Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 7/2/2013, 7 febbraio 2013
BERLINO SEPARA IL CREDITO DAL RISCHIO [
Per l’opposizione il piano del Governo è troppo soft, per le banche troppo severo] –
FRANCOFORTE
È subito polemica sul progetto di legge annunciato ieri dal Governo tedesco per indurre le banche a separare alcune delle loro attività più rischiose dalle operazioni bancarie tradizionali. L’opposizione, che ha deciso di fare di una più stretta regolamentazione della finanza uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale in vista del voto del settembre prossimo, sostiene che le proposte non sono abbastanza severe, mentre l’associazione degli istituti di credito ritiene che possano mettere a repentaglio lo sperimentato modello di banca universale su cui si regge il sistema tedesco.
Come previsto, le misure annunciate ieri dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, riguardano un novero limitato di attività: il trading condotto per conto proprio, i prestiti agli hedge fund, l’high-frequency trading. E solo quando i volumi associati a queste operazioni superino i 100 miliardi di euro oppure il 20% dell’attivo totale di un singolo istituto. In tal caso andranno separate (a partire dal 2014 ed entro la metà del 2015) dall’attività bancaria tradizionale. Le nuove norme si applicherebbero comunque solo a banche con un attivo superiore a 90 miliardi di euro, il che esclude tutte le popolari, meno la Dz, e le casse di risparmio. Secondo Schäuble, in base ai dati di bilancio 2011, potrebbero essere interessati 10-12 istituti, anche se il regolatore bancario, la Bafin, può decidere di intervenire anche su altri; secondo molti analisti, di fatto, la legislazione finirà per riguardare solo Deutsche Bank, Commerzbank e Landesbank Baden-Württemberg, gli unici citati nelle raccomandazioni del gruppo di esperti europei presieduto dal governatore della Banca centrale finlandese Erkki Liikanen, che ha affrontato questo tema, e avrà effetti modesti anche su queste tre.
L’ambito limitato della proposta (che include anche pene detentive fino a 5 anni per i banchieri che prendano decisioni che mettano a rischio il proprio istituto) la allinea con quella presentata dal Governo francese, ma è lontano dal maggior impatto di quella avanzata nei giorni scorsi dal Governo inglese e quattro mesi fa dal gruppo Liikanen. Per questo, il progetto tedesco è stato definito ieri da Bernhard Speyer, analista di Deutsche Bank, «Liikanen-light».
L’iniziativa sembra essere dettata dalla tattica del Governo Merkel di cercare di sottrarre all’opposizione ogni tema che questa ha avanzato in vista delle elezioni, facendolo proprio, ma con una proposta diversa. La Germania cercherebbe inoltre, muovendo per prima, di indirizzare le scelte a livello europeo su un approccio più simile a quello tedesco che al piano Liikanen. Le proposte della Commissione, che comunque rappresenteranno già un ammorbidimento delle proposte del gruppo di esperti non arriveranno prima di settembre.
Nei mesi scorsi, il candidato socialdemocratico Peer Steinbrück ha insistito ripetutamente sulla necessità di regolamentare le banche in modo più stringente, per salvaguardare i risparmi dei depositanti ed evitare nuovi salvataggi con soldi pubblici. L’obiettivo del Governo è di far passare la legge entro giugno, ma l’opposizione che oggi conta sulla maggioranza alla seconda camera, il Bundesrat, potrebbe forzare un rinvio fino alle elezioni, quando la proposta decadrebbe. La Spd e i Verdi hanno subito contestato ieri l’annuncio di Schäuble, bollandolo come un espediente elettorale.
Di segno opposto le reazioni delle banche. Andreas Schmitz, presidente della loro associazione, la Bdb, ha affermato che la proposta «è sulla strada sbagliata. Indebolisce la Germania come centro finanzario e lo sperimentato sistema tedesco della banca universale». Recentemente, anche diverse associazioni di imprese tedesche hanno contestato un eccesso di regolamentazione del settore finanziario che possa condurre a limitazioni del credito e hanno criticato le proposte di Liikanen.
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L’ITALIA NON NE HA BISOGNO –
La separazione tra le attività commerciali e quelle di investimento allo studio in Germania, già attuata in altri Paesi, è un tema che non si pone in Italia. Nel nostro Paese infatti gli istituti di credito hanno un modello di business più "tradizionale" in cui il peso delle attività di trading è nettamente inferiore alle attività di credito a famiglie e a imprese. Per questo, ai tempi del crack di Lehman Brothers del 2008, lo Stato non ha dovuto nazionalizzare alcun istituto. Questo non vuol dire comunque che siano immuni dagli eccessi della tecno-finanza, come ha dimostrato il recente scandalo derivati di Mps.