Claudio Gallo, La Stampa 6/2/2013, 6 febbraio 2013
E IL SAMURAI AHMADINEJAD VA ALLA GUERRA CONTRO TUTTI
Che situazione paradossale. La Guida suprema iraniana, il grande ayatollah Ali Khamenei è riuscito in questi anni a spianare l’opposizione riformista, ha troncato alla radice ogni chance politica della fazione del presidente: le prossime elezioni saranno vinte da suoi uomini, non si discute. Eppure Ahmadinejad rifiuta di andarsene in silenzio guastando le giornate al successore di Khomeini che è costretto a fare il Pompiere Supremo.
Un passo indietro, ottobre 2012, Khamenei dice: «Da oggi fino al giorno delle elezioni, chiunque usi le emozioni della gente per creare conflitti, tradisce la patria». Capito? Niente affatto, tra Ahmadinejad e il parlamento, in particolare i potenti fratelli Larijani, botte da orbi in pubblico. Solo poche settimane fa la Guida suprema aveva diviso, come un arbitro sul ring, Ali Larijani, speaker del parlamento suo protégé e Ahmadinejad chiedendo loro di non litigare più in pubblico. Di nuovo tutto inutile, da domenica la rissa è ricominciata, i colpi bassi fioccano. Il presidente fa come una squadra di calcio che perde 10 a 0: che c’importa? Tutti all’attacco.
Stavolta il motivo del contendere è la nomina di Saeed Mortazavi, ex procuratore generale di Teheran che si era guadagnato il soprannome di Macellaio della stampa, alla guida dell’istituto di previdenza, l’Inps iraniana. Il Majlis, il parlamento dominato da Ali Larijani, non lo vuole, bocciato. Il governo insiste e lo reinsedia: viene in aula Ahmadinejad a sostenerlo. Ma invece di difenderlo che fa? Tira fuori un video e lo fa vedere ai deputati. C’è Fazel Larijani il fratello più giovane (oltre ad Ali, gli altri sono il capo del settore giudiziario Sadegh e il rappresentante del regime per i diritti umani Mohammad Javad e il primario di Endocrinologia Bagher più defilato). Parla con l’infido Mortazavi che aveva piazzato una telecamera nascosta, gli propone di lucrare sul settore petrolchimico con l’appoggio dei due potenti fratelli. Apriti cielo, Ali Larijani tuona che Ahmadinejad ha violato il codice etico del parlamento, fischi, urla, proteste.
Il giorno dopo, cioè ieri, succede di tutto. Mortazavi è arrestato, qualcuno dice per la vecchia persecuzione dei giornalisti. Ma non è credibile, il regime ha fatto arrestare una quindicina di reporter solo una settimana fa. In realtà il motivo per ora non è stato comunicato. A Evin, la Lubianka di Teheran, e basta. Per difendersi Ali Larijani fa mettere online il suo intervento contro Ahmadinejad che i media statali avevano in parte tagliato. Le truppe di Ahmadinejad rispondono mettendo su YouTube (che, ironicamente, in Iran è ufficialmente bloccato) il filmato dell’incontro di Fazel con Mortazavi, dove compare Banak Zanjani, detto Mister Z, un «businessman» che dal nulla si è fatto una fortuna col petrolio. Su alcuni blog iraniani i Larijani diventano i fratelli Dalton di Lucky Luke.
In partenza per l’Egitto, primo capo di Stato iraniano al Cairo dalla rivoluzione del 1979, Ahmadinejad dichiara: «Il sistema giudiziario appartiene alla nazione, non è un’organizzazione familiare», chiaro a chi si riferisce.
Sconfitto, umiliato dal parlamento che lo rimbecca ad ogni occasione, e che ha appena scippato per sicurezza al suo ministero dell’Interno il controllo delle spoglio elettorale, l’imprevedibile presidente ha deciso di togliersi qualche soddisfazione nei quattro mesi che lo separano dall’oblio. Mentre il governo sta comportandosi come se Mortazevi fosse ancora a capo dell’Inps iraniana, nessun rappresentante della Guida suprema è andato a congedarsi dal presidente che partiva per una visita ufficiale. Non era mai successo. A Khamenei non basta tutto il potere per fare sonni tranquilli.