Michele Lupi, Rolling Stone 30/1/2013, 30 gennaio 2013
NELLA CAVERNA DI GIOVANNI
[Siamo saliti a bordo di Maserati, poco prima della partenza di Soldini dal porto di NY. E lì ci ha spiegato il senso di ogni sfida e che cos’è per lui il coraggio] –
Ora che sono seduto qui a scrivere questo pezzo, non so ancora se Giovanni Soldini ce la farà o meno a battere il record New York-Capo Horn-San Francisco, dato che la sua avventura finirà a fine febbraio. Quindi, questo è uno scrivere alla cieca, un po’ come la sua navigazione quando c’è nebbia e buio. Al momento, Giovanni e la sua barca Maserati si trovano a circa 1924,3 miglia a Sud di Manhattan, da dove sono partiti la sera del 31 dicembre 2012. In totale, di miglia ne devono percorrere ben13.225. Quello che so – perché con Giovanni ci siamo scritti via mail – è che questi pruni quattro giorni della sua avventura sono stati durissimi, con temperature sotto lo zero, mare grosso, venti intorno ai 50 nodi e tutto costantemente fradicio, sopra e sotto coperta. Per rendere l’idea, i membri dell’equipaggio ogni 4 ore si danno il cambio e quelli che vanno a dormire si stendono sulle brandine bagnate, con una temperatura interna alla barca di circa -3 gradi. Sulla barca di Soldini infatti non c’è riscaldamento (gli altri glielo avevano chiesto, ma lui li ha liquidati con un «E tutto peso inutile, non serve. No»). Non c’è la toilette (o la si fa fuori, o la si fa in un secchio, quando fuori è troppo freddo) e non c’è nemmeno la luce: nella pancia della barca tutti girano con una pila luminosa in testa, come si usava in miniera. La Maserati di Giovanni Soldini è una caverna di carbonio nero, che tutto inghiotte, completamente scarna, vuota, gelida e anche piuttosto dura. Nei giorni in cui era ormeggiata al porto di NY ci ho fatto un giro dentro, in compagnia di Lorenzo Jovanotti: entrambi avevamo difficoltà a muoverci (a barca ferma!), tanto lo spazio era angusto. Bisogna scavalcare vele e mettere i piedi sulla liscia e curva parete di carbonio : una volta su due, perdi la presa e scivoli. La vita a bordo, per questo, deve essere perfettamente organizzata: una delle cose più difficili – non avendo armadi e ripostigli – è tenere sempre tutto in ordine. C’è una piccola cucina, anch’essa in carbonio, e poco altro. Le brandine dove si dorme sono in tubolare d’acciaio, con la tela legata da una corda sul profilo. Una postazione meteorologica per controllare le condizioni dei venti e delle perturbazioni, una postazione dove montare i video che Giovanni quotidianamente invia via satellite. C’è poi una rastrelliera, che accoglie i caschi di ciascun membro dell’equipaggio, e un’altra di fronte all’ingresso, dove, disposte ordinatamente, ci sono le borracce per bere con i nomi di ciascuno scritti a pennarello. A bordo sono in nove: quattro italiani, un americano, un tedesco, un cinese, un francese e uno spagnolo. Quando questo pezzo arriverà tra le vostre mani — ai primi di febbraio probabilmente Giovanni starà risalendo il lato ovest del Sud America, dove dovrà passare al largo di Cile, Perù, Ecuador, Colombia, Panama, Costa Rica, Nicaragua, El Salvador, Guatemala, Messico e, infine, Stati Uniti. Questo se il passaggio a Capo Horn sarà andato bene (tra 25 giorni circa). Capo Horn, come si sa, è una brutta bestia: Giovanni ne ha già fatti due nella sua carriera (e per questo porta l’orecchino all’orecchio sinistro: la tradizione infatti vuole un orecchino per ogni passaggio, ma lui il secondo buco ha preferito non farlo, quindi ora non potrà fare il terzo). Questa volta la faccenda è più difficile, perché il passaggio di Capo Horn avviene da est a ovest, con il vento in faccia, di bolina, al contrario di come lo si fa di solito, con il vento in poppa. Capo Hom è una brutta bestia davvero, diceva Giovanni a New York, prima della partenza: «Se ci arrivi con una tempesta in corso, non c’è verso di passare: il mare è così incazzato che rischi di sfasciare tutto, o peggio. Il record si decide per buona parte lì: anche se ci arriviamo con un gran vantaggio, bisogna vedere come sono le condizioni laggiù». Ho raccolto molte confessioni di Giovanni negli ultimi mesi, perché abbiamo passato parecchio tempo insieme. Ci siamo rivisti a New York, ave va ormeggiato la barca Maserati nel porto del North Cove, di fronte al Financial Center a Park City, sede del Manhattan Sailing Club, in attesa di una finestra meteorologica che gli permettesse di partire con una buona spinta di vento. Tutti pensano che la paura per Giovanni arrivi quando si trova in mezzo al mare, con la tempesta, di notte, al freddo, magari in mezzo alla nebbia e agli iceberg. Non è così: la paura inizia molto prima di partire ed è tutta psicologica, legata all’organizzazione e alla riuscita dell’impresa, anche dal punto di vista finanziario: «I miei sponsor sono stati eroici a scommettere su un’avventura come questa, se vuoi anche lenta, con tempi morti che sembrano infiniti. In realtà questa è una grande, vera avventura. Il percorso New York-San Francisco è una tradizione fin dai tempi delle rotte storiche dei clipper impegnati nella corsa all’oro nella seconda metà dell’Ottocento. Le mie angosce, in realtà, sono legate alla responsabilità che ho verso quelli che lavorano con me: quando poi parto, una volta usciti in mare, sono felice, anche se la paura della natura c’è. Guai a non averla: significherebbe rischiare di non portare a casa la pelle». Il coraggio è un tema che gli sta a cuore. Se stimolato, ne parla volentieri. Come quella volta a un incontro con Oscar Farinetti, fondatore di Eataly e oggi suo sponsor "tecnico" per il cibo (anche se liofilizzato o disidratato) a bordo di Maserati. Ricordo che gli disse: «Il coraggio, per me, non è andare a salvare Isabelle Autissier, come mi è successo durante la regata intorno al mondo Around Alone del 1998/1999 (che poi vinse, ndr). Quello che ho fatto quella volta riguarda l’etica, la morale, è saper stare al mondo. Invece, il coraggio è scegliere e non farsi sempre trasportare in una direzione che non è la tua. Coraggio significa dire: "No, cavolo, tutti vanno di là, ma io voglio andare di qua". Per questo le vere cose coraggiose della mia vita le ho fatte all’inizio, quando ho scelto. Quando ho scelto la mia vita, quando ho scelto di fare certe cose, rinunciando al farne delle altre». Vai Giovanni, noi ti seguiamo. Continua a correre.