Massimo Gaggi, Corriere della Sera 07/02/2013, 7 febbraio 2013
CASA BIANCA ADDIO, DESTINAZIONE HOLLYWOOD. LA«PENNA» DI OBAMA CAMBIA COPIONE —
Dopo tutti i ministri più importanti — Esteri, Tesoro, Difesa, Lavoro, Trasporti, Energia e Innovazione — e l’intero team dei consiglieri chiave — David Axelrod, David Plouffe, Jim Messina — esce dalla cerchia di Barack Obama anche «l’uomo che sa leggermi nel pensiero», come lo stesso presidente amava definirlo: Jon Favreau, il giovanissimo speechwriter che ha lavorato alla scrittura dei discorsi del leader democratico fin dalla sua elezione al Senato, alla fine del 2004, lascia la Casa Bianca.
Per adesso lavorerà nel privato a Washington, ma la destinazione finale, secondo il Los Angeles Times è Hollywood: dai discorsi presidenziali alla stesura delle sceneggiature per cinema e tv.
Niente di nuovo: Jon Lovett, un altro ex speechwriter di Obama, si è già trasferito a Los Angeles dov’è coautore di 1600 Penn, una commedia televisiva a puntate ambientata alla Casa Bianca. E anche l’esodo massiccio di collaboratori, quando un presidente rieletto inizia il secondo mandato, è un fatto fisiologico: governare l’America, fare i gendarmi del mondo stanca, assorbe tutte le energie di chi lavora in un luogo — la residenza presidenziale e i suoi uffici — che, oltretutto, ha spazi angusti, quasi claustrofobici. I collaboratori più fidati — poi — non spariscono nel nulla: «Quando ha bisogno ci chiama e noi arriviamo», spiega Robert Gibbs, il suo primo portavoce alla Casa Bianca che è andato via due anni fa, ma è tornato durante la campagna elettorale come consulente.
L’esodo ha comunque un impatto forte su un presidente che vede un numero infinito di persone ma ha pochissimi amici veri; che è molto più attratto dall’analisi dei problemi che dal contatto umano con la gente che lo circonda. Uomo cerebrale, che qualche volta ha lamentato i rischi di isolamento dalla realtà nella sua vita di leader iperprotetto, circondato da filtri di ogni tipo. Certo Jim Messina, il vicecapo di gabinetto che era andato a Chicago a organizzare la campagna elettorale vincente, resta a fianco di Obama come capo di un comitato di azione politica che diventerà uno snodo importante almeno quanto il partito democratico, ma sarà fisicamente lontano dalla Casa Bianca. Dove, di gente con la quale ha confidenza, che può vedere semplicemente bussando a una porta, ne è rimasta poca: la vecchia amica di famiglia Valerie Jarrett, il nuovo capo dello staff Dennis McDonough, amatissimo dal personale della Casa Bianca, Ben Rhodes, il vicecapo del Nsc, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale. E poi Pete Rouse e Alyssa Mastromonaco, veterani del gabinetto presidenziale.
Il ragazzino prodigio Jon Favreau era uno dei pochi. Forse il più benvoluto. Fresco laureato del College of the Holy Cross, l’università dei gesuiti del Massachusetts, Jon entrò nella vita di Obama nel 2004 quando, mentre lavorava per la campagna presidenziale di John Kerry, interruppe un discorso del giovane candidato senatore dell’Illinois spiegandogli che le cose che stava dicendo potevano essere riformulate ed espresse meglio. Obama lo prese con sé poco dopo, appena eletto senatore. E da allora non l’ha mai mollato. Anche se ama scriversi da solo i passaggi chiave dei suoi discorsi più importanti, il presidente si fidava molto di Favreau. E lui, con gli occhiali da sole metallici da aviatore, il cranio rasato e la faccia da attore, era diventato una presenza familiare alla Casa Bianca.
Oltre al look poco presidenziale, Jon ha assunto un atteggiamento decisamente giovanilista — i discorsi di Obama scritti coi suoi collaboratori sui tavoli dell’affollatissimo Caribou Coffee di Pennsylvania Avenue, di fronte agli uffici esecutivi della Casa Bianca — che talvolta ha fatto alzare qualche sopracciglio. Come quando fu sorpreso a torso nudo a Georgetown mentre sfidava un altro giovanissimo della Casa Bianca, il portavoce del Nsc, Tommy Vietor, a beer pong: un gioco a base di palline da ping pong e boccali di birra da scolare. Ma con la sua aria da eterno studente Jon, entrato nel team Obama a 23 anni (ora ne ha 31), aveva portato alla Casa Bianca una ventata di giovinezza, contribuendo a creare un feeling tra il presidente e i giovani. Adesso Obama deve affidarsi al telefono per le lunghe conversazioni che ama avere a tarda sera con le persone fidate. E nei lunghi voli sull’Air Force One, come quelli di un mese fa da e per le Hawaii, gioca spesso a carte col suo fotografo personale, Pete Souza, il portavoce Jay Carney e il capo del cerimoniale dei viaggi.
Massimo Gaggi