Nicola Lombardozzi, la Repubblica 6/2/2013, 6 febbraio 2013
BOLSHOJ CRIMINI E MISFATTI
MOSCA
Il Fantasma del Bolshoj prende tutte le forme che vuole. A volte è un gatto nero che ti finisce sui piedi proprio mentre stai per entrare in scena, magari nel finale del Lago dei Cigni quando hai già preso tanti applausi e credi che ormai le forze del Bene stiano per vincere a favore di Odette sulle note di Ciajkovskij. Ma può essere anche un genietto maligno che ti sparge polvere di vetro all’interno delle scarpine. E fai in tempo a vedere la tua sostituta che indossa festante il costume di Giselle mentre tu vieni portata in infermeria.
Ma prima di arrivare al suo capolavoro di un mese fa, sfigurare con l’acido il direttore artistico del Teatro più famoso del mondo, il Fantasma ha recitato tante altre parti. Ai tempi dello zar aveva il sorriso mondano del principe che pretendeva un ruolo da étoile per la sua favorita, misera danzatrice senza talento. In quelli sovietici, assumeva lo sguardo ottuso e cattivo del commissario politico che processava in pubblico il mago del violoncello Msistlav Rostropovich per le sue idee liberali.
A i giorni nostri si è specializzato in un potpourri di materializzazioni. Può essere il turista giapponese che irrompe con il suo flash alle prove generali del mito vivente Jurij Grigorovich e lo apostrofa come fosse un portiere d’albergo: “E’ mio diritto, caro signore. Ho appena dato 500 rubli al custode!” O può avere il ghigno spietato del capo claque che ordina ai suoi spettatori stipendiati valanghe di fischi per l’artista del giro rivale.
Ovunque sia nascosto, tra i tunnel misteriosi che attraversano piazza Teatralnaja o gli stucchi freschi di restauro delle scalinate e dei foyer, il Fantasma fa paura. Nessuno ne parla apertamente ma tutti lo cercano con lo sguardo negli angoli più nascosti, dietro le specchiere veneziane dell’imperatrice Ekaterina, nei camerini supertecnologici appena ricostruiti, persino nelle misteriose correnti d’aria gelida che arrivano di tanto in tanto chissà da dove. E la paura impone la cautela. Si parla il meno possibile, e sempre sottovoce, del povero Sergej Filin che dopo l’aggressione con l’acido è ricoverato in un ospedale dalle parti di Colonia dove tenteranno di salvargli la vista, almeno da un occhio.
Il Fantasma, o chi per lui, ha superato il limite. Le leggende, gli aneddoti del passato, avevano tutto sommato, un alone romantico che si addiceva alla sacralità del luogo. L’attacco a Filin invece riduce il tutto a una dimensione criminale che terrorizza ogni addetto ai lavori, dalle stelle del palcoscenico all’ultimo elettricista.
Tra sussurri, soffiate anonime e ammiccamenti da teatranti di professione, il colpevole è già stato
identificato. Si chiama Nikolaj Tsiskaridze, ha 40 anni, due in meno della sua vittima, e un passato da grande stella del firmamento della danza. Nessuno ci mette la faccia ma tutti lo indicano ai cronisti come il vero grande nemico di Filin. Di fatto, appena un anno fa, aveva avuto scontri pesanti e plateali con il suo collega cui contendeva la poltrona di direttore artistico. Lui reagisce furente e si scaglia contro il suo stesso mondo: «Pettegolezzi, veleni, vigliaccherie. Un posto impossibile dove ormai regna la criminalità vera e propria. Le nostre beghe da artisti vanitosi sono robetta da romanzo. Qui ci sono interessi seri e gente spietata. Chi ha programmato l’attentato aveva deciso per tempo un capro espiatorio da mandare al macello».
Ed è qui che il romanzo del Bolshoj e del suo Fantasma cambia brutalmente registro e diventa storia di cosche, minacce e corruzione. A seguire le indicazioni di Tsiskaridze si scopre che gli ultimi anni del Bolshoj sono realmente stati dominati da una logica di arricchimenti ad ogni costo e di azioni criminali. A cominciare dalle operazioni di restauro, durate sei anni e costato più di 600milioni di euro, tra scandali, ruberie e tangenti sugli appalti. Poi l’eterno problema del bagarinaggio che ormai è diventata una industria e che fa sparire i biglietti dai botteghini passandoli direttamente a organizzazioni in odor di mafia che aumentano i prezzi da poche decine di euro a cifre per oligarchi che spesso superano i 3000 euro. Il tutto con la necessaria complicità interna blandita con il denaro e zittita con le minacce. Gestire e tenere sotto controllo una simile polveriera è mestiere da duri. Chiunque abbia provato ad occupare cariche importanti ha trovato pane per i suoi denti. Come il suo predecessore Jurij Burlaka, bruciato dalla pubblicazione di una foto piuttosto hard insieme alla sua amante. Ma anche il principale rivale di Filin alla conquista di quello stesso posto è stato eliminato in maniera analoga. Gennadj Janin altra ex stella del balletto è omosessuale. Particolare che, almeno per i ballerini, non viene considerato particolarmente scandaloso nemmeno nella Russia omòfoba di Putin. Per essere sicuri di affondarlo definitivamente i suoi rivali hanno inviato in simultanea a 30 mila indirizzi internet nel mondo alcuni suoi filmati compromettenti. Con una tecnica e una attrezzatura tecnologica che piàù che al Fantasma romantico fa pensare a una organizzazione ricca e potente.
Ma cosa può fare un direttore artistico contro una piovra che si è impossessata del Teatro? Può per esempio scoprire e denunciare che tutte le carriere e la popolarità dei singoli artisti sono gestite a pagamento con pressioni e intimidazioni di ogni tipo. La costruzione di una ètoile avviene ormai a tavolino. Si punta su un danzatore disposto a pagare o comunque ben sponsorizzato da qualcuno, e si fa di tutto: applausi a comando, recensioni entusiastiche, presenza garantita nelle parti migliori e negli spettacoli più seguiti. Attorno alla stella crescono procuratori, agenti, e tutta una macchina che fa soldi sulle esibizioni, sulle tournèe all’estero, sugli spot pubblicitari. Contemporaneamente i rivali vengono danneggiati. Innervositi dai gatti, spaventati dal vero nelle scarpe, esposti a patetici scivoloni da stracci e scope dimenticati volutamente sul palco da qualche operaio ben remunerato.
Nessuno accusa nessuno ma l’altra sera quando la giovanissima Olga Smirnova è caduta pesantemente sul palco alla prima della Bayadère di Minkus, le allusioni erano chiarissime. Promossa stella troppo presto a soli 21 anni, e sottoposta a uno stress incredibile di performance quasi quotidiane, la ragazza paga con una lesione ai legamenti lo sfruttamento eccessivo da parte dei suoi manager. L’85 enne Jurij Grigorovich che aveva allestito la rappresentazione non era presente alla prima. Esautorato nel ‘95 come direttore artistico “ormai superato” non ama il Bolshoj di oggi. Dicono che sia disgustato per certe imposizioni e per il disturbo continuo dei turisti alle prove. E che adesso sia rintanato in casa circondato da qualche consolatoria bottiglie di vodka.
E pare che rimpianga almeno lo stile delle guerre intestine d’altri tempi quando, dice, «il tutto si limitava a una rivalità artistica e non a una questione di soldi». Nostalgia che forse non meritano i tempi in cui il Bolshoj era comunque un centro di potere, «un intrigo di informatori, delatori e agenti segreti» come racconta nelle sue memorie la più grande stella della storia del teatro, Maya Plisetskaja. A quasi novant’anni ricorda ancora senza alcun vanto dei pesanti corteggiamenti di uno Brezhnev ubriaco e dei consigli pressanti del Kgb di «intensificare al massimo l’amicizia con Robert Kennedy per ricavarne preziose informazioni».
Potere e denaro sempre intrecciati, segnano comunque tutta la storia del Bolshoj. E, adesso che il clima si è fatto più pesante, l’ultima bravata del suo Fantasma rischia di non essere l’ultima.