Roberto Stigliano, Il Messaggero 6/2/2013, 6 febbraio 2013
DERIVATI UE: ITALIA SOLO SFIORATA DALLA BOMBA
Il fantasma dei derivati spaventa ancora il mondo occidentale: a distanza di 6 anni dall’esplosione della grande crisi dei mutui sub prime e del crack Lehman Brothers, il prodotto senza regole del capitalismo deviato agita i sonni di banchieri, governanti e istituzioni monetarie.
Ma nella demonizzazione dei derivati e del loro rischio bisogna distinguere le situazioni e guardare le cifre. Ebbene, se in Europa le principali 20 banche possiedono derivati per circa 6 mila miliardi di euro, in Italia la situazione è ben diversa: appena 178 miliardi considerando i primi due istituti, ovvero Intesa Sanpaolo e Unicredit, poco più di 204 con Mps, Banco Popolare e Ubi Banca.
LE CIFRE
I dati, aggiornati al giugno del 2012, sono di Mediobanca e fotografano una situazione ad alto rischio per alcuni colossi del credito svizzeri o tedeschi e casi paradossali: i derivati posseduti da Credit Suisse e Ubs, le due principali banche elvetiche, ammontano a un miliardo e 124 mila euro, vale a dire oltre due volte il Pil della stessa Svizzera. E i 6 mila miliardi complessivi di cui abbiamo parlato prima valgono poco meno del Prodotto interno lordo di Germania, Francia e Italia messe insieme. A proposito di Germania, la sola Deutsche Bank ha accumulato quasi 850 miliardi di euro in derivati con un rapporto rispetto all’attivo del 37,9%. Una percentuale superata soltanto dal Credit Suisse (47,3% un totale di 743 miliardi di derivati).
Niente a che vedere con le nostre banche: Unicredit possiede 118 miliardi di derivati con un’incidenza sull’attivo del 12,7%, Intesa Sanpaolo meno di 60 miliardi (9%), Mps poco più di 18 miliardi (7,9%), Banco Popolare 6 miliardi (4,5%), Ubi Banca 1,9 miliardi (1,4%). Nel rapporto tra derivati e totale degli attivi, le banche italiane stanno meglio di buona parte degli istituti di credito europei: solo in Spagna e Olanda la situazione complessiva è migliore, oltre a qualche singola banca in Francia e Inghilterra.
LO SCENARIO
Almeno in Italia, dunque, tutto sotto controllo? A giudicare dalle invocazioni di regolamentazione che ciclicamente vengono fatte da istituzioni e autorità politiche e di controllo (le ultime arrivano dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas e dal premier Mario Monti) si direbbe di no. Il fatto è che ai derivati le banche non vogliono rinunciare. Secondo i dati più recenti dell’Occ (l’Agenzia federale americana che vigila sugli istituti statunitensi) nel terzo trimestre del 2012 il totale di questi contratti stipulati dalle 25 principali società Usa è tornato ad aumentare dopo una serie di cali consecutivi arrivando a quota 227 mila miliardi di dollari. Una cifra che vale 15 volte il debito pubblico americano (secondo stime ufficiose il totale dei derivati sparsi per il pianeta è pari a 600-700 mila miliardi di dollari). Il perchè si spiega con la natura del derivato, nato con lo scopo di proteggere un acquisto a termine o un investimento dalle oscillazioni dei mercati. Una sorta di copertura del rischio. Tecnicamente, infatti, il derivato è uno strumento finanziario contraddistinto da un valore che varia al variare di un’attività sottostante: azioni, indici finanziari, valute tassi di interesse. Ma anche cereali, cotone, petrolio.
I NODI
Il punto è che da strumento essenziale per la stabilità dei bilanci, da un certo momento in poi è anche diventato un sofisticato strumento speculativo (alla cui base ci sono complicate formule matematiche non sempre comprensibili anche agli specialisti) che consente grandi profitti quando il mercato tira ma perdite devastanti nei periodi di vacche magre.
Ecco perchè da anni in tanti invocano inutilmente una regolamentazione di questo mercato. «La verità - spiega un banchiere - è che il problema è stato impostato in modo sbagliato demonizzando eccessivamente il derivato che di per sè non è uno strumento sbagliato. Quella che va tenuta sotto controllo è la sua patologia». Già, ma come? Le proposte di tassazione non sembrano la strada giusta. «Quello che serve - spiega ancora il banchiere - è fissare una soglia insuperabile nel rapporto tra derivati e patrimonio. Una regola semplice che impedirebbe alla banche e alle imprese di riempirsi in modo incontrollato e pericoloso di prodotti ad alto rischio». Per la verità qualche regola è stata introdotta: l’Europa ha varato una disciplina che prevede che i derivati Otc (ovvero quelli che vengono trattati fuori dai mercati regolamentati) vengano obbligatoriamente scambiati attraverso le cosiddette casse di compensazione con una controparte centrale tra venditore e acquirente che si assume il rischio di insolvenza di una delle controparti e in questo modo ne riduca il potenziale effetto domino. Regole che hanno costi pesanti per il sistema finanziario globale e che si sono già scontrate con lo strapotere delle grandi multinazionali. E che, cifre alla mano, ancora non sono sufficienti a fugare la percezione di una bomba pronta ad esplodere.