Antonio Carlucci, l’Espresso 8/2/2013, 8 febbraio 2013
Com’è succosa la MELA – Finisce l’era Bloomberg e si è già scatenata la caccia alla poltrona di sindaco
Com’è succosa la MELA – Finisce l’era Bloomberg e si è già scatenata la caccia alla poltrona di sindaco. Con nomi illustri tra cui quello di Hillary Clinton. Chi vince dovrà amministrare settanta miliardi di dollari– Cercasi sindaco disperatamente. Capace di amministrare una città come New York dove vivono più di otto milioni di persone e che dispone di un budget annuale di oltre settanta miliardi di dollari. Ci vogliono doti speciali per mettere d’accordo un universo dove convivono tutte le etnie del mondo e fare in modo che ogni scelta non trovi insormontabili no in qualcuna di queste, la più numerosa degli afro-americani come la più piccola degli indiani d’America, un quarto dei quali ha deciso di eleggere New York a propria residenza. Il cacciatore di teste che si sta affannando per trovare il nome giusto per il prossimo sindaco della Grande Mela è proprio il primo cittadino in carica: Michael Bloomberg, miliardario e filantropo settantenne, che è arrivato all’ultimo giro di boa della sua esperienza di amministratore, perché a novembre sarà scelto il successore e lui tornerà a casa dopo tre mandati. In tutto 12 anni a City Hall. In gran segreto e senza confermare neanche un dettaglio delle prime indiscrezioni, Michael Bloomberg si è speso per convincere alcune persone a valutare l’opportunità di correre per la poltrona di City Hall: a cominciare dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, passando per il senatore democratico Charles Schumer e per finire all’immobiliarista miliardario e con la passione per l’editoria Mortimer Zuckerman. La sua esperienza lo ha convinto che il sindaco giusto deve avere alcune caratteristiche precise. Intanto, deve essere conosciuto bene in tutti gli Stati Uniti, e se poi ha anche fama a livello internazionale, questo è un elemento positivo. In secondo luogo, pur essendo lo stipendio del sindaco pari a 225 mila dollari l’anno, è preferibile che il candidato ideale abbia una situazione finanziaria e patrimoniale consolidata per evitare le sirene dei lobbysti e dei gruppi di interesse che in una città come New York sono forti, agguerriti e capaci di arrivare dappertutto. Infine, e questa può essere la carta decisiva, non deve essere un partigiano della politica, non deve vedere la sua appartenenza a un partito come un dogma indiscutibile e la bussola che guida comunque le decisioni politiche. New York ne ha avuti parecchi di sindaci ideologici, ma dagli anni Novanta i cittadini non sembrano più amarli. Vedi Rudy Giuliani, repubblicano doc che si è fatto benvolere dai newyorkesi, che sono democratici in larga maggioranza, per aver detto no a quella idea di libertà che sconfinava nella tolleranza di comportamenti al limite della legalità. Giuliani è sempre stato intransigente nel voler far rispettare leggi e regolamenti, ma aperto in ciò che riguarda gli stili di vita, le preferenze sessuali, le scelte culturali, tanto è vero che uno dei suoi maggiori divertimenti era travestirsi da donna ed esibirsi ballando e cantando. Michael Bloomberg, che è riuscito a farsi eleggere sindaco tre volte (anche se una parte dei suoi elettori lo ha abbandonato nel 2009 perché ha cambiato idea sul numero massimo dei mandati fissati a due, lui consenziente, e che poi ha aumentato a tre), è l’evoluzione della specie politica che ha trovato a New York il suo habitat naturale: è molto conosciuto nel mondo per aver costruito il suo impero partendo dall’idea di un terminale che potesse fornire tutti i dati in tempo reale sulla Borsa, l’economia, l’andamento delle aziende; è straordinariamente ricco (patrimonio di 25 miliardi di dollari che ha deciso di dare in beneficenza quando non ci sarà più costituendo già oggi la fondazione che se ne occuperà); democratico prima di diventare sindaco, si è candidato sotto le bandiere repubblicane, poi ha lasciato il partito iscrivendosi nelle liste elettorali come indipendente, è un difensore di Wall Street e dei bilanci pubblici in regola, ma al tempo stesso vuole regolamentare la vendita delle armi, è per il diritto di scelta delle donne e dei gay, ritiene che ci si debba occupare di ambiente per preservarlo e che l’America abbia bisogno di una legge sull’immigrazione. Insomma, per semplificare, il suo cuore batte a sinistra e il portafoglio è custodito a destra. Consultandosi solo con poche persone, Bloomberg ha cominciato qualche mese fa a cercare il suo successore: una mossa che difficilmente piacerà ai suoi governati perché gli americani non amano la cooptazione ma preferiscono la competizione fatta di primarie tra tutti i pretendenti a una carica elettiva e poi lo scontro finale a due. Dicono che la prima telefonata sia stata fatta a Hillary Clinton, in quei giorni ancora Segretario di Stato ed ex senatore dello Stato di New York. La ex regina della politica estera americana ha lasciato cadere l’invito a pensare a un futuro a City Hall. Poi, è stata la volta di Charles Schumer, senatore democratico, molto ascoltato nel partito, vicino a Barack Obama, ottimi rapporti con Wall Street, d’accordo con Bloomberg su diritti civili, bando delle armi automatiche e nuova legge sull’immigrazione. Ma è arrivato un secondo no. Il terzo profilo individuato da Bloomberg è quello di un altro appartenente al club dei miliardari d’America: Mortimer Zuckerman che come il sindaco in carica ama la filantropia, conosce i meccanismi del mondo dell’editoria e, soprattutto, ha un cuore abbastanza liberal ed è conservatore in economia. Zuckerman è stato il solo a confermare indirettamente l’attività di scout di Bloomberg: «È vero che mi ha parlato della prossima competizione elettorale per City Hall. Ma non è stato il solo». I tentativi del primo cittadino di New York non hanno sortito alcun risultato concreto. Le risposte di convenienza, sia pure piene di interesse, non si sono tramutate in annunci di candidature e neanche in quelle mosse politiche come una intervista sul modo di amministrare una metropoli o l’annuncio di un comitato di sponsor che in modo autonomo annunciano di voler esplorare quanto possa essere gradito un nome in vista di una possibile candidatura. Secondo il "New York Times", Bloomberg ha pensato anche ad altri ipotetici candidati, uno che ha poco nulla a che fare con la Grande Mela, l’altro già impegnato nel governo della città. Ne ha parlato con un politico di carriera come Edward Rendell, democratico, oggi sindaco di Filadelfia ed ex governatore della Pennsylvania. Altro approccio, quello di Edward Skyler, il più giovane della lista di Bloomberg, che ha già lavorato con il sindaco ai tempi della prima campagna elettorale come addetto stampa e poi fu promosso vice sindaco responsabile per le operazioni di New York. Chi non ha preso per niente bene la ricerca di Bloomberg è Christine Quinn, la tosta speaker del City Council, ovvero la leader del gruppo di maggioranza, la sola dell’amministrazione a dichiarare la propria omosessualità (l’anno scorso ha sposato la sua compagna, invitato d’onore il sindaco). Fino a pochi mesi fa Bloomberg aveva appoggiato la spada della investitura per la campagna 2013 sulla spalla della Quinn. Come Christine hanno storto il naso gli altri che già avevano annunciato la scelta di correre per le primarie del loro partito per ottenere la nomination a candidato a City Hall. Per i democratici in tre oltre alla Quinn: Bill De Blasio, oggi Public Advocate della città, una posizione per mantenere sempre aperto il colloquio tra i cittadini e le istituzioni; John Liu, il City Comptroller, di fatto il ministro delle finanze newyorkesi; William Thompson, il predecessore di Liu e oggi ai vertici di una banca di investimento specializzata in bond comunali. Per i repubblicani vogliono partecipare alla sfida elettorale l’editore Tom Allon e l’ex capo delle metropolitane cittadine Joe Lhota (per i conservatori ha annunciato una corsa solitaria il re dei supermercati Gristedes, John Catsimatidis). I sei hanno poco in comune tra di loro, se non la voglia di vincere le primarie del loro partito e poi tentare l’assalto a City Hall. Però, la sera di giovedì 24 gennaio, in una pubblica assemblea organizzata dal quotidiano "Daily News" (l’editore è Mortimer Zuckerman) tra di loro hanno usato parole eleganti, al massimo qualche puntura di spillo. Ma tutti insieme hanno avuto critiche in abbondanza per il sindaco Michael Bloomberg. Il messaggio era chiaro: il prossimo sindaco lo scelgono i cittadini di questa metropoli.