Claudio Antonelli, Libero 5/2/2013, 5 febbraio 2013
QUANDO BAZOLI E MPS SALVAVANO L’AMICO GNUTTI
[Ora il presidente di Intesa prende le distanze da Mussari, ma in passato i due avevano collaborato. Per soccorrere la Hopa della «razza padana»] –
È già diventata una nuova corrente filosofica: si chiama revisionismo bresciano. Consente di spiegare il passato con la memoria del presente. Il caso di Giuseppe Mussari - ex Mps ed ex Abi - ne è l’esempio mirabile. A farne l’esegesi si è impegnato recentemente il Corriere, attribuendo il dogma a Giovanni Bazoli, l’uomo forte di Intesa. Il 2 febbraio 2013, in un pezzetto messo quasi per caso in pancia a un’intervista all’ex presidente dell’Abi, Maurizio Sella, appare un titoletto: «Mussari e le perplessità di Bazoli». Meno di mille battute per informare i lettori che ad «avere delle perplessità» sulla rielezione di Mussari all’Abi fu proprio Bazoli. Come dire: ecco chi ci aveva visto lungo. Peccato che il 20 giugno scorso via Solferino scrivesse: «Sono stato individuato come una persona che aveva espresso dubbi (al riguardo della candidatura di Giuseppe Mussari, ndr) e io ho già detto in altre sedi, e lo ripeto, che questo non è assolutamente vero». Parole e musica di Giovanni Bazoli.
Due giorni fa il successore di Mussari, Antonio Patuelli, in un’intervista su Repubblica sentenzia: «A giugno il professor Bazoli mi disse che avrebbe cercato maggiori informazioni sul suo conto, ma evidentemente non le trovò, tanto che votò anche lui insieme agli altri saggi per la conferma di Mussari». Serviranno anni perché gli storiografi analizzino il pensiero di Bazoli. Quel che è certo è che in passato i due – Mussari e lo stesso Bazoli –hanno frequentato gli stessi tavoli e le loro visioni economiche non sono state troppo difformi. Che cosa avevano in comune? La «razza padana». Nel 2008 le disavventure finanziare di Emilio Gnutti erano arrivate al capolinea e all’orizzonte (breve) si profilava una sola via di uscita, ovvero il fallimento della Hopa, la banca d’affari –come veniva chiamata impropriamente – che nel suo curriculum vanta alcune tra le operazioni più importanti degli ultimi 15 anni della finanza italiana. Una su tutte, la scalata a Telecom. Il fallimento, nel 2008, fu evitato perché la Mittel di Bazoli intervenne a chiudere i contenziosi e, dopo la creazione di una newco e l’ok del Tribunale, rilevò il pacchetto e procedette per una acquisizione. Fondamentale per la buona uscita dell’operazione fu il parere positivo del Banco Popolare e del Monte Paschi guidato da Mussari. I due istituti, infatti, accettarono di non escutere crediti per circa 90 milioni di euro.
Nel luglio 2008, l’accordo prevede la cessione del 38,7% di Hopa precedentemente in mano alla stessa Fingruppo e a Hi Spring (il cui buco da 50 milioni per alcune settimana spaventò i salotti della Leonessa d’Italia) alla Thethys, una newco in cui poi vanno a confluire la Mittel di Bazoli e il fondo Equinox Two di Salvatore Mancuso. Per rilevare 488.116.180 azioni di Hopa al prezzo unitario di 0,10 euro, Thetys si impegna a versare 48,8 milioni di euro nelle casse di Fingruppo, ma per risanare la società si rendono necessarie ulteriori mosse, visto che il passivo è pari in tutto a 437,25 milioni di euro. I primi ad essere pagati sono quei creditori che non hanno sottoscritto il piano di ristrutturazione: Intesa Sanpaolo (9,1 milioni di euro di credito), Morgan Stanley, Maryland Group e vari altri soggetti per cifre minori, non ultimo il fisco italiano.
Mps e Banco Popolare scelgono invece di attendere e rinunciare a circa 90 milioni di euro di crediti. Non è quindi sbagliato affermare che se fu evitato il fallimento si dovette dire grazie a quello stesso Mussari che anni dopo si ritrova sulla graticola giudiziaria e politica di Antonveneta. All’epoca dell’operazione la stampa attribuì (e non risultano smentite) a Bazoli una frase che spiega (molto meglio di quanto il Corriere abbia cercato di fare in questi giorni) l’essenza del revisionismo alla bresciana. «C’era allora e c’è ora una ragione di ordine sociale e civile: in Hopa sono intervenuti molti imprenditori bresciani raccolti attorno a un’idea e a un progetto che ha vissuto alterne vicende», avrebbe dichiarato Bazoli: «Vedere che tutto questo si concretizza in un fallimento con conseguenze anche di ordine penale, anche per l’idea che ho io dell’economia, è una cosa che preferirei evitare».
Le alterne vicende in realtà per taluni (vedi le Procure) furono una serie di piccoli e grandi reati, per altri addirittura il tentativo di raid in Rcs datato 2005. È forse bene oggi ricordare che la visione di Bazoli nel 2008 comprese l’idea di chiudere da padre di famiglia un periodo storico, che magari non aveva condiviso, e di chiuderlo bonariamente ripagando in parte i danni. Come si fa col figlio neo patentato che riga la macchina del vicino. Mps, guidata da Mussari, non si tirò indietro nell’operazione di salvataggio, come aveva fatto nel decennio precedente, nel salotto della razza padana. È vero e altrettanto innegabile che quello era un altro periodo storico e al salotto di Chicco Gnutti sedevano i più disparati investitori. Fino al 2006 anche una controllata di Fininvest e Mediaset hanno avuto quote di Hopa. Nessun revisionismo al momento nega che nel 2001, l’anno d’oro e al tempo stesso di frattura per la scalata Telecom targata Roberto Colaninno, Fingruppo detenesse quasi il 40% di Hopa, la quale possedeva oltre il 29% di Bell e così via fino a Telecom. In Bell, la più famosa società lussemburghese in Italia, si trovavano come soci oltre a Gnutti, la famiglia Mondardini, Antonveneta, Interbanca anche Mps e Unipol. Senza dimenticare il celebre Oak Fund. Solo all’inizio del 2007, nove mesi prima dell’operazione Antonveneta, Mps Finance comunica l’intenzione di non voler proseguire nel patto di sindacato.