Pat Walters, National Geographic 30/1/2013, 30 gennaio 2013
II CARTOGRAFO DELLE CRISI
PATRICK MEIER era seduto nel suo appartamento di Medford, nel Massachusetts, quando, nel gennaio 2010, Haiti fu colpita da un terribile terremoto. Trentacinque anni, studente di dottorato alla Tufts University, Meier cominciò subito ad assistere le vittime, e senza nemmeno uscire di casa. Usando solo il suo computer portatile, mobilitò centinaia di volontari perché raccogliessero dati da Twitter, SMS, rapporti dell’ONU e quant’altro per costruire e tenere sempre aggiornata una mappa online del disastro. La mappa è servita a guidare il lavoro della Guardia costiera, dei soccorritori e di semplici cittadini, e probabilmente, secondo diversi esperti, ha salvato centinaia di vite umane. Meier, cittadino svizzero cresciuto in Africa, oggi traccia le mappe delle crisi di tutto il mondo.
Il suo lavoro su Haiti ha ricevuto critiche dall’ONU. Perché?
Alcune agenzie dell’ONU sono state lente a mobilitarsi e a organizzare i soccorsi.Nel frattempo, in una Boston coperta di neve, una squadra composta da tanti volontari lavorava per tracciare quasi in tempo reale la mappa dell’impatto del sisma, fornendo ai soccorritori le informazioni più aggiornate possibili. Come è nata la sua passione per la cartografia?
Quando è scoppiata la prima Guerra del Golfo avevo 12 anni. Avevo una grossa carta del Medio Oriente, e su quella ho cominciato a riportare le notizie sull’andamento del conflitto,con pastelli, penne ed evidenziatori.
Quali crisi ha affrontato finora con il suo team?
Tutto è cominciato con Haiti. Un mese dopo c’è stato il terremoto in Cile. Poi, quell’estate,l’alluvione in Pakistan. A luglio gli incendi in Russia. A gennaio l’alluvione a Brisbane. Il mese dopo, a febbraio, un forte terremoto a Christchurch, in Nuova Zelanda. Le mappe della crisi per le elezioni in Egitto e in Tunisia. Poi l’ONU ci ha chiesto di realizzare una mappa della crisi in Libia.
Non temete che le vostre mappe sulle zone di guerra finiscano in mani sbagliate?
Sì, certo. Mappe come le nostre possono essere usate a buon fine ma anche per cattivi scopi. La mappa della Libia poteva servire alle Nazioni Unite per coordinare gli aiuti, o ai lealisti di Gheddafi per individuare e attaccare i convogli umanitari. Ecco perché abbiamo protetto quella mappa con una password. In situazioni del genere il rischio è veramente molto alto: bisogna assicurarsi che la mappa non metta in pericolo la vita delle persone.
Può succedere che i rischi siano molto alti?
C’è una ragione per cui abbiamo deciso di non essere coinvolti in Siria. Lì il regime dispone di un sistema di cyber-sorveglianza molto sofisticato, che in Libia non esisteva. Dopo aver fatto un’analisi del rapporto costi-benefici, abbiamo detto di no.