Angiola Codacci-Pisanelli, l’Espresso 8/2/2013, 8 febbraio 2013
Senti che legge – Colloquio Con Francesco De Gregori (legge di "Cuore di tenebra" di Conrad per un audiolibro) L’orrore! L’ orrore! Le ultime parole di Kurtz in "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad sono tra le più famose della letteratura, e anche tra le più difficili da pronunciare
Senti che legge – Colloquio Con Francesco De Gregori (legge di "Cuore di tenebra" di Conrad per un audiolibro) L’orrore! L’ orrore! Le ultime parole di Kurtz in "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad sono tra le più famose della letteratura, e anche tra le più difficili da pronunciare. Anche per Francesco De Gregori, da quarant’anni una delle voci più amate della musica italiana, quel «grido che era poco più di un sospiro» è una sfida resa ancora più difficile dal confronto inevitabile con Marlon Brando, che quelle parole le ha pronunciate in "Apocalypse Now", il film di F rancis Ford Coppola ispirato dal racconto di Conrad. «È un grido sussurrato, un ossimoro: una frase impossibile e detta da una voce inesistente. Ma la letteratura può realizzare l’impossibile», spiega il cantautore in una pausa della registrazione dell’audiolibro che la Emons manda in libreria il 20 febbraio. Perché registrare un audiolibro? E perché proprio "Cuore di tenebra"? «Amo molto Conrad fin da quando, da ragazzo, ho letto "I racconti di mare e di costa". Così quando Sergio Polimeno mi ha proposto di registrare un audiolibro e mi ha chiesto di indicare qualche testo, l’ho messo al primo posto della mia lista». Quali erano gli altri testi possibili? «C’era "America" di Kafka, "I nove rac-conti" di Salinger. Per faticare poco ci avevo messo dentro "La fattoria degli animali" di Orwell, perché si legge facilmente». Questo invece è un testo molto impegnativo da leggere. «E anche da ascoltare. Perché è una storia densa e non particolarmente spettacolare. Si parla di un viaggio avventuroso che però non viene quasi descritto. Il racconto vive per una serie di considerazioni profonde, di tuffi dentro una psicologia malata in un quadro storico impressionante». È stato difficile trovare la velocità di lettura giusta per favorire l’attenzione di chi ascolta? «Un po’ sì. All’inizio ho cercato di mantenere la mia velocità di lettore intimo, però questo a volte significa andare troppo di corsa quindi il mio editor in sala ogni tanto mi diceva di ripetere una frase più lentamente. E devo ammettere che ogni volta era meglio, perché una lettura rilassata aiuta anche chi legge. Io tra l’altro avevo letto sempre altre traduzioni: questa che abbiamo usato, di Antonietta Saracino per Frassinelli, è sicuramente più bella. Ma è stata davvero un’esperienza che mi ha arricchito come lettore. Leggerò i prossimi libri della mia vita in un altro modo». Come immagina il suo ascoltatore? Uno che fa altre cose o che si concentra sull’ascolto? «Quando ho accettato di fare questa lettura ho pensato a mio padre. Negli ultimi anni della sua vita non ci vedeva più, non poteva più leggere ed era particolarmente dura per lui, che come bibliotecario aveva passato tutta la sua vita tra leggere e scrivere. Allora ha iniziato ad ascoltare i libri, e questo gli ha risolto la vita negli ultimi anni. In quel periodo era molto difficile trovare audiolibri, era una cosa un po’ carbonara. Questa lettura l’ho fatta volentieri come restituzione di qualcosa che mio padre aveva avuto. Ora però gli audiolibri sono più diffusi: molte persone li ascoltano mentre lavorano - un falegname, una signora che stira. Oppure c’è chi fa un viaggio in macchina, o sta in treno e ascolta una storia mentre guarda dal finestrino». È un’altra intensità rispetto a leggere per sé. «È tutta un’altra cosa perché c’è la mediazione di un’altra persona. Che forse, ma raramente, può portare a un accrescimento del valore letterario, ma spesso rischia di essere un’interferenza. Quando un attore legge poesie, per esempio, a me non piace, neanche un grande come Gassman. Anzi, penso che la lettura di un attore sia peggio di quella di un altro, perché l’attore si sente in dovere di metterci qualcosa di suo, se no non si è guadagnato il pane». E lei come legge, come un "non professionista" o come un cantante? «Cerco di essere come un padre che legge un libro a un bambino anche se questo libro non è per bambini. Ho cercato di tenere tutto su un registro tranquillo, di evitare ogni enfasi: anche perché non puoi certo metterti a enfatizzare un libro così». Ha letto spesso libri ai suoi figli? «Non abbastanza, non quanto avrei voluto - e tanto tempo fa, ormai». E li ascoltava con suo padre? «No, non mi è mai capitato. Glieli procuravo ma non ho mai avuto la curiosità di ascoltarli». "Cuore di tenebra" è impegnativo anche perché Kurtz è famoso proprio per la voce. «Questo lo rende più adatto a un audiolibro: anche se la mia voce non è quella di Marlow né tanto meno quella di Kurtz. Se leggi "Cuore di tenebra" dopo aver visto "Apocalypse now" sei costretto a pensare a Brando, ed è un errore perché non è così che lo descrive Conrad. Quando finalmente Kurtz appare, nel racconto è emaciato, smagrito dalla malattia, non è certo imponente come Brando». Per quarant’anni lei anni ha fatto solo il cantuatore. Ora nel giro di pochi giorni ha fatto una trasmissione alla radio e questo audiolibro. Come mai? «È capitato tutto al momento giusto. Negli ultimi due anni ho lavorato molto con la musica, tra dischi e concerti sono stato sempre con le mani sulla chitarra. Ora per un mesetto mi sono potuto dedicare a Kurtz e alla piccola e gioiosa parentesi cinefila di "Hollywood party": sono dieci giorni che non so più cosa sia la musica, e credo che mi faccia bene». Inciderà ancora audio libri? «Non credo, non è il mio mestiere. Però sono contento di averlo fatto perché penso che diffondere la letteratura sia cosa buona e giusta. Sembrerà un messaggio perbenista ma io penso davvero che leggere bei libri aiuti la gente a essere migliore». Del resto il succo di "Cuore di tenebra" è che il male può impadronirsi anche dei migliori. «Sì, è una conclusione terribile, ma è un libro terribile soprattutto se si pensa che è stato scritto nel 1902, quando l’orrore del Novecento era ancora di là da venire. In un passo, Marlow definisce Kurtz uno che avrebbe potuto diventare "il capo di un partito politico estremista". Hitler e Mussolini erano di là da venire ma a Conrad era bastato vedere la colonizzazione del Congo per capire l’orrore che poteva produrre l’uomo nella sua voglia di arricchimento - perché alla base c’è sempre l’avidità». Unita alla presunzione di portare la civiltà. «Lo stesso alibi che c’è nel testo di "Faccetta nera". Con quel ritmo allegro sembra una filastrocca ma in realtà dice: goditi la vita perché presto arriviamo noi a portarti "la civiltà". Un tentativo di annessione con massacri è stato contrabbandato in patria come uno sforzo per civilizzare i selvaggi». Prima diceva che è stato difficile togliersi dalla mente Brando. E cosa pensa del film con Di Caprio rispetto alla sua canzone sul Titanic? «Diciamo che la mia canzone mi piace più del film di Cameron, ma meno di quello degli anni Cinquanta, che l’ha ispirata. L’altra fonte di ispirazione era un libro di Enzensberger, "La fine del Titanic". È l’unica volta che una mia canzone è stata legata direttamente a un libro. Ma sono cresciuto con un padre bibliotecario e una madre insegnante, ho fatto un buon liceo - il Virgilio - e il rapporto continuo con la letteratura mi ha dato molto». Quali scrittori sente più vicini? «La letteratura americana del Novecento: Faulkner, Hemingway, Carver, McCarthy, Melville. Anche Kafka mi piace moltissimo. Ma leggo molto anche autori leggeri: Grisham, Elmore Leonard, Landsdale. E libri di storia: sto leggendo "Mussolini l’anticittadino" di Michele Dau, un saggio sulla vena ruralista del fascismo. Poi mi hanno regalato un’edizione lussuosetta dei "Limeriks" di Edward Lear che scoprii ai tempi di "Linus". Leggo senza metodo e senza complessi di colpa: ci sono grandi autori che non leggerò mai e se una cosa non mi piace smetto. Compro molti libri e molti me ne regalano: diciamo che alla fine ne leggo un 10 per cento». In che modo raccontare storie in una canzone è diverso da metterle in un racconto? «La musica dà uno strumento in più: una musica lenta o veloce cambia completamente un testo. Poi una canzone dura tre o cinque minuti quindi devi dire con cinque parole quello che invece uno scrittore può dire anche in trenta pagine. Un verso di una canzone è tanto più bello quanto più riesce, con meno parole possibile, ad aprire una finestra su una faccia, un racconto, una storia. In letteratura può essere vero il contrario. Sono due forme di storytelling completamente diverse». Però molti cantautori hanno anche scritto - Guccini, Vecchioni. Lei ha mai pensato di scrivere un libro? «No, finché continuerà a piacermi così tanto scrivere canzoni non penso proprio di farlo. Però mai dire mai».