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 2013  febbraio 06 Mercoledì calendario

LE MAIL SEGRETE “IN MANO AI PIRATI CI SALTANO LE CORONARIE”

SIENA GIOCAVANO con la banca più antica del mondo e col fuoco della turbofinanza, aggirando i controlli sul Monte dei Paschi e la sua fondazione. Manager che, come testimoniano le e-mail che si scambiavano, pensavano di cavarsela.
Con qualche cancellatura, bugia e patema fino al giorno in cui «questa banca non dovrà più ricorrere a costruzioni giuridico finanziarie così innovative ». Salvo finire travolti nella spirale giudiziaria e in quella dei banchieri d’affari veri, «pirati, che ci tengono in ostaggio».
E’ la storia del bond Fresh, già emersa nelle cronache ma che impressiona nel rapporto del Nucleo valutario della Gdf per gli inquirenti. Quel prestito da un miliardo spacciato per capitale, è il monumento alle vanità finanziaria senesi, summa di ambizioni, disinvolture, dabbenaggini che hanno piegato una banca e una città. L’acquisizione di Antonveneta imponeva, a fine 2007, una campagna di finanziamento di una decina di miliardi, di cui si occupò il direttore finanziario Marco Morelli, anch’egli indagato per false comunicazioni e ostacolo alla vigilanza. Di questi, 5 venivano da una ricapitalizzazione, 2 da prestiti subordinati, altri 2 da un prestito ponte e 1 da «un’emissione di nuove azioni al servizio di strumenti innovativi di capitale». Un bond convertibile in azioni — il Fresh — riservato a Jp Morgan che metteva i soldi, e poi avrebbe potuto ricollocarlo. Solo che, come emerso dai rilievi degli investigatori, almeno metà di quei titoli furono «ricollocati» presso la Fondazione Mps, che in tal modo
«lega inscindibilmente le aspettative di breve, medio e lungo periodo » alla banca, e poi sprofonda nei debiti. Non solo. La fiduciaria di Jp Morgan (Bank of New York) e altri sottoscrittori di titoli Fresh come il fondo speculativo Jabre sono così astuti che riescono a trasferire per intero il rischio dell’investimento su Banca Mps, mettendola al muro nel marzo 2009 e costringendola, salvo far saltare l’assemblea e l’agenda prevista, a introdurre una garanzia aggiuntiva (
un’indemnity side letter)
firmata da Morelli. E’ un elemento importante, perché senza il trasferimento del rischio sia di capitale e sia di cedola in capo a terzi, nessuna emissione può
considerarsi capitale. Il 9 marzo un avvocato dello studio Linklaters, per conto dei clienti Jp Morgan e la fiduciaria Bony, «allega una bozza di lettera di copertura». Massimo Molinari, capo del capital management Mps, cerca di tenere il punto: «Non erano questi i patti, state chiedendo garanzie molto più ampie». I nuovi soci anglosassoni non mollano. Anche Raffaele Rizzi, capo legale dei senesi, è contrario. Ma si sa già chi ha il coltello dalla parte del manico. L’indomani Mps capitola, con dettagli così descritti in una email di Molinari a Rizzi: «So che non eri d’accordo, ma alle 13,57 Bony non cominciava l’assemblea (in agenda alle 14) se non si ri-
solveva il punto. La loro richiesta di indemnity rappresentata solo dopo le lamentele di Jabre tenendo in ostaggio un’assemblea mi sembra un comportamento da pirati e non da professionisti». Ma i senesi sono infilati in un imbuto ormai: «Ho valutato, con l’accordo di Morelli, che il male minore per Mps fosse questo, visto che non avrei potuto riottenere il consenso e tutto andava chiuso prima di approvare il bilancio. Del resto non peggiora troppo la situazione di un’operazione che già consideri (Rizzi, ndr) foriera di molti guai giuridici come l’altro Fresh». Il primo strumento “creativo”, del 2003. «Ti assicuro — chiude Molinari — che non vedo
l’ora che questa banca abbia una dotazione di capitale tale da non dover ricorrere a costruzioni giuridiche- finanziarie così innovative, le mie coronarie ne sarebbero felici. Forse dopo il Tremonti bond, nel frattempo porta pazienza e cerca di capire...».
La pazienza a un certo punto l’ha persa Bankitalia, che a metà 2011 ha passato a magistrati e Consob le risultanze della seconda ispezione in Mps. La Vigilanza aveva contestato la struttura iniziale del Fresh, ma l’ex direttore generale Vigni e il collegio sindacale (tutti indagati) avevano fatto gli gnorri: «Jp Morgan ha trasferito il rischio sui portatori dei bond Fresh, con un’operazione alla quale la banca è estranea», scriveva il capo azienda a Via Nazionale il 4 ottobre 2008. Tanto estranea che frattanto pagava le rate di quei bond. Anche la Fondazione Mps ha il naso lungo sul Fresh. In una lettera alla Consob del marzo 2012 ammette che «Mps ha curato l’emissione del Fresh», ma nei due prospetti dell’acquisizione Antonveneta non aveva ritenuto di comunicare la sottoscrizione del 49% del prestito (più della quota in opzione pari al 43,5%, quindi «in deroga al codice civile »), e soprattutto taceva l’esistenza di derivati datati marzo 2008, dal nome arcano Tror e con i quali Credit Suisse e Mediobanca finanziavano per l’intera somma di 490 milioni l’acquisto di Fresh dell’ente. Titoli che hanno fatto saltare l’equilibrio finanziario della fondazione costringendola a perdere, per sempre, quota 51% nel Monte.