Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 06/02/2013, 6 febbraio 2013
CEMENTO E SPRECHI. IL «SACCO» DI POMPEI
Negava perfino l’evidenza, l’impresa che ha stuprato il Teatro di Pompei. Negava perfino d’aver ricostruito le gradinate, come provano le foto, usando i mattoni di tufo, usati per gli ovili, su cordoli di cemento armato a vista. Sarebbe bastato questo, in un Paese serio, perché Annamaria Caccavo finisse nei guai.
Ieri è stata arrestata per avere, secondo l’accusa, imbrogliato anche sui soldi. Grida vendetta il modo in cui il commissario della protezione civile Marcello Fiori, oggi sotto inchiesta dopo essere stato inviato con poteri enormi dall’allora ministro Sandro Bondi, fece ristrutturare (la parola «restauro» è spropositata se un bene archeologico così è trattato come l’arena di un villaggio-vacanze) il meraviglioso Teatro Grande.
Per quasi due millenni, dopo l’eruzione del Vesuvio, quell’opera meravigliosa costruita in epoca sannitica e capace di ospitare cinquemila spettatori era rimasta miracolosamente intatta. Le gradinate erano state sgretolate dallo scorrere dei secoli e il grande archeologo Amedeo Maiuri, che a Pompei scavò dagli anni Venti agli anni Cinquanta, aveva fatto posare una struttura di metallo molto leggera: quando c’era uno spettacolo ci adagiavano sopra delle tavole perché il pubblico potesse sedersi. Finita la serata e rimosse le tavole tutto tornava come prima.
Quando il Corriere denunciò i lavori in corso in un reportage di Alessandra Arachi dove si descrivevano le ruspe cingolate che entravano là dove si dovevano usare solo le cazzuole o al massimo il badile, era ormai troppo tardi. Grazie ai poteri dati al commissario della protezione civile, che proprio a Pompei si giocò per sempre la credibilità dell’istituzione a operare in ambiti che le erano del tutto estranei, il rifacimento fu portato a compimento. E la sera del 10 giugno 2010 il teatro fu inaugurato con un concerto dell’Orchestra Giovanile «Luigi Cherubini» diretta da Riccardo Muti.
Furono collocati allora alle spalle della scena, come camerini per i musicisti, quattro immensi container biancastri. Invisibili durante le rappresentazioni, coi fari centrati sugli artisti, quei giganteschi gabbiotti sono un obbrobrio di offensiva bruttezza durante il giorno. Non c’è turista che, a vederli, non faccia smorfie di raccapriccio. Erano provvisori, sulla carta. Sono ancora lì, da trentatré interminabili mesi.
Eppure, quando il Corriere tornò a denunciare queste cose pubblicando le fotografie dei gradini con cemento armato a vista che inchiodano il Commissario, i suoi collaboratori, i progettisti, la ditta Caccavo scelta per i lavori, l’avvocato della società scrisse una lettera «nell’interesse della verità e della correttezza dell’informazione dovuta ai lettori» (sic...) contestando tutto, non solo gli spropositati rincari dei lavori, ma perfino ciò che tutti i lettori possono vedere nelle nostre foto: «Non risponde al vero quanto affermato nell’articolo circa l’uso di "cemento armato" nella ricostruzione dei gradini della cavea». E chiudeva avventurandosi addirittura in una ramanzina: «Restano immutati i margini di fiducia e di speranza riposti nel giornalismo d’inchiesta a patto che i fatti vengano riferiti nel rispetto della verità». Grazie, avvocato. E auguri per i suoi clienti. Per carità, tutti innocenti fino alla Cassazione. Ma almeno i predicozzi ci potevano essere risparmiati.
Già che ci sono, piuttosto, speriamo che i magistrati mettano il naso anche in altre «spesucce» decise grazie ai poteri di emergenza. Come i 102.963 euro investiti nel progetto «(C)Ave Canem» varato per censire (non rimuovere: solo censire) i randagi col risultato riassunto in un’interrogazione parlamentare: «55 cani censiti; 26 cani adottati; 3 cani restituiti al legittimo proprietario; 2 cani trasferiti in centro di accoglienza per percorso educativo». Duemila euro a cane! Per non dire dei 55.000 euro usati per comprare una partita di mille bottiglie di vino Villa dei Misteri da 55 euro l’una. Mille. Per un terzo spedite in giro per il mondo nelle ambasciate e i consolati, per due terzi lasciate in un magazzino dove sarebbero state trovate con immensa sorpresa dalla nuova soprintendente Jeannette Papadopoulos.
Soldi spesi così, fantasiosamente... E la manutenzione ordinaria veniva intanto abbandonata a se stessa. Col risultato che oggi quello che forse è il più celebre dei mosaici planetari, il mastino che abbaia alla catena all’ingresso della domus del Poeta Tragico, versa in condizioni penose. E la scritta «Cave Canem», attenti al cane, non si legge quasi più... Se potesse farlo, quel mastino saprebbe bene chi azzannare.
Gian Antonio Stella