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 2013  gennaio 31 Giovedì calendario

SONO L’AVVOCATO DEI CASI DISPERATI. COME IL LAZIO


È seduta nella stessa stanza che fu lo studio del suo cliente più illustre, Giulio Andreotti, e che ora è il suo. Solo che il «divo Giulio» preferiva il lato opposto del tavolo, un po’ più lontano dalla finestra, ma da dove, alzando appena lo sguardo, poteva osservare i movimenti di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma. Lei invece preferisce lavorare più vicina alla finestra, con la piazza alle spalle, ma alla luce che filtra dall’esterno. È Giulia Bongiorno, deputato di Futuro e libertà, candidata centrista alla presidenza della Regione Lazio e con un posto più sicuro nella lista per il Senato: al numero due, dopo Pier Ferdinando Casini.
Onorevole Bongiorno, Andreotti continua a darle buoni consigli?
Certo. In fondo lui ha sempre voluto che io facessi politica.
Le ha consigliato anche di accettare la candidatura a governatore del Lazio?
Si è limitato a dirmi: guarda che sarà molto dura, dovrai rinunciare agli ultimi clienti...
E lei ha rinunciato volentieri ai clienti?
Come vede, l’ufficio è completamente vuoto.
Ha visto gli ultimi sondaggi? Sarebbe un miracolo se lei ce la facesse.
Combatto contro due avversari come Nicola Zingaretti, considerato già il nuovo presidente, e Francesco Storace, che si stava preparando da mesi a questa campagna elettorale. Questo lo sapevo sin dall’inizio.
E allora perché impegnarsi per una causa persa?
Perché, nonostante tutto, non la considero già persa. E poi, se bisogna cambiare davvero, serve una faccia nuova.
La sua lo è? Insomma, in che cosa si ritiene diversa dai suoi avversari?
A parte la mia attività parlamentare, ho un’esperienza da avvocato penalista.
Questo forse è un buon argomento.
Non era una battuta, dicevo sul serio.
A che cosa potrebbe servirle la sua esperienza di avvocato penalista?
Costruisco modelli organizzativi per prevenire reati: me lo chiedono le aziende private, perché non si può fare per la Regione Lazio?
Che cos’è un modello organizzativo?
Analizzi una struttura e come funziona, individui i punti in cui possono essere commessi reati e la riorganizzi in modo da prevenirli.
Ne ha già individuati alcuni su cui intervenire?
Le consulenze, per esempio: vengono affidate in modo superficiale e allegro a esterni, senza alcun controllo preventivo per sapere se all’interno della regione esistono già specifiche professionalità da utilizzare in determinati campi. È un malcostume dilagante.
Un altro punto critico?
La sanità: perché, per fare solo un esempio banalissimo, la stessa siringa acquistata in un posto costa un tot e in un altro posto magari il doppio? E poi, più in generale, il sistema degli appalti. È un problema gigantesco: capitolati fatti malissimo, in modo molto vago e con margini di discrezionalità troppo larghi, tanto che si può inserire tutto e il suo contrario.
Ha qualche idea su come intervenire?
Sì, in queste settimane ho fatto una full immersion. Non voglio far venire il mal di testa ai lettori di Panorama, ma dico solo che ho già preparato modelli organizzativi basati su regole certe, trasparenza e rigore.
Ha avuto modo di capire se nel Lazio c’è da affrontare anche un’emergenza criminale?
Sì, c’è un’emergenza: i dati parlano di una commistione tra politica e criminalità. Ed è una criminalità di tipo associativo.
Dopo le elezioni, lei continuerà a occuparsi anche di politica nazionale. È una donna di legge ed è palermitana. L’ha sorpresa la candidatura dell’ex pm Antonio Ingroia?
Devo essere sincera: sì. Lo stimo tantissimo, è uno di quei pm «rognosi» che un avvocato non vorrebbe mai avere come avversario in un processo. Ho sempre creduto in quello che ha detto sino all’ultimo secondo, e cioè che non si sarebbe candidato. Ha condotto indagini molto delicate, sarebbe stato opportuno che restasse fuori dalla politica.
Insomma?
Insomma, Ingroia mi ha deluso. Io considero l’esercizio della giustizia quasi una missione divina, perciò non mi piace che un magistrato partecipi allo scontro tra fazioni senza dimettersi.
In fondo, sono uomini come tutti gli altri, con le stesse debolezze. Non avrà idealizzato un po’ troppo la figura di Ingroia?
Visto come sono andate le cose, probabilmente sì.
Non crede, allora, che andrebbe regolamentato in qualche modo anche il rapporto fra magistrati e politica?
Assolutamente, visto che si tratta di persone che giudicano sulla libertà e la vita di altri esseri umani. Non si dovrebbe smettere la toga per passare subito alla politica, occorrerebbe almeno un periodo di quarantena. E poi, una volta che smettesse di occuparsi di politica, un magistrato non dovrebbe tornare a svolgere la sua funzione nello stesso luogo; e comunque dovrebbe essere inserito in un organo collegiale, in modo che gli altri colleghi possano svolgere una funzione di bilanciamento.
Riforma della giustizia: anche per lei dovrebbe essere una questione centrale nell’agenda politica della prossima legislatura?
Sì, bisognerebbe aprire un tavolo fra persone che avvertono questa esigenza. Da un lato, occorre intervenire soprattutto sulla durata dei tempi processuali, oggi eccessiva; è dall’altro dobbiamo approvare una seria legge anticorruzione e riformulare, con sanzioni severe, il falso in bilancio, lo strumento con cui si consumano reati gravissimi.
Lei è candidata in una coalizione centrista. Ma sta con Casini e con Gianfranco Fini. Mario Monti, anche se non lo dice, li considera vecchi politicanti e li tratta un po’ con sufficienza. Com’è la convivenza con la «società civile» del premier?
Casini e Fini sono stati i primi a capire che questo sistema bipolare non regge più. E poi, che cosa vuol dire vecchi? A me non interessa la discriminante vecchio-nuovo, ma quella esperto-inesperto. Questo è il valore aggiunto, nell’era della caduta delle barriere ideologiche: l’esperienza. Perché si può essere nuovi e incapaci, vecchi e molto bravi.
E se gli esperti venissero fagocitati dai nuovi, come dicono i sondaggi sul centro?
Non credo che possa essere questo l’obiettivo di Monti. Ripeto: l’esperienza è un valore aggiunto.