Malcom Pagani, il FAtto Quotidiano 7/2/2013, 7 febbraio 2013
LA MIA NUVOLA, SVANITA PER LE FAIDE DEI PARTITI
Nella crociata itinerante di un’arte che da Tbilisi traccia rette fino a Doha, Massimiliano Fuksas non disegna tra le nuvole. Le osserva sospese sul temporale giudiziario che blocca il cielo sopra l’Eur e bagna nella pioggia sporca i vecchi compagni di strada del progetto: “Non so cosa facesse Riccardo Mancini di notte, né se di cognome si chiamasse Hyde. So che per la Nuvola si è battuto, ha cercato i soldi e non ha perso una riunione. Insieme al sindaco, è stato l’unico. Non lo voterei mai, Alemanno, ma lui lo sa benissimo”. Ora che sul Polo congressuale di Roma soffia il vento dell’Antartide e ibernano anche le profezie di Veltroni: “Saremo pronti nel 2009”, Fuksas rimira il plastico: “Vede la luce? Le vibrazioni?”, culla l’attesa con fatalismo: “Finiremo. Che ci vuole? Se avessimo un’impresa mancherebbero pochi mesi”, e il ritardo con disillusa amarezza: “La Nuvola nasconde una storia meravigliosa, molto italiana. I soldi ci sarebbero ma la verità è che qui i partiti si stanno ammazzando tra loro, le faide interne bloccano un Paese che già alla fine del ’68 aveva perso il desiderio di diventare moderno e domina l’invidia. In Francia, se hai successo, ti proteggono. Qui ti vogliono morto”.
Chi esattamente?
Gli stupidi. Con loro non c’è rimedio. Devi sperare che dio esista e faccia il suo mestiere. I problemi degli amici diventano miei, ma dei nemici non mi occupo. In Italia a certi livelli tutti parlano male di tutti e cercano di fotterti. Ai premi è una regola: “Mai aiutare un connazionale”. Io ho una cultura internazionale e gli italiani cerco di farli vincere.
Fuchs in tedesco significa volpe.
Ma io non ho mai inseguito il potere. Mio padre è morto quando avevo sei anni e ho ricevuto un’educazione femminile. Mamme, zie e machismo bandìto. Qualunque psicanalista le direbbe che non ho introiettato il senso del comando. Ero il diverso, quello col cognome straniero. Fisicamente poi ero debolissimo. Se girava uno schiaffo lo prendevo io. C’è una mia foto con Giorgio Caproni. Nel Montgomery sembro minuscolo.
Dicono abbia reazioni inconsulte.
Dicono che sono violento solo perché mi difendo. Qualcuno mi incontra e ha paura in anticipo. Può essere molto rilassante.
Fuksas, l’archistar.
Soprannome orribile. Artigiano al massimo, mai iscritto a nessuna lobby. Amavo il movimento, diffidavo dei capetti e detestavo i gruppettari già nel ’68. Un collo di bottiglia. La fine di un’epoca, non l’inizio di una nuova era. Quando lo spontaneismo corale cominciò a indossare sigle come Lotta Continua o Potere Operaio e i vecchi amici come Scalzone si fecero prendere la mano, scelsi come tutti, una strada diversa. Rimasi distante anche dalla trappola maoista. Con la contessa Sebregondi a regalare i mobili e le curiosità che mi porto dietro da 40 anni.
Curiosità?
Vorrei chiedere a Michele Santoro se ai tempi fosse davvero passato da “Servire il popolo”. Me lo dimentico sempre.
Nella confusa cosmogonìa dei ’60, Stefano Delle Chiaie la colloca in Avanguardia Nazionale.
Sono un anarchico, si figuri se posso militare. O sono il capo oppure non ci posso essere. (ride).
E Delle Chiaie?
Si sbaglia e non di poco. Forse perché avevo origini lituane e a Kaunas, dove il mio bisnonno estraeva il sale, essere comunisti era impossibile. Gli ebrei non potevano studiare. E noi eravamo ebrei. Lui mandò un figlio in Africa a cercare diamanti nel Transvaal e l’altro a Heidelberg per studiare medicina. Qui conosce una ragazza, si sposa, fa due figli, muore in guerra e lascia mia nonna in piena rivoluzione russa. Papà era del 1910. Mi raccontava che a Mosca i pianoforti volavano dalla finestra. Sono stato fortunato. La mia famiglia è passata attraverso la persecuzione con la conoscenza delle lingue e gli alberi genealogici inventati. Anche la razza è un’invenzione. Paraideologica.
Lei ha conosciuto Pasolini.
Nei ’60. Quando era chiaro che i soldi non servivano, le aspirazioni sembravano possibili e l’interclassismo una realtà. Oggi la nevrosi è un desiderio inappagato all’infinito, la gente si frequenta a segmenti e Pasolini che ripudiava il consumismo, frequentava le borgate e degli studenti se ne fregava proprio: sarebbe rimasto sgomento. Ci scrivemmo lettere terribili su Valle Giulia, poi iniziammo a giocare a calcio insieme. Io ero il 10, lui il numero 7. Bravo in campo, campione nel “dito di ferro”: medio contro medio. O ti arrendevi o te lo spezzava. Abitavo a Monteverde, ma a casa non stavo mai. Meglio piazza Rosolino Pilo. Meglio Ostia.
Ostia?
Giancarlo Ceccanei, il più povero della comitiva, veniva con noi al mare. Immigrato veneto, Ceccanei. Come Ilvo Diamanti. Una volta mi trovo a un consesso scientifico della Confindustria. Vicino alla Fornero. Atmosfera lunare. Diamanti parla e dice: “Vengo da Cuneo”. Per uno di quei pregiudizi, diffusi e irrefrenabili, Cuneo provoca ironia e in sala si diffonde ilarità. Allora parla ancora e dice solo: “Sono di Cuneo, ma la mia famiglia viene dal Veneto e le mie zie hanno servito nella case di Torino”. Gelo in sala. Montezemolo accovacciato sulla poltrona.
La descrivono venale. “Fuksas è strapagato” giurano.
Sono balle. Entrambe. Dei soldi, a quasi 70 anni non mi importa niente. A Tbilisi, ad esempio, manca denaro per finire l’opera che abbiamo iniziato. È venuto il sindaco: “Non abbiamo più finanziamenti”. “Che problema c’è?”. Ci perderò, ma concluderemo. Accade spessissimo. Affronto alcuni progetti semplicemente per potermi permettere i miei sogni. Il resto va nell’ufficio. Ci lavorano più di 100 persone. Il denaro per il denaro, come dimostra il caso Mps è aria. Il niente che si scambia con il nulla.
Per il nuovo grattacielo della regione Piemonte indaga la Guardia di finanza. Ha preso un cachet eccessivo?
È una bugia, di cui qualcuno come Vittorio Sgarbi, sarà chiamato a rispondere in sede penale. Mi ha dato del ladro in tv. Non può passare. L’ho denunciato. La prima querela della mia vita.
Le diede anche del ciccione comunista.
Non mi è mai capitato mai tra le mani. Se gli dessi ciò che merita proverebbe piacere. Vorrebbe i soldi. È un brutto personaggio.
Non le piaceva neanche Bertolaso. In una pizzeria in Prati volarono parole grosse e portacenere.
Non volò niente. Diedi il mio parere ad alta voce. Dissi che non era bello vederlo in quel luogo.
Disse proprio così?
Più o meno. Avevo ragione. Credo proprio di aver avuto ragione.
Crozza la imitava trasformandola in Fuffas.
Mi chiamò. Voleva che andassi in tv. Lo fermai: “Non posso, siamo uguali”.
Berlusconi si ripresenta alle elezioni.
Può vincere. Vede, io sarei anche in pace, purtroppo ho avuto 20 anni di vita rovinata dal berlusconismo. Non accettavo l’ingiustizia e non ho l’indole del fuggitivo, ma per fortuna, mi chiamarono da Parigi. Andai di corsa. Il Lang giovane, il Mitterrand padre della patria, la cultura, il rifugio di cineasti e teatranti. Berlusconi ha creato deviazioni e deformazioni del comune sentire. Pirandellianamente difende la sua “roba”. Maschera tragica. Inquietante. Lo osservi e sospiri: “Non vorrei somigliargli”.
Poi lei da Parigi tornò.
In tempo per assistere al governo Cossutta, Cossiga, D’Alema e alla caduta di Prodi. Brutta storia. Stavolta, se vince Berlusconi parto e non ritorno. È una promessa.
E se le danno un premio?
Lo metto nell’armadio dei mostri. È pieno di cianfrusaglie, in genere bruttissime.