Massimiliano Castellani, Avvenire 8/2/2013, 8 febbraio 2013
QUEI PAISA’ DI GERMANIA SALVATI DALLA FABBRICA DEL GOL
«Mascìa, Melis, Sgattoni, Furlan... Si chiamavano così i “pionieri” della nostra Lupo». È il ricordo nostalgico di Rocco Lochiatto, presidente della Usi Lupo Martini, la prima società di calcio italiana ammessa a un regolare campionato tedesco (la Rft). Una storia sportiva assolutamente singolare per la Germania e forse, ai tempi, anche per l’Europa. Una vicenda tutta italica, cominciata, e mai interrotta, esattamente 50 anni fa, stagione calcistica 1962-’63, quando la Lupo venne fondata da un gruppo di nostri paisà , emigrati a Wolfsburg. Gente affamata in cerca di lavoro, «il 99% di noi arrivava dal Sud», dice Lochiatto, calabrese di Acquaro ( Vibo Valentia) che, come tutti, nella città della bassa Sassonia, si è fermato per lavorare nella «fabbrica», la Volkswagen. L’industria automobilistica qui dà da mangiare a quasi la metà della popolazione locale. «Sono circa 55mila le persone impiegate attualmente alla Volkswagen e quei 2-3 mila italiani che arrivarono qui agli inizi degli anni ’60 sono stati il cuore pulsante della fabbrica». Le basse forze, le tute blu che alloggiavano nella Berliner Brücke, la “baraccopoli” dove sorse anche il temutissimo e polveroso campo degli emigrati italiani. In quell’area di lacrime e sudore operaio, ora sorge la “Volkswagen Arena”, lo stadio del Wolfsburg che, a sorpresa, nella stagione 2008-2009, per la prima volta nella sua storia conquistò la Bundesliga. Protagonisti assoluti di quella squadra campione di Germania furono i due azzurri, i campioni del mondo di Berlino 2006, Barzagli e Zaccardo. Anche loro, con l’altro campione del mondo Luca Toni, di passaggio durante una trasferta con il Bayern Monaco, la storia della Lupo Martini l’hanno ascoltata dai figli dei figli di quella squadra pionieristica. «I capi-baracca ogni domenica organizzavano partite fra i nostri operai emigrati. Il calcio serviva a farli svagare, a sentire di meno la nostalgia di casa, di mogli e figli rimasti in Italia». Cominciarono così, a tirare calci sul campo sterrato davanti alle baracche in cui «spesso si dormiva ammassati in una stanza, in pochi metri quadrati», ricorda il presidente onorario Gobbato. Quelle partitelle fra amici e compagni di reparto, presto animarono un regolare torneo interno. Un campionato di «italiani all’estero», a cui prendevano parte almeno 14 squadre che a forza di giocare avevano solcato quel campetto, allora periferico. Poi la grande intuizione: perché non creare una squadra unica con i “migliori” elementi e sfidare i tedeschi? «Quell’idea venne al dottor Cervellati e a don Enzo Parenti, uomo illuminato che fu anche tra i direttori del Corriere d’Italia , uno dei giornali più letti dalla nostra comunità.
Decisero di chiamarla Lupo, in tedesco “Wolf”, in onore della città che ci ospitava. Poi quando il numero degli italiani residenti a Wolsfsburg salì fino a 12mila sorse la Us Martini». La seconda squadra degli italiani, «l’avversaria dei derby infuocati con la Lupo», venne fondata nel 1970, l’anno della “partita del secolo”, la semifinale dei Mondiali di Messico ’70, Italia-Germania 4-3. Di quella storica partita degli azzurri di Valcareggi, «il grande riscatto sociale per noi italiani di Germania», tutti hanno un ricordo nitido, tramandato ai nipoti, mentre non si hanno notizie certe sulla denominazione della Martini. C’è chi dice che fosse stata creata da un nostro connazionale con quel cognome.
Oppure che quegli italiani a caccia di fortuna provarono a mettergli il nome della marca del celebre cocktail, sperando in una sponsorizzazione. Enigma sciolto nella fusione del 1981, con la nascita dell’attuale Lupo Martini. Quella squadra univa la migliore tecnica dei ragazzi della Martini, con la proverbiale foga agonistica della Lupo. «Nelle sfide con i tedeschi in campo volavano calci, gomitate e parole grosse. Loro provocavano e noi reagivamo all’italiana». Ma alla fine non ce n’era per nessuno, vincevamo un campionato provinciale dietro l’altro - continua Lochiatto - . Un anno ci diedero una penalizzazione di 15 punti per evitare che scalassimo ancora di categoria. I tedeschi si arrabbiavano, perchè, specie in casa, il nostro slogan era: non passa lo straniero». Un monito puntualmente realizzato in quelle gare casalinghe con cornici di pubblico che all’epoca neppure il Wolfsburg poteva vantare. Al campetto, come testimoniano le foto ricordo appese alle pareti della sede, ogni domenica si assiepavano anche 2-3mila spettatori e le trasferte erano invasioni pacifiche nei paesi vicini, con spedizioni dei mille, italiani a riposo dalla fabbrica, al seguito della loro squadra del cuore. «Oggi la prima squadra milita nella serie D tedesca con prospettive di promozione e ad allenarla è un nostro ex talento, l’italospagnolo Francisco Coppi. Lo spirito è rimasto quello di cinquant’anni fa: prima viene il lavoro e i turni in fabbrica, poi il calcio, che è una passione ripagata con cene dopo le partite e piccoli rimborsi spese per la benzina». Quello spirito e la passione intatta, dieci anni fa hanno dato vita a un nuovo centro sportivo che ospita oltre 300 ragazzi del settore giovanile. «I figli degli italiani di seconda e terza generazione sono ancora la maggioranza, ma ora abbiamo ragazzi appartenenti ad almeno dieci nazionalità diverse».
Una società multietnica e multiculturale la Lupo Martini, diventata un punto di riferimento prezioso per l’intera comunità di Wolfsburg, ma che non dimentica mai le sue radici italiane. E per festeggiare il 50° della fondazione del club, dall’Italia sono arrivate le vecchie glorie del Milan (Franco Baresi, Costacurta, Massaro, Papin e Bobo Vieri) per un triangolare con quelle del Wolfsburg e l’attuale formazione della Lupo Martini che ha schierato i suoi «vecchi eroi»: Giuseppe Genetiempro, Angelo Gilbo, Giovanni Carboni, Luciano Mileo e Mario Barberi. «Ha vinto il Milan, ma prima di tutto ha vinto la nostra gente. Una festa e un triangolare bellissimo, realizzato grazie alla collaborazione dell’ex responsabile marketing del Gruppo Volkswagen - ora dirigente dell’Audi , Luca De Meo che è un grande amico della comunità italiana». Una comunità da sempre unita e generosa che durante il triangolare ha raccolto 25mila euro devoluti a “Starthilfe”, un’iniziativa benefica che ha coinvolto le tre Chiese (Evangelico, Luterana e Cattolica) della città con l’obiettivo di finanziare progetti rivolti alle scuole per migliorare lo sviluppo psico-fisico e l’integrazione sociale giovanile.
Un’integrazione che alla Lupo Martini, 50 anni dopo, sanno che è cominciata grazie a un pallone.