Giorgio Mulè, Panorama 7/2/2013, 7 febbraio 2013
SIGNORI, SI CAMBIA: COSÌ TORNO NEL CUORE DELLE BATTAGLIE
[Renato Schifani]
Per cinque anni è rimasto quasi in silenzio, rispettoso del ruolo e della terzietà che l’alta carica gli imponeva. Ma, ora che le Camere sono state sciolte e si va al giudizio degli elettori, Renato Schifani parla liberamente con Panorama non solo delle esperienze vissute da presidente del Senato ma anche di tutte le speranze e le difficoltà che un buon politico deve già mettere nel conto della prossima legislatura. «Una legislatura nella quale si giocherà sia il futuro della nostra economia sia il futuro della nostra democrazia» dice. «Se le forze politiche non saranno capaci di abbassare le tasse, riaccendere i motori della crescita e ridare una prospettiva ai tanti giovani in cerca di un lavoro, si moltiplicheranno le spinte populiste. L’antipolitica finirà per avere il sopravvento e a quel punto sarà difficile contenere la protesta delle piazze e la violenza delle frange estreme».
Presidente, ma l’antipolitica c’è già. Il movimento di Beppe Grillo non conquista solo le piazze ma anche numerosi seggi in Parlamento...
È vero. In questa campagna elettorale c’è indubbiamente una novità: oltre al tradizionale scontro fra centrodestra e centrosinistra, gli elettori assistono a un confronto molto aspro, a tratti persino velenoso, tra la politica e l’antipolitica. Io non cedo mai alla tentazione di liquidare, con un semplice gesto di insofferenza, istanze e proteste che spesso nascono da un disagio reale della gente. E sto molto attento, dunque, a non bollare il dissenso come un fatto eversivo, anzi. Credo però che bisogna sempre tentare la via del dialogo per scoprire eventuali punti di convergenza. Nella convinzione che, se la politica saprà solo voltare le spalle o badare solo a se stessa, l’antipolitica diventerà sempre più aggressiva e intollerante.
C’è un’altra novità in questa campagna elettorale: la presenza di un terzo polo, quello di Mario Monti. Un centro molto più battagliero e propositivo rispetto a quello rappresentato prima dal solo Pier Ferdinando Casini.
Quella di Monti è indubbiamente una presenza che rischia di indebolire il valore del bipolarismo, inteso come strumento moderno di stabilità e di alternanza. La prossima legislatura ci metterà di fronte a una questione enorme, che è l’ammodernamento dello Stato. Un tema al quale, in quest’ultimo anno, ho dedicato gran parte delle mie riflessioni e del mio impegno politico. Ne ho fatto addirittura un manifesto, dove ho evidenziato i problemi da risolvere subito, se non vogliamo che l’Italia resti un fanalino di coda nello scenario internazionale. Ho insistito sulla riforma del fisco, della giustizia, del lavoro, della burocrazia. Ecco, per avviare un’impresa così importante, direi epocale, ci sarà bisogno di tanta buona volontà, ma anche di tanta stabilità politica. Monti, con il suo terzo polo, sarà di aiuto o di ostacolo alla realizzazione di un progetto così impegnativo? Me lo chiedo.
Ma perché in Italia è così difficile aggregare i moderati?
Lo dico con estrema franchezza: purtroppo nelle pieghe più oscure della politica italiana resiste ancora una forma di antiberlusconismo selvaggio, per non dire violento, che finisce per travolgere e snaturare qualsiasi discorso razionale e costruttivo. Ricordo che pochi mesi fa c’è stato un momento in cui Silvio Berlusconi, pur di riunire i moderati, sembrava deciso a fare un passo indietro. E ricordo pure che il segretario del Pdl, Angelino Alfano, aveva invitato ufficialmente Casini a costruire una casa comune dei moderati. Ma Casini ha alzato la posta, chiedendo addirittura la cancellazione di Berlusconi dalla scena politica. Una richiesta inaccettabile, oltre che irriconoscente e offensiva. Segno appunto di un antiberlusconismo viscerale e inconcludente.
Torniamo al suo manifesto: lei lo ha sottoscritto da presidente del Senato, ora che è candidato, al fianco di Berlusconi, nelle liste del Pdl che ne sarà di quel progetto?
Quel manifesto si integra, in maniera perfettamente compatibile, con il programma che Berlusconi e il Pdl offrono oggi agli italiani. Soprattutto a quegli italiani che, pur di avviare una stagione di grandi riforme, non hanno paura di sfidare l’impopolarità e le resistenze delle tante corporazioni ancora legate ai propri privilegi e alle proprie convenienze. Per ammodernare lo Stato, per introdurre riforme capaci di scardinare incrostazioni e subordinazioni, serve un governo libero dai veti della Cgil. Non dimentichiamo i condizionamenti subiti dal governo Monti a proposito della legge sul lavoro. Si poteva fare tanto, si è fatto invece molto poco. Se ha fallito il governo dei tecnici, figurarsi che cosa succederebbe con un governo delle sinistre: ogni proposta di riforma dovrebbe fare i conti con i veti di Nichi Vendola e Susanna Camusso.
Dunque no a Monti e no a Pier Luigi Bersani e alla sua amica Camusso. Non resta che sperare nella vittoria del centrodestra. Ma lei crede nella rimonta di Berlusconi?
Ci credo, eccome. La leadership ha dato innegabilmente i suoi frutti e sono certo che da qui al giorno delle elezioni saremo nelle condizioni di colmare molte distanze. A differenza dei nostri concorrenti il Pdl ha impostato una campagna elettorale chiara e coerente: vogliamo abolire l’Imu sulla prima casa, vogliamo restituire quella già pagata dai contribuenti nel 2012 e puntiamo a una riduzione del carico fiscale con il preciso obiettivo di rivitalizzare i consumi e rilanciare la produzione industriale. Per avviare la crescita, e dunque l’occupazione, non c’è altra strada se non questa. Fermo restando che, per accompagnare il processo di sviluppo, bisogna mettere le imprese in grado di operare ed espandersi senza i condizionamenti, a volte ossessivi, della burocrazia e senza i vincoli, a volte soffocanti, ai quali ci ha abituati l’eccesso di sindacalizzazione.
Ma il Pdl si candida alla guida del Paese con la Lega nord. La stessa Lega che nell’ultimo governo Berlusconi si è messa di traverso sulla riforma delle pensioni, tanto richiesta dall’Europa.
È vero, ma è altrettanto vero che la Lega è molto cambiata e difficilmente ripeterà gli errori del passato. Non dimentichiamo che la Lega si è trovata con noi in prima linea nell’approvazione della grande riforma costituzionale che, diminuendo il numero dei parlamentari, introduceva fra l’altro l’elezione diretta del capo del governo e l’istituzione del Senato federale. Un’occasione irripetibile per rendere lo Stato più agile ed efficiente. Come si sa quella riforma fu poi bocciata da un referendum voluto tenacemente dalla sinistra. Ma la capacità riformatrice della Lega resta.
Restano anche tanti problemi da risolvere e tante battaglie da combattere. Lei tornerà a Palazzo Madama da semplice senatore, anche se avrà alle spalle cinque anni di presidenza gestita, come le riconoscono persino i suoi avversari, con «estremo equilibrio e grande autorevolezza».
Se è per questo, alle spalle ho anche sette anni da capogruppo, vissuti con entusiasmo sia sui banchi della maggioranza sia su quelli dell’opposizione. Va da sé comunque che gli anni più impegnativi e al tempo stesso più esaltanti sono stati quelli della presidenza. Per almeno due ragioni. Intanto perché ho cercato di ricoprire un’alta carica istituzionale con la terzietà necessaria, senza cedere mai agli interessi di partito o di schieramento. Secondo, perché ho avuto il coraggio di spezzare l’ingessatura che avvolgeva il palazzo e di aprire le porte ai giovani: in meno di cinque anni Palazzo Madama ne ha accolti e ospitati oltre 400 mila. Una cifra che mostra da sola il lavoro fatto per avvicinare le future generazioni alle istituzioni della Repubblica. Uno sforzo straordinario. Simile a quello che abbiamo dedicato all’affermazione dei diritti o a valori irrinunciabili come la pace o l’antifascismo. Mi tornano in mente le numerose visite nelle carceri, nei campi di concentramento nazisti, ai nostri militari in missione in Libano e Afghanistan, con i quali ho trascorso ogni anno la vigilia di Natale: indimenticabili momenti di emozione e di grande tensione civile.
Se diamo uno sguardo ai sondaggi e agli scenari possibili, il nuovo Senato non sarà di certo tutto rose e fiori.
La prima novità sarà certamente la presenza di Berlusconi che, per la prossima legislatura, ha preferito Palazzo Madama a Montecitorio. Mi sembra un segnale preciso e un evento destinato a caricare il gruppo di una grande responsabilità sul piano sia politico sia parlamentare. Inutile negare che ci aspettano sfide non comuni per le quali sarà necessaria una rocciosa compattezza del gruppo e una straordinaria sintonia con i vertici del partito. Per quanto mi riguarda, non potrò che mettere a disposizione delle future battaglie tutta la mia esperienza, ben sapendo che rientro in Senato con l’immutata volontà di partecipare costruttivamente alle scelte politiche che noi del Pdl vorremo intestarci.
Vede un partito in grado di reggere la sfida? Non teme, come tanti altri temono, che un deludente risultato elettorale possa provocare improvvisi smottamenti?
Insisto nel credere che la rimonta c’è e che la partita è ancora tutta da giocare. In ogni caso il Pdl è un grande popolo composto di tanti militanti che ci credono, di tanti volontari che si prodigano, di tanti sindaci e amministratori che sanno fare con dedizione e spirito di sacrificio il proprio lavoro. È il popolo al quale mi sento più vicino e al quale vorrò dedicare gran parte delle mie energie. Certo bisognerà ancora spingere per un rinnovamento più incisivo. E bisognerà soprattutto insistere per spezzare quei legami anomali, tra centro e periferia, che hanno portato in alcune regioni alla formazione di vere e proprie repubbliche indipendenti, di vere e proprie rendite feudali. Ma di questo ne parleremo dopo le elezioni. Anzi, dopo che avremo vinto le elezioni.