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 2013  febbraio 06 Mercoledì calendario

CONTINUANO I VOLI-TRUFFA ALITALIA INDAGATA PER FRODE

IL GIORNO – viste le tensioni tra i soci – non è forse il più adatto. Il futuro di Alitalia verrà però deciso nel summit di San Valentino, in occasione del cda ad alta tensione convocato per il 14 febbraio. All’ordine del giorno c’è il via libera a un prestito da 150 milioni necessario per garantire alla compagnia la liquidità per arrivare all’estate.
Alla voce varie ed eventuali, però, rischiano di riesplodere gli attriti tra i 23 azionisti del gruppo su tre temi caldissimi: le ricadute (e la gestione) dell’incidente Carpatair, la ricerca del partner e l’assetto di vertice dell’azienda.
La partita si preannuncia complessa. L’unica buona notizia è che i tasselli del finanziamento per garantire l’operatività fino a luglio — sperando nel frattempo in una ripresa del mercato — sembrano essere andati a posto: l’impegno finanziario è stato limitato allo stretto indispensabile e dopo una lunga opera di
moral suasion
di IntesaSanPaolo quasi tutti avrebbero garantito di essere pronti un’altra volta a mettere mano al portafoglio. Air France, azionista al 25%, compresa. E grazie a questi soldi la composita compagine proprietaria dell’aerolinea avrà un po’ di mesi in più per deciderne il futuro.
Ma quale futuro? La certezza, allo stato, è solo una: dal 13 gennaio nel parterre azionario
dell’aerolinea è scattato il “liberi tutti”. Ognuno dei padroni di Alitalia (Roberto Colaninno, Benetton, i Riva, Fonsai, la stessa Intesa) può vendere la sua quota, anche se fino a ottobre esiste un diritto di prelazione interno. Il problema è che dopo aver speso oltre 900 milioni per rilevare il vettore, rischiano ora di recuperarne molto meno. «Scherziamo? L’azienda ha un valore strategico, controlla metà del mercato italiano», dice un azionista. Peccato che fuori dalla porta non ci sia la fila per comprarla. Gli emiri di Etihad hanno smentito di avere in corso negoziati (anche se qualche
pour parlerpotrebbe
esserci), Aeroflot si è chiamata fuori. Il network di Alitalia del resto è stato disegnato a immagine e somiglianza delle esigenze di Air
France, dirottando verso Parigi e Amsterdam tutto il ricco traffico intercontinentale del nord, e oggi i nodi arrivano al pettine: rompere l’asse con il colosso transalpino e l’alleanza Skyteam è troppo costoso.
Morale: il matrimonio con i francesi, salvo clamorose sorprese, è scritto nelle stelle. Peccato che il socio transalpino respinto nel 2008 da Silvio Berlusconi in nome dell’italianità abbia fiutato l’affare: la compagnia italiana continua a bruciare liquidità (oltre 170
milioni nei primi nove mesi 2012) e tra poco basterà un assegno da due lire per portarsi a casa quello per cui Air France nel 2008 — prima del poco lungimirante “niet” del Cavaliere — era pronta a pagare oltre due miliardi.
L’impasse ha finito pure per avvelenare i pozzi nell’azionariato Alitalia. Una pattuglia di soci minori con il 20% del capitale guidati da Salvatore Mancuso del Fondo Equinox è uscito allo scoperto nell’ultimo cda con una mozione di sfiducia contro il presidente Roberto Colaninno e con la proposta di affidare più deleghe all’ex numero uno di Ibm e Fs Elio Catania. Richieste bocciate. L’incidente di Fiumicino però potrebbe riaprire la ferita: i carbonari accusano l’imprenditore mantovano di una gestione troppo verticistica e questa volta — invece di puntare a ridimensionare lui — potrebbero provare a detronizzare i vertici operativi. Una faida che di sicuro non aiuta a gestire con serenità il difficile passaggio necessario per salvare per la seconda volta (almeno questa volta non a spese dei contribuenti) l’Alitalia.