Giovanni Tizian, l’Espresso 8/2/2013, 8 febbraio 2013
Buttate giù l’antenna Usa – Trent’anni dopo Comiso, tocca oggi a Niscemi dichiarare guerra agli americani
Buttate giù l’antenna Usa – Trent’anni dopo Comiso, tocca oggi a Niscemi dichiarare guerra agli americani. Per una base spaziale che nessuno vuole – Il progetto ricorda fin troppo la fantascienza. Tre torri ciclopiche, alte 24 metri con in cima parabole da 18 metri di diametro: ognuno di questi colossi d’acciaio pesa 250 tonnellate ed è piantato in un basamento di mille tonnellate di cemento. Oggi dal belvedere di Niscemi, un balcone affacciato su distese di piantagioni di carciofi, il cantiere dove sorgeranno queste antenne appare come una ferita tra gli antichi sughereti di una riserva naturale. All’orizzonte si stagliano altri giganti minacciosi: le ciminiere bianche e rosse del petrolchimico di Gela. Quando soffia lo scirocco, l’odore acre delle raffinerie arriva fin qui e la gola brucia. L’inquinamento è di casa, come le malattie respiratorie e i tumori. Per questo gli abitanti non vogliono convivere con nuove paure, con il timore di raggi invisibili dagli effetti sconosciuti. E sono pronti a tutto per impedire che la nuova base spaziale americana cresca davanti alle loro finestre. Martedì 5 febbraio il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, ha revocato le autorizzazioni concesse dal predecessore Lombardo. Così, trent’anni dopo la battaglia per gli euromissili di Comiso, quest’angolo dell’isola si mobilita di nuovo contro una installazione statunitense, ignorata fino a oggi dal resto del Paese come se si trattasse di una questione locale. Ma quelle di Niscemi non sono antenne qualunque: diventeranno il pilastro della madre di tutte le reti, destinata a rendere concreto il controllo del Pentagono su tutto il mondo. Il Muos (Mobile User Objective System) infatti è il sistema che trasformerà le forze armate americane in un unico network, capace di scambiare dati ovunque e comunque. Coprirà l’intero pianeta, grazie a una costellazione di satelliti, permettendo a ogni singolo soldato di essere sempre connesso con aerei, droni, navi e quartieri generali: funzionerà dentro le foreste più impenetrabili e negli oceani in tempesta, nelle gole dell’Afghanistan e nei deserti del Mali. IL SITO. Il progetto costerà complessivamente sei miliardi e la Casa Bianca non intende rinunciarvi: vuole renderlo operativo entro il 2016. Per entrare in servizio il Muos ha bisogno di quattro basi terrestri. E quella più importante, che smisterà il traffico anche su Medio Oriente e Africa, sta sorgendo a Niscemi. Per i vertici del Pentagono è stata una scelta obbligata. L’Italia è il Paese più affidabile, l’unico del Mediterraneo che non li abbia mai traditi. In più le preziose antenne hanno bisogno di protezione, che in caso di conflitto può essere fornita da Sigonella, distante 60 chilometri. Quando il sito di Niscemi è stato presentato ai politici italiani, nessuno ha chiesto particolari garanzie. I cablo di WikiLeaks hanno svelato parte dei colloqui, con il pressing della Casa Bianca sul governo Berlusconi. L’allora sottosegretario Gianni Letta e il ministro della Difesa Ignazio La Russa si sono fidati delle assicurazioni di Washington: «Non ci saranno problemi per la salute» (vedi box a pag. 54). Su un solo punto gli americani non sono riusciti a sfondare: ottenere una sorta di extraterritorialità della base, che tenesse lontana la magistratura. E ora proprio le procure rischiano di ritrovarsi in prima linea nella battaglia delle antenne, condotta da una coalizione di comitati con anime molto diverse. Ecologisti, intellettuali, antimilitaristi, autonomi del movimento No Tav, militanti della sinistra e associazioni legate alla destra. Ma anche cittadini senza alcuna appartenenza politica. A fare paura sono proprio i rischi per la salute. Il Muos non è ancora operativo e non esistono studi sul campo sulle emissioni. Due delle altre tre stazioni riceventi, gemelle di quella siciliana, sono in zone semidesertiche: in Australia e nelle Hawai. La terza è a Norfolk, in Virginia, una città dove tutta l’economia ruota intorno ai militari. Mentre a Niscemi la maggioranza della popolazione pensa che le antenne porteranno solo guai. LE EMISSIONI. Contrariamente alla campagna contro gli euromissili, dominata dalla figura del parlamentare comunista Pio La Torre, non ci sono partiti nazionali a guidare la protesta. Oggi in prima fila ci sono i sindaci del posto. E non è solo il pacifismo a essere invocato durante le manifestazioni. Il dissenso di anziani, intere famiglie, studenti, lavoratori, è spinto dalla preoccupazione per i danni che potrebbero provocare le onde elettromagnetiche della base: l’ennesima installazione nella contrada Ulmo che dista appena tre chilometri dal paese. E dalla necessità di tutelare la riserva naturale "Sughereta" dove, tra querce e boscaglia, è attivo il centro operativo Us Navy con altri 47 ponti radio. Gli esperti sono divisi. Uno studio del Politecnico di Torino denuncia la pericolosità del Muos per la salute e per l’integrità dell’area, tanto delicata e fragile da rientrare in sito naturale di interesse comunitario. Dall’altro canto, l’Arpa Sicilia sostiene che i valori delle onde emesse dalle attuali antenne in funzione sono prossimi alla soglia di allarme. Mentre sulle nuove parabole satellitari sarà possibile eseguire misurazioni affidabili solo dopo l’entrata in servizio. A ostacolare le analisi dell’Arpa, però, è calato anche il segreto militare: il filo conduttore di tutta questa storia che sembra essere stata scritta ai tempi della guerra fredda. Gli esperti della Regione hanno dovuto prendere per buone le garanzie dei generali: secondo loro, le attuali antenne non funzioneranno simultaneamente e verranno dismesse quando la nuova rete sarà pronta. Ma non è chiaro neppure se l’inclinazione delle parabole Muoss sarà orizzontale o verticale. Dalla relazione dell’Aeronautica italiana risulta in posizione orizzontale: un fattore di rischio maggiore per la salute. IL GOVERNO. Se la partita tecnica è complicata, quella politica appare ancora più difficile. Il governo Monti ha fatto quadrato intorno alla base: «Il Muos è un asset strategico per la Nato, non solo per gli americani», è stato ribadito durante la visita a Roma del segretario alla Difesa americano Leon Panetta. In realtà, l’accesso degli alleati alla rete satellitare finora non è stato definito: al momento il progetto è esclusivamente Usa. Ma il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha messo nero su bianco che «è sito di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati», aggiungendo che non saranno tollerati «comportamenti che impediscano l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale e la libera circolazione connessa a tali esigenze, tutelate dalla Costituzione». Un muro, che non sembra lasciare speranza ai dimostranti. I COMITATI. Come si è visto, al loro fianco si è schierato il governatore Crocetta che ha detto no alle autorizzazioni di Lombardo. La cui giunta aveva potuto contare sul sostegno del Pd siciliano e all’epoca dello stesso eurodeputato Crocetta: l’intesa aveva fatto cadere nel vuoto gli appelli dell’ex sindaco di Niscemi, il pd Giovanni Di Martino, promotore di una battaglia legale contro le antenne. Il suo procedimento davanti al Tar è ancora aperto ma nel frattempo è subentrata la nuova giunta comunale guidata da Francesco La Rosa, un tempo autonomista alla corte di Lombardo e capopopolo della "rivolta dei forconi", oggi al fianco dei No Muos. Soddisfatti a questo punto dovrebbero essere i grillini, fortissimi nel consiglio regionale, che avevano minacciato di bloccare la finanziaria di Palazzo dei Normanni se non fosse stata fermata l’opera. Per gli americani l’operazione sembra profilarsi più complicata del previsto anche perché si sono rifiutati di confrontarsi con l’assemblea regionale. I GIUDICI. La procura di Caltagirone ha preso posizione lo scorso 6 ottobre, mettendo i sigilli al cantiere. È l’iniziativa che fa più paura agli americani: le condanne degli uomini della Cia per il sequestro Abu Omar hanno dimostrato quanto sia difficile confrontarsi con la giustizia italiana. I pm guidati da Francesco Paolo Giordano ritengono che nella costruzione del Muos siano stati commessi abusi, violando le leggi sulle aree protette. Al momento ci sono sei indagati: gli imprenditori, i subappaltatori e il direttore lavori. Ma l’inchiesta, secondo fonti de "l’Espresso", è destinata ad allargarsi e potrebbe coinvolgere altre persone che hanno contribuito sul versante amministrativo a rendere possibile l’edificazione dell’impianto. Il Tribunale del Riesame ha dato torto alla procura, annullando il sequestro: l’ultima parola spetta alla Cassazione. Le indagini si scontrano anche con un muro di silenzio innalzato dagli americani. Per nulla collaborativi, da quanto risulta a "l’Espresso". Secondo la procura, l’impianto satellitare ricade sotto la giurisdizione italiana perché i terreni appartengono al nostro ministero della Difesa. Tesi contestata dai legali del dicastero, secondo i quali l’azione dei pm avrebbe avuto «un impatto negativo nelle relazioni tra Italia e Usa nell’ambito Nato». Ma la legge è legge. E se è territorio italiano, allora le procedure sono state aggirate. «L’impianto militare pur non avendo bisogno di concessione edilizia», si legge nel ricorso inviato alla Cassazione, «è privo di valida autorizzazione paesaggistica in quanto le procedure adottate sono illegittime». I magistrati di Caltagirone vanno anche oltre: scrivono che queste anomalie sono «indice di un eccesso di potere». Con una questione chiave: il Muos è al servizio della Nato, e quindi anche dell’Italia, oppure «serve solo alle strategie belliche statunitensi»?