Filippo Ceccarelli, la Repubblica 6/2/2013, 6 febbraio 2013
LE AFFINITÀ PERICOLOSE DELLA SINISTRA
ANALOGIE minatorie, memorie pericolose. La «gioiosa macchina da guerra» del 1994, in qualche modo, può far rima con il belluino proposito, «li sbraniamo», dell’altro giorno. E infatti, nelle più temibili affinità ricorrono anche gli istituti di credito, altra faccenda non esattamente propizia per il centrosinistra. Prima delle elezioni del 2006, per la gioia del centrodestra e anche dell’elettorato di sinistra, si scoperchiò l’impiccio della Bnl («Allora, abbiamo una banca?»).
E oggi chissà cosa può venire fuori dal Monte dei Paschi di Siena, il cui presidente, il provvido Mussari, ogni anno fin troppo generosamente si privava di una sostanziosa quota di privatissimi emolumenti (dal 10 al 20 per cento) per versarli al Pd - e sul come poi quest’ultimo li abbia spesi è quantomeno legittimo nutrire qualche dubbio.
Alla campagna elettorale del 2006 è legato anche il malricordo della rimonta di Berlusconi, anche allora come dodici anni prima e sette anni dopo, cioè ora, orgogliosamente sottovalutato. Chi sbaglia, di solito, sbaglia di nuovo, specie se non si mette seriamente in discussione e se non cambia davvero; e francamente questo non è accaduto, né forse è saggio considerare la pur nutrita partecipazione alle primarie (che ci furono anche allora, sia pure senza concorrenti per Prodi) come un evento bastevole, per non dire palingenetico. Ma pazienza.
Con minore mansuetudine si segnala tuttavia un altro vizietto assai ricorrente, anzi sciaguratamente inesorabile tra i Progressisti, poi nell’Ulivo, quindi nell’Unione e infine nel centrosinistra. La fastidiosa tendenza non tanto di «gonfiare il petto», come dice Arturo Parisi, e dare per scontata la vittoria elettorale, che potrebbe essere addirittura una strategia, ma di spartirsi le poltrone anzitempo tra i maggiorenti, per cui già a due o tre mesi dal voto si fa scrivere che quello si becca gli Esteri, e «quindi» quell’altro il Viminale, quel-l’altro ancora la presidenza della Camera e di conseguenza
un quarto comincia ad agitarsi per l’Economia, che però sarà spacchettata, e via dicendo, verso la delusione, il pareggio o la sconfitta.
E insomma, l’elettorato di sinistra si infligge tutti i talk show possibili e immaginabili, fa il tifo come alla partita, apprezza le primarie oltre ogni dire, e versa pure il soldino, ma certo non brucia dalla voglia di assecondare le smanie di questo o quel dirigente a caccia di sistemazione, specie quando si accorge - e non è difficile - che questi ardenti desideri occupano tempo ed energia a scapito di tutto il resto.
Resta infatti da ricordare
che prima delle elezioni, non di rado qualcuno del centrosinistra promette qualche tassa; mentre Berlusconi s’impegna solennemente di toglierle o di rimborsarle. Così come, in vista del voto, può sempre accadere che il
dibattito in senso alla coalizione scivoli su due temi fertili e appassionanti quali le riforme istituzionali o la collocazione europea e internazionale del Pds, Ds, Margherita e ora Pd.
Ma soprattutto,
dulcis in
fundo,
resta la questione che la vittoria può risultare insufficiente, in termini sia numerici che politici, e perciò emerge l’incognita, l’equivoco e l’ambiguità delle alleanze. Da questo punto di vista partire con il piede sbagliato è per la coalizione di centrosinistra un’altra infelice e puntuale ricorrenza.
Così, ieri e l’altroieri c’era Bertinotti, davvero molto preso anche lui da se stesso, oltre che dalle varie scissioni che movimentavano la vita del suo partito e che culminarono nell’apoteosi di Turigliatto. Ebbene, dopo aver invano saggiato la contrastatissima eventualità di caricare
o scaricare Casini, ci sono oggi Monti e Vendola che non perdono giorno per proclamare la loro incompatibilità. In mezzo, come si sperimentò nella breve e disgraziata legislatura 2006-2008, la tenuta anche psicologica del centrosinistra fu rasserenata dalle quotidiane liti che andavano in scena tra il ministro Guardasigilli Mastella, l’uomo giusto al posto giusto, e il ministro delle Infrastrutture Di Pietro, trattato con i guanti ma subito ribellatosi a Veltroni.
E sarebbe bello capire se la formula che ora prevede un accordo tra moderati e progressisti, ancorché non proprio trascinante, sia un impegno, una speranza, un miraggio, una finta, uno scherzo, un modo di dire, o di perdere tempo. Tutto sembra rinviato al dopo, ma nel frattempo Monti tira da una parte, Vendola dall’altra, e gli errori del passato tornano a svolazzare attorno al Pd con l’aggravante della più diabolica
perseveranza.