Paolo Conti, Corriere della Sera 06/02/2013, 6 febbraio 2013
MAUSOLEO, RESIDENZA PAPALE, PRIGIONE. DUEMILA ANNI VISSUTI INTENSAMENTE - Il feroce inganno di Scarpia che uccide Cavaradossi e porta al suicidio Floria Tosca ha come sfondo Castel Sant’Angelo
MAUSOLEO, RESIDENZA PAPALE, PRIGIONE. DUEMILA ANNI VISSUTI INTENSAMENTE - Il feroce inganno di Scarpia che uccide Cavaradossi e porta al suicidio Floria Tosca ha come sfondo Castel Sant’Angelo. Puccini debutta con «Tosca» nel 1900 al teatro Costanzi di Roma e cita un dato di cronaca non lontanissimo dai suoi tempi. In fondo, in quel 1900, sono passati appena trent’anni dall’annessione di Roma al Regno d’Italia e, fino al 20 settembre, la parola «Castello» era a Roma sinonimo di prigione, di luogo di esecuzioni, comunque di un destino crudele in balìa di una giustizia arbitraria. Per capire quanto facesse paura quella parola, basta scorrere le poesie di Giuseppe Gioachino Belli: «Da che er padre je messeno in Castello...» (da quando imprigionarono suo padre al Castello), «È ssempre mejjo che stà a Ccastello» («È sempre meglio che essere prigionieri al Castello), e via tremando. E, sempre «da Castello», partiva la cannonata a salve che segnalava l’apparizione del Papa in carica sul loggiato delle benedizioni (ancora Belli: «Senti, senti Castello come spara»). In realtà Castel Sant’Angelo è un monumento immensamente più complesso e significativo di una prigione. Se San Pietro è il simbolo che lega Roma al concetto di cattolicità e il Colosseo a quello della romanità, Castel sant’Angelo è l’unico monumento romano, famoso nel mondo quanto gli altri due, a riassumere i due mondi: la romanità antica e il papato. Nei suoi quasi duemila anni di storia, quello straordinario edificio non viene mai abbandonato ma resta anzi centrale nella vicenda storico-urbanistica di Roma cambiando nei secoli identità, funzioni, caratteristiche architettoniche. La storia «di Castello», direbbe Belli, comincia nel 123 dopo Cristo quando parte la costruzione del Mausoleo di Adriano, destinato ad accogliere la tomba dell’imperatore: una grande Mole cilindrica di cui ancora oggi restano le strutture di fondazione del basamento, il nucleo in muratura della struttura, la rampa elicoidale che conduce al piano superiore, la «sala delle urne», cioè il luogo delle sepolture imperiali. Il cantiere chiude nel 139, un anno dopo la morte dell’imperatore e per 150 anni la Mole continua ad essere il sepolcro imperiale di Roma. Poi si trasforma un avamposto fortificato dopo la sua inclusione nella cinta muraria voluta dall’imperatore Aureliano. Nel 537, durante la guerra gotico-bizantina, le truppe greche, per scacciare i Visigoti, fanno a pezzi e gettano dai bastioni le statue imperiali. Ottimo risultato strategico sul momento ma un massacro culturale per i posteri, che perdono testimonianze uniche. Al 590 risale la leggenda che lega San Michele Arcangelo alla fortezza: Roma è falcidiata da una peste che decima una popolazione già ridotta ai minimi termini. Papa Gregorio I organizza una processione espiatoria di tre giorni che si ferma davanti alla Mole: lì, alla fine del rito, la sera del 29 agosto del 590, compare la figura dell’Arcangelo mentre rinfodera la spada del flagello. La peste finisce, da allora il Castello è dedicato a lui. Nei cosiddetti secoli bui è (spesso contemporaneamente) prigione, abitazione, tribunale. Bisogna aspettare Giulio II Della Rovere (1503-1513) perché il Castello assuma la veste di splendida dimora papale affidandosi all’architetto Giuliano da Sangallo (poi sarà il turno delle decorazioni di Giulio Romano e di Michelangelo). Il Castello vedrà poi il Sacco di Roma nel 1527 (proteggendo Clemente VII), la successiva rinascita con Paolo III, il raffinatissimo Farnese, che costruisce un magnifico appartamento affrescato da Perin del Vaga. Poi, con il trasferimento definitivo della corte papale nei Palazzi Apostolici vaticani, il lungo declino, il suo uso come prigione pontificia. A ridurne la possenza provvede infine il Regno d’Italia che, per costruire l’asse dei lungotevere, abbatte due bastioni della splendida cinta muraria pentagonale, interra i fossati, abbatte alcune costruzioni dei tempi di Urbano VIII. Ora Castel Sant’Angelo è orgogliosamente museo di se stesso. Duemila anni di storia vissuti con un’intensità e una pienezza sconosciute a qualsiasi altro monumento romano. Paolo Conti