Lorenzo De Cicco, Il Messaggero 6/2/2013, 6 febbraio 2013
«AMO LA SCUOLA, SONO TUTTI CON ME»
«Non mi aspettavo tutto questo casino», ammette Giovanni – il nome è di fantasia - con la schiettezza dei suoi quindici anni, dopo avere sentito della solidarietà dei politici e del sindaco Alemanno, nomi che in genere legge sui giornali. Invece stavolta sul giornale ci è finito lui perché a «qualche idiota» non è andato giù che il Tacito, liceo storico della Capitale, a due passi dal Vaticano, avesse un rappresentante degli studenti dichiaratamente gay e così ha pensato di comunicarlo al diretto interessato con una scritta accanto all’ingresso dell’istituto: «Frocio dimettiti», firmato da una celtica.
Qual è stata la tua prima reazione?
«Ero stupito, perché fino a questo episodio non mi era mai capitato di essere discriminato al liceo. Io non permetto a nessuno neanche di provarci. Ecco perché hanno dovuto affidarsi ad una scritta su un muro, di persona non avevano le palle. E così si sono qualificati per quello che sono: soltanto degli stupidi e dei vigliacchi».
Al Tacito tutti si interrogano su chi sia stato a realizzare la scritta. Può essere stato un tuo compagno di scuola?
«Questo non lo so. Credo e spero di no perché con i miei compagni ho un ottimo rapporto. Alle elezioni di novembre, quando sono stato eletto rappresentante d’istituto, ho preso più di trecento voti su cinquecento studenti. Sono stato il più votato di tutta la scuola. E lo sapevano tutti che sono omosessuale».
Quando hai fatto coming out?
«Ho capito di essere gay quando avevo undici anni. Dopo un anno l’ho detto ai miei genitori».
E che reazione hanno avuto?
«Dopo una specie di choc iniziale, che è naturale, mi hanno subito capito, perché sono persone fantastiche. Alle scuole medie però non ho trovato il coraggio di dirlo ai miei compagni, anche se molti di loro lo avevano intuito. E infatti mi prendevano in giro: mi dicevano che ero gay e io non sapevo cosa rispondere. Avevano trasformato il mio silenzio in un punto debole a cui attaccarsi per farmi male. Per questo al liceo ho deciso di non nascondermi più».
Scuola nuova, vita nuova?
«Per me è stata una liberazione. Nella nuova classe non conoscevo nessuno dei vecchi compagni e potevo finalmente mostrarmi per quello che ero. Vivere la mia vita senza preoccuparmi o nascondermi».
A qualcuno però questa decisione ha dato fastidio...
«Peggio per loro. Io mi godo l’affetto della mia scuola. Quando sono tornato in classe dopo la scritta ho sentito la solidarietà di tutti: preside, professori, compagni, bidelle. Mi sono quasi commosso».
Le reazioni dei politici invece che effetto ti hanno fatto?
«Li ringrazio, ma devono capire che non basta un gay pride una volta l’anno per combattere l’omofobia. Purtroppo ancora oggi anche le poche cose positive che riusciamo ad ottenere sembrano sempre concesse, come se fossero un favore. Qualcuno parla addirittura di “tolleranza”, una parola orribile perché presuppone che ci sia un “diverso” da sopportare. Io invece non mi sento diverso da nessuno. Purtroppo c’è molta ignoranza in giro, anche chi non ha un giudizio negativo dei gay spesso ha dei pregiudizi difficili da cancellare».
Per esempio?
«A volte qualche amico mi ha consigliato di “provarci con le donne”. Oppure, per farmi capire che non ce l’ha con gli omosessuali, c’è chi dice che “ognuno fa le scelte che vuole”. Come se questa fosse una scelta».
Secondo te chi è il responsabile di questa ignoranza così diffusa?
«Chi governa ha sicuramente le sue colpe, sia per l’ignoranza che per la violenza. Anche a Roma ci sono troppi movimenti omofobi di estrema destra e a volte il Comune mi ha dato la sensazione di proteggerli o magari di chiudere un occhio. Ma per combatterli la prima cosa da fare è denunciare ogni aggressione. Per questo non potevo restare zitto. Ora però non voglio essere trasformato in un paladino dei gay. Ho fatto solo quello che era giusto fare, niente di più».