Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 06/02/2013, 6 febbraio 2013
PIETRO. I CHIAROSCURI DELLA FEDE
Per capire la mostra che si inaugura oggi a Castel Sant’Angelo, il visitatore deve lasciare fuori dall’ingresso i criteri con i quali di solito si avvicina a una rassegna di opere d’arte. Qui incontrerà, tra gli altri, Mattia Preti e Lorenzo Veneziano, Giovanni Baglione e il Cavalier d’Arpino, Luca Giordano e Simon Vouet, Giovanni Serodine e Gerrit van Honthorst, Guido Reni e alcune preziose icone. Ma la regola principale per cui questi artisti sono stati scelti e presentati l’uno accanto all’altro non è quella dell’uso del colore o della luce, del periodo a cui appartengono o della corrente in cui gli storici li hanno classificati. Certo non mancano confronti storici e artistici tra autori, iconografie, botteghe e tecniche. Ma la chiave per capire questa mostra è teologica, come avverte il curatore, don Alessio Geretti e come spiega nella breve introduzione che si può leggere sul catalogo edito da Skira. Don Geretti è un grande affabulatore. Siccome è un prete, è più giusto dire che è un bravissimo predicatore. Non cerca di condurre le persone alla fede con la minaccia delle fiamme dell’inferno, come in passato hanno fatto molti suoi celebri colleghi. Don Geretti vuole arrivare al cuore attraverso lo stupore della bellezza. «La fede — sostiene — consiste in uno sguardo di meraviglia. Perciò le si accompagnano da sempre la filosofia, ovvero il pensiero scaturito dalla meraviglia per il fatto che la realtà c’è e l’arte, ovvero le forme scaturite dalla meraviglia per la bellezza della realtà».
Parroco di Illegio, minuscolo paese nel cuore della Carnia, don Geretti ha fondato il Comitato di San Floriano, con cui da una decina di anni porta avanti questa missione di coniugare arte e fede. La sua idea di creare un percorso valido dal punto di vista scientifico e al tempo stesso significativo dal punto di vista cristiano ha convinto gli studiosi, i direttori di musei che non esitano a prestare capolavori e i visitatori che accorrono numerosi ad ammirare le rassegne allestite nella canonica del villaggio in mezzo alle montagne. Passo dopo passo, il parroco è arrivato a Castel Sant’Angelo, il monumento romano più conosciuto al mondo insieme al Colosseo. Ma la scelta del luogo non deriva dal fatto che rappresenta una vetrina internazionale. Dagli spalti del castello si vede, vicinissima, la basilica di San Pietro, il punto dove Pietro terminò il suo cammino terreno e quello, tormentatissimo, verso la fede. La Mole Adriana, in seguito trasformata in fortezza, sorge all’apice opposto del percorso cimiteriale che arriva fino alla tomba di Pietro. E l’imperatore Costantino, che fece edificare la basilica intorno al 320, volle che il punto centrale di questa, all’intersezione tra navata principale e transetto, coincidesse con il punto in cui fu sepolto l’apostolo, dopo la crocifissione. Sono dunque a un passo dal castello alcune delle testimonianze più grandiose del cammino di Pietro. Non solo la necropoli vaticana ma anche La consegna delle chiavi affrescata da Perugino nella Cappella Sistina e la scena dipinta da Michelangelo nel Giudizio universale, in cui Pietro restituisce a Cristo le chiavi che ormai non servono più, perché il tempo della storia è concluso e la missione della Chiesa è compiuta. Basta poi attraversare il Tevere per trovare, nella chiesa di Santa Maria del Popolo, la Crocifissione di san Pietro dipinta da Caravaggio.
L’obiettivo della mostra ricalca in fondo l’antica missione per cui i quadri che si incontrano durante il percorso furono creati: «cancellare la distanza di tempo e di spazio che separa noi dagli eventi documentati nei Vangeli, per farcene diventare contemporanei». Per questo motivo don Geretti ha selezionato, tra le infinite testimonianze archeologiche e artistiche dedicate all’apostolo Pietro, soltanto le opere in cui gli artisti hanno tentato di rappresentare la fede di quest’uomo, trascurando quelle dedicate alle sue gesta o alla sua fisionomia. Lo spettatore diventa quindi pellegrino, per ritrovare sulle orme dell’apostolo il cammino della fede. Non a caso nella prima opera che si incontra, realizzata nel Trecento da Vitale degli Equi, è raffigurato San Pietro che benedice un pellegrino.
Poi inizia il percorso, suddiviso in sei «momenti», dove trentasei quadri fanno rivivere le emozioni contrastanti di Pietro nel suo avvicinarsi alla fede, l’alternarsi di entusiasmo e sconforto, di certezza e dubbio, di forza e crisi. Si comincia con l’incontro del giovane pescatore con Gesù: il primo sguardo a Betania, il secondo a Cafarnao, sulla sponda del lago di Tiberiade con gli episodi della pesca miracolosa e di Pietro che cammina sulle acque agitate dalla tempesta. Scorrono davanti agli occhi le immagini dell’uomo che risponde alla chiamata del divino ma ne è continuamente spaventato, cerca di tirarsi indietro. Un’altalena di sentimenti che raggiunge il culmine drammatico nelle raffigurazioni del sonno invincibile a cui l’apostolo si abbandona mentre Cristo entra in agonia nell’Orto degli Ulivi; nel rinnegamento, per tre volte, davanti al sinedrio; nel pianto davanti alla scoperta della misericordia di Dio; nella fede che si rinnova quando Cristo riserva a lui la sua prima apparizione; nell’esperienza della nuova fraternità agli albori della Chiesa; nel martirio sulla croce, ma a testa in giù, come Pietro stesso aveva chiesto, non sentendosi degno di una tale identificazione con il Signore.
Lauretta Colonnelli