Roberto Giardina, ItaliaOggi 6/2/2013, 6 febbraio 2013
GERMANIA, UN FESTIVAL CHE RENDE
Oggi si apre la Berlinale, ed è un grande affare per tutta la metropoli tedesca. I romani pagano per il loro Festival del Cinema, i berlinesi incassano. Veltroni pagò mezzo milione di euro, così si dice, per consentire tre giorni di shopping a Nicole Kidman e farla vedere ai «poveracci» in periferia. Qui, il patron Dieter Kosslick, al comando dal 2001, non paga nemmeno un euro alle star. Chi vuole si paga la trasferta di tasca sua, o della sua casa di produzione. I biglietti in vendita, di fatto già quasi esauriti, sono 300 mila e costano tra i 4 e i 25 euro, ma questo non conta perché li acquistano i normali cittadini. Il Festival prussiano attira circa 20 mila addetti ai lavori da 130 paesi e ognuno di loro, si calcola, spenderà in media 300 euro, tra ristoranti e alberghi, ed è un calcolo per difetto. Qui, per legge, gli albergatori possono anche raddoppiare le normali tariffe durante le grandi occasioni, fiere e festival.
I giornalisti accreditati sono 3.380, la tessera costa 60 euro, da vedere 1.194 film in undici giorni, 108 e mezzo al giorno, ma solo 19 sono in gara. Anche i critici passano alla cassa. In cambio ricevono una borsa con il logo, molto ricercata dai collezionisti. Qualche free lance la rivende su eBay per rifarsi delle spese. A Roma, alla prima edizione, tanto per fare un pettegolezzo, un mio amico critico fu ospitato gratis in un albergo a cinque stelle. Alla fine gli fu chiesto solo di firmare il conto. Lui, che è coscienzioso, controllò e si accorse che gli avevano addebitato 500 euro di minibar, bottigliette di champagne e mini di vodka e di whisky. Lo svuotava ogni giorno. «Ma se sono astemio e non l’ho neanche aperto il vostro frigo?» protestò. «Che le importa», gli risposero, «tanto paga Roma». Lui non firmò, non l’hanno più invitato.
Qui, hanno fatto i calcoli e prevedono di incassare 87,5 milioni di euro: la Berlinale dà lavoro a 380 dipendenti, e serve da volano a 3.300 aziende attive in campo cinematografico e televisivo. Frau Cornelia Yzer, senatrice, calcola che per ogni euro che il Land (Berlino è città stato) versa alla Berlinale in sovvenzioni ne ricava 1,60. La capitale ama il cinema non solo durante il festival ma tutto l’anno. In nessun’altra città ci sono tanti cinema (93), e tanti spettatori: 9,1 milioni l’anno scorso, anche se qui come altrove le sale chiudono, negli ultimi anni sono scomparsi 14 cinema storici in centro, trasformati in ristoranti e grandi negozi di abbigliamento. Ma le sale rimaste sono state modernizzate e sono comodissime. All’Astor, sulla centralissima Kurfürstendamm, un biglietto arriva a 16 euro, ma si guarda il film sdraiati su soffici divani, mentre se lo desideri una hostess ti serve un bicchiere di spumante, da pagare extra. È sempre esaurito anche se in una sala vicina lo stesso film costa 5 euro di meno.
Noi volevamo trasformare la gloriosa Cinecittà in terreno edilizio da rivendere a caro prezzo. In Prussia hanno salvato la loro Babelsberg, che si era ritrovata per qualche decennio nella parte orientale. Gli studios sono modernissimi, e attirano le produzioni americane. Un tempo c’era la Hollywood sul Tevere, quando i paparazzi davano la caccia a Liz Taylor e Richard Burton, impegnati a girare tra un amore e un litigio Antonio e Cleopatra. Oggi c’è la Hollywood sulla Sprea. Perché noi siamo più cari, se gli stipendi dei tecnici tedeschi sono più alti? Sempre pragmatici e cinici, i berlinesi hanno permesso a Scientology, cara a Tom Cruise, di aprire una sede in città, anzi nel mio quartiere, e Tom si è comprato un attico a Charlottenburg ed è diventato mio vicino di casa. E procura lavoro a Babelsberg.
Per finire, un appunto cinematografico. Quest’anno non c’è neanche un film italiano in gara, ma si rende omaggio a Giuseppe Tornatore. Nel 2012 hanno vinto i Taviani con Cesare deve morire, che batté in casa Barbara, dato per favorito, storia di una dottoressa dell’Est tentata di fuggire all’Ovest. Già ritornano le lamentele, i tedeschi ce l’hanno con noi. È vero, Kosslick, 65 anni a maggio, non frequenta più come una volta i ristoranti italiani che lo vedevano ospite fedele. Ma solo perché il suo medico l’ha messo a dieta. Semplicemente, gli ottantenni e straordinari fratelli Taviani non hanno eredi. O non sembra.