’Udc».
Più che il ragionamento contano le suggestioni, è questo che vuole dire?
«Noi la chiamiamo “stocastica famigliare”. Se uno è figlio di comunisti, e non sa bene chi votare, difficilmente voterà un partito lontano dalle scelte della sua famiglia».
La stocastica famigliare è come un imprinting politico.
«Qualcosa del genere».
Il che spiega ovviamente la prevedibilità del voto in Italia. Un blocco di sinistra e un blocco di centrodestra, immutabili negli anni se non nei decenni. O no?
«È esattamente per questo motivo che io dico che ormai le decisioni sono state prese. Gli indecisi hanno deciso. I trend sono stabili. La fotografia degli italiani, tramite i sondaggi, ormai è questa».
Ricapitolando?
«Berlusconi ha fatto il massimo possibile, utilizzando la tecnica della “visualizzazione creativa”, quando ha invitato gli italiani a vedere il loro conto corrente con dentro l’Imu resa da lui. Per conto mio, l’effetto che doveva avere l’ha avuto. L’effetto collaterale della sua campagna ha colpito Monti, indicato come persecutore di portafogli. Ma anche Monti è stabile al suo 9-10%; un successo per un partito appena nato. Bersani è avanti e lì resta».
BERLUSCONI TERZO? DALLA STAMPA DI STAMATTINA
Equando ne mancano due al traguardo, Berlusconi deve cambiare marcia se vuol difendere la seconda piazza del suo partito che sta un filo sopra al 20 per cento, con il M5S un filo sotto. Arrivare terzo, per Silvio, sai che smacco sarebbe...
Inoltre, cedere a Grillo il secondo posto del podio darebbe avvio a un bipolarismo di tipo nuovo, a una polarizzazione in prospettiva tra Pd e grillini (laddove nell’ultimo ventennio era stata tra destra e sinistra). Tutto dipenderà dalla scelta degli indecisi, che sono ancora numerosi e in buona parte berlusconiani delusi. Guarda caso, proprio lì Grillo sta provando a mietere consensi. Tra gli strateghi berlusconiani, nonché al Cavaliere medesimo, fa sensazione la lettera programmatica appena inoltrata via web da Grillo. Dei suoi venti impegni assunti con l’Italia, circa la metà solleticano la pancia del popolo di centrodestra. E tra le restanti promesse ce ne sono alcune che si spingono dove mai aveva osato il Messia di Arcore (ma i suoi elettori non vedrebbero l’ora). Tipo il «politometro» per verificare gli arricchimenti illeciti degli ultimi vent’anni. Oppure il referendum sulla permanenza nell’euro. O l’abolizione tout court di Equitalia...
Dunque Berlusconi si guarda alle spalle. Non come leader di una coalizione che per la Camera comprende la Lega e altre 7 formazioni politiche, che punta al 30 per cento ed è realisticamente fuori della portata di Grillo; bensì come Pdl, purgato da molti ex-An (non tutti) e sempre più somigliante alla Forza Italia d’antan. Aspettiamoci che il Cav estragga dal suo cilindro un altro po’ di «proposte-choc», nella speranza di tenere su di sé l’attenzione. Nel frattempo, però, Berlusconi ha già messo mano al piano d’emergenza, un codice rosso che in altre occasioni si è rivelato efficace. Mira a prosciugare i piccoli partiti dell’orbita moderata, incominciando dal più pericoloso di tutti: Fare per Fermare il Declino, la formazione politica di Giannino. Rispetto ad altri competitor, Oscar ha il vantaggio di conoscere a fondo l’accampamento berlusconiano, dove per un periodo ha bazzicato da personaggio di frontiera qual è sempre stato. La sorte ha voluto che proprio Giannino faccia la differenza in Lombardia, regione chiave per il controllo del Senato. Di qui gli attacchi frontali del Cavaliere, gli appelli a ritirarsi dall’agone (destinati solo a gratificare l’ego del più giovane rivale),
Sullo slancio, Silvio è andato oltre, paragonando i piccoli partiti a una disgrazia per la democrazia italiana, degli inutili parassiti. Mettendo tutti quanti nel mazzo, compresi i «sette nani» alleati di Pdl e Lega. Ecco l’elenco: Grande SudMpa, Fratelli d’Italia, Pensionati, Intesa Popolare, Destra di Storace, Mir di Samorì, Liberi da Equitalia. Tra questi, ce la farà solo chi supera il 2 per cento, oppure si piazza per primo tra chi non ci arriva. Al momento, nessuno sembra in grado di scavalcare la fatidica soglia. La Russa, che guida i Fratelli d’Italia insieme con la Meloni e Crosetto, nel salotto di Vespa ha quasi insultato Manheimer e Alessandra Ghisleri che hanno la colpa di stimarlo più basso. Ma come diavolo possono crescere, Fd’I e gli altri, se addirittura il capo coalizione esorta a non disperdere voti su di loro? Per cui Storace ha fatto le sue forti rimostranze a Berlusconi («Se ci disprezzi, spiegami la ragione dell’alleanza con noi»); idem La Russa, con una serie di messaggini a Silvio-Dracula. Uno dei quali rammenta che la Dc, nella sua saggezza politica, non cercava di succhiare il sangue ai partitini alleati, anzi invitava a votarli. Per ora Berlusconi ha cambiato registro, precisando che ce l’ha con Giannino, Fini, Casini, mica con gli alleati. Ma si può star certi che, se Grillo arrivasse vicino al sorpasso, il Cavaliere non si farebbe più di questi scrupoli. Sarebbe la prima volta...
IL PROBLEMA GIANNINO
Oscar Giannino è diventato la bestia nera di Berlusconi che gli ha chiesto la “cortesia” di togliersi di mezzo perchè la sua lista Fare per fermare il declino potrebbe far perdere il centrodestra. Potrebbe soprattutto far mancare quella mancia di voti che in Lombardia servono a Maroni per vincere la presidenza ma al Cavaliere preme ben altro: il premio di maggioranza che quella Regione assegna per il Senato; 27 seggi che valgono come oro.
Allora Giannino, userà questa cortesia al Cavaliere?
«Neanche per sogno, a maggior ragione adesso che una bella brezza fresca sta soffiando nelle nostre piccole vele. Ma ricordo una canzoncina della mia infanzia “noi siamo piccoli ma cresceremo e alla fine ce la faremo...”. Vedrete quanti eletti fuori dai partiti entreranno in Parlamento e voglio vedere come faranno il governo ed eleggeranno il nuovo capo dello Stato. Se Berlusconi si scomoda per chiedermi di ritirarmi significa che ha paura, che noi andiamo veramente forte e quel 5% che ci accreditano in Lombardia è vero».
Voti pescati a destra che possono far vincere la sinistra.
«Non è vero. Io pesco a destra e a sinistra. Ci sono molti delusi dal Pd che avrebbero votato volentieri Renzi se avesse vinto le primarie. E poi, scusate, se Berlusconi perde non lo ritengo una disgrazia per l’Italia. Anzi, io voglio che perda... Ha promesso per diciotto anni di abbassare le tasse e ridurre la spesa e invece ha fatto esattamente il contrario. Questo vale anche per la sinistra. Destra e sinistra pari sono e di questi due schieramenti non se ne può più».
Berlusconi l’ha chiamata per chiederle di ritirarsi?
«No e anche se mi chiamasse io non mi ritiro neanche morto. Io sono un vero liberale e voglio sgombrare il campo da chi come Berlusconi e questa destra che fa il tifo perchè in Germania vinca l’estrema sinistra per consentire all’Italia di fare la spesa facile».
Il voto dato a Fermare il declino può essere inutile. Lei potrebbe non eleggere un parlamentare. Non è così?
«E chi l’ha detto.. Wait and see. La migliore risposta a chi dice che il nostro voto è inutile l’ha data lo stesso Berlusconi chiedendomi di scomparire. La verità è che a loro li manda ai pazzi il fatto che in Lombardia, e ovunque andiamo al Nord, riempiamo i teatri. Io non guardo i sondaggi ma saremo una sorpresa. Guardi, ci sono i sondaggi fatti con le telefonate e lì siamo sottostimati perchè quel tipo di elettorato non ci conosce. Gli umori che invece girano on line ci sopravvalutano perchè ci conoscono bene. Una taratura media ci sta bene e sono convinto che saremo sopra il 5% in Lombardia, Veneto e Friuli. Più Berlusconi la spara grossa più mi dà una mano».
Il direttore del Giornale Sallusti ha scritto un articolo titolato «Grandi idee e piccoli Oscar della stupidità». Dice che lei è astioso, rancoroso, vendicativo e più egocentrico di Berlusconi.
«Bè, se sono più egocentrico di Berlusconi allora significa che hanno trovato il loro leader del futuro. Si scambia per egocentrismo la mia passione per i colori e i vestiti fuori dal comune. Sorrido ai giudizi di Sallusti, così ho riso quando venni allontanato dalla direzione di Libero Mercato durante la direzione Feltri-Sallusti di Libero».
Quali sono i suoi rapporti con Monti.
«Ottimi, di grande stima. Ci sentiamo».
Per il futuro vede una possibile collaborazione?
«Per il futuro vedremo, dipende da come si mette il pasticcio del Pd perché Bersani non può stare con Monti e Vendola».