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 2013  febbraio 08 Venerdì calendario

SETTE OSPEDALI SU DIECI A RISCHIO CROLLO DURANTE UN TERREMOTO

[L’inchiesta parlamentare: la metà degli edifici ha 50 anni] –

Almeno 200 edifici ospedalieri che rischiano di sbriciolarsi in caso di terremoto, anche perchè quasi la metà degli ospedali raggiunge il mezzo secolo di età; cure disomogenee non solo tra Nord e Sud del Paese ma anche tra Asl confinanti. E ancora: irregolare una struttura su quattro per l’assistenza agli anziani, cure psichiatriche troppo spesso carenti e con un uso dell’elettroshock in ben 91 strutture ospedaliere, consulenze che costano quanto il super-ticket su visite e analisi, terapia del dolore semi-sconosciuta al Centro-Sud, con il 68% del consumo di oppiacei concentrato al Nord.

È la fotografia scattata dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino. E non a caso proprio ieri tre importanti istituti di ricerca europei hanno fatto scivolare l’Italia al 21° posto per qualità dei suoi servizi sanitari. Il posto da damigella d’onore che anni fa ci riservava l’Oms è un ricordo e i dati dalle Commissione ne sono la riprova. Brutte notizie anche sulla sicurezza: con un terremoto molto grave il 75% dei nostri ospedali crollerebbe, ma anche con terremoti meno violenti il 60% farebbe la stessa fine. Questo perché gli ospedali italiani sono quasi tutti in età di pensione. Eppure la Corte dei Conti ha denunciato che quasi 10 miliardi stanziati per l’edilizia ospedaliera non sono mai stati spesi dalle regioni, spendaccione quando si tratta di foraggiare feste e rimborsi spese.

Sulla qualità delle cure la Commissione conferma un’Italia a due velocità, con differenze marcate anche nella stessa regione. Ma di solito è il Sud che arranca. Fratturarsi al femore è ad alto rischio di invalidità in Basilicata, dove appena il 16% delle strutture opera entro il limite di sicurezza delle 24 ore, mentre a Bolzano la percentuale supera l’83%.

Un altro indicatore di efficienza oramai noto è quello dei parti cesarei, dove si fa fatica a giustificare l’abbondante 61% di ricorsi al bisturi in Campania contro il 23% del Friuli. Le donne che iniziano la radioterapia entro sei mesi dopo un intervento per tumore alla mammella sono il 55% in Emilia e solo il 5% in Molise. E così si potrebbe continuare per altri indicatori.

La situazione è decisamente a macchia di leopardo nell’assistenza psichiatrica. I servizi psichiatrici ospedalieri rimangono spesso luoghi chiusi «con ancora largamente diffuse pratiche di contenzione». Insomma sono

«mini-manicomi» che sopravviverebbero in barba alla «legge 180», anche perché a causa della carenza di strutture di assistenza territoriale, denuncia la Commissione, si finisce spesso per derogare ai tempi massimi di ricovero consentiti dalle leggi nazionali e regionali. «Ma il dato che ha sorpreso tutti i componenti della Commissione è quello delle 91 strutture che ancora praticano l’elettroshock, 14 solo in Sicilia», ha rivelato Marino. «Sappiamo che sulla sua validità esiste una letteratura scientifica contrastante, ma quello che ci ha colpito –ha specificatoè che in molti casi sia stato adottato come prima scelta terapeutica, senza tentare prima altre strade, come quella farmacologica». «Una pratica sbagliata e da correggere», afferma Marino, che ammettendo i limiti delle commissioni d’inchiesta propone di creare una agenzia nazionale di controllo del servizio sanitario «con poteri sanzionatori».

Anche rispetto alla diffusa corruzione, certificata dalla relazione, dalle gare d’appalto truccate o mai effettuate alle prestazioni fatturate più volte, che la stessa commissione attribuisce in parte anche all’invasione della politica nella gestione sanitaria. Conclusioni sottoscritte anche dalla Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali.