Fabio Pavesi, Il Sole 24 Ore 5/2/2013, 5 febbraio 2013
IL MARCHIO DELLA BANCA? RIVALUTATO DI 800 MILIONI
Un colpo di penna e voilà il gioco è fatto. A volte basta davvero poco per cambiare volto a un bilancio. E quel poco sta in quella scrittura contabile da 794 milioni emersa d’incanto nel bilancio 2008 di Mps. Siamo nell’anno della sciagurata e dispendiosissima acquisizione di Antonveneta. Non solo si sono pagati 10 miliardi ma chi predispone il bilancio di Siena iscrive 794 milioni di nuove attività immateriali nella dote che Antonveneta porta in dono a Mps. Quella voce valeva solo 400mila euro nel giugno di quell’anno a compravendita realizzata. Ecco che sei mesi dopo si scopre che Antonveneta ha in pancia beni intangibili che valgono a detta di Siena la bellezza di quasi 800 milioni. Un bel balzo da quel quasi zero attribuito durante tutto il periodo di perfezionamento dell’operazione. Già ma cosa vuol dire attività immateriali o intagibili? Lo dice la stessa definzione: sono attività impalpabili a cui aziende e banche danno da sè un valore. Chi lo stabilisce? Ovviamente l’acquirente senza controprove che quel valore sia davvero tale. È il ventre molle dei conti per qualsiasi società. Una voce aleatoria ed è spesso lì che si opera se si vuole alzare il valore di una società. Niente di più facile per Mps agire su quella voce. Tutti sapevano, vertici della banca per primi, che per Antonveneta era stato pagato un prezzo stratosferico. E se paghi caro devi in qualche modo dire che quel che hai comprato vale davvero tanto. Niente di più facile che tenere alta appunto la voce degli beni intangibili.
Il valore del brand
Quel che oggi suona grottesco, al limite del ridicolo, è la giustificazione apposta dai compilatori del bilancio di Mps. Quei 794 milioni in più portate in dote da AntonVeneta sono a detta di Siena legate «alla gestione del rapporto con il cliente (client relationship); al marketing rappresentate dal cosiddetto “brand name”». Tradotto: per Mps c’è un valore emerso, dopo il costosissimo acquisto, di 800 milioni attribuito alla forza del marchio Antoveneta e ai suoi clienti. Un’espressione non verificabile nè quantificabile. Il paradosso non è solo quell’aver appiccicato, dopo un acquisto-monstre di 10 miliardi, altri 800 milioni, ma il fatto e che quell’extra-valore viene aggiunto mentre Antonveneta già collassa.
Ma la banca è in perdita
È qui è il punto. Mentre a Siena si sforzano (e forzano i bilanci) ad assegnare più valore di quel che c’è, la banca neo-acquisita comincia a perdere denaro. AntonVeneta chiude infatti il 2007, un mese dopo l’accordo di compravendita da Santander, non con utili ma con una perdita di 6 milioni di euro. Un fatto già segnalato dagli ex possessori che si lamentano già a inizio del 2007 della caduta di profittabilità della banca di Padova. Nel 2006 infatti Antonveneta fece 400 milioni di utili. La banca patavina è in caduta libera quando Mussari negozia l’acquisto a quel prezzo monstre che non verrà mai rivisto al ribasso. Non solo, AntonVeneta porta in dote a Siena la bellezza di 1,8 miliardi di crediti a rischio su 30 miliardi di portafoglio complessivo. Non poco. Quella è una zavorra che peserà sui conti di Mps per gli anni a venire. Altro che 800 milioni di valore del marchio aggiuntivi. Quella scrittura contabile appare oggi quasi beffarda. Ma aveva un senso all’epoca e molto preciso. Stabilire un extra-valore immateriale per Antonveneta di 800 milioni non era un divertissement. Quegli 800 milioni valevano a fine 2008 il 10% del patrimonio netto tangibile del Monte dei Paschi di Siena. Era insomma un modo come un altro per tenere alto l’attivo e quindi il capitale della banca senese. La consapevolezza che l’altissimo prezzo pagato per Antonveneta si sarebbe rivelato in boomerang aveva cominciato ad aleggiare fin da subito in quel di Siena. Tanto da indurli a forzare i conti del 2008. Ma non è bastato.