Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 05/02/2013, 5 febbraio 2013
MA LE SANATORIE PREMIANO I FURBI - Tè
pizze, birra e caffè: ecco quanto hanno rastrellato annualmente, per ogni italiano, 40 anni di sanatorie. Circa 57 euro pro capite.
Eppure ieri mattina il Cavaliere è tornato a perorare un altro condono tombale. Per correggersi al pomeriggio: tutto un equivoco. E a questo punto resta comunque il dubbio: non aveva giurato che la stagione dei condoni era finita?
Quanto quel dubbio di una ulteriore sanatoria possa pesare sui mercati e sulla nostra reputazione tra gli europei diffidenti verso «la solita Italia», si vedrà. Quanto possa ringalluzzire evasori grandi e piccini, che scalciavano inquieti per la piega che avevano preso gli eventi nei mesi dei dolorosissimi sacrifici, lo diranno i sondaggi.
Certo è che nella galoppata elettorale del Cavaliere, a questo punto, manca solo un ammiccamento, un dico e non dico, agli abusivi dell’edilizia pirata. In favore dei quali, in passato, ha già concesso dopo ripetute e fiere smentite («mai pensato niente del genere») non una ma due sanatorie, nel 1994 e nel 2003, più l’appoggio alla «sanatoria delle sanatorie» siciliana di Totò Cuffaro.
Eppure a un certo Enrico, che gli chiedeva se potesse garantire che non avrebbe mai più fatto condoni, in una chat del 31 marzo 2008 condotta da Pierluigi Battista su Corriere tv, il leader della destra rispose di sì, dando per chiusa «una stagione dei condoni che ci è servita per allargare l’imponibile perché chi ha avuto un condono da quel momento ha dovuto dichiarare qualcosa di più dell’imponibile che aveva denunciato prima. Questa sarà invece una stagione di contrasto forte all’evasione e all’elusione fiscale».
Spiegava infatti, con tono accorato: «Oggi si calcola che ci sia un 17% del Pil che non viene dichiarato. Quindi nelle casse dello Stato entrano sei punti di Pil in meno, 90 miliardi di euro l’anno. Ora, questo non è giusto. È giusto che ai cittadini vengano chieste imposte giuste perché aliquote giuste fanno contribuenti onesti. Quindi procederemo su una duplice via: cercare di abbassare le aliquote ma anche di contrastare l’elusione e l’evasione fiscale facendo introitare nelle nostre casse almeno un punto di Pil all’anno».
Tesi ribadita dal «suo» ministro economico Giulio Tremonti, che dopo aver teorizzato che «in Sud America il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni ma mutando i fattori il prodotto non cambia», ne aveva via via sfornati in quantità per poi giurare: «Non li ho certo fatti volentieri, ma perché costretto dalla dura necessità. I condoni sono una cosa del passato. All’epoca hanno dato un enorme gettito, perché Prodi aveva consentito un’enorme evasione».
Che Romano Prodi contesti la teoria tremontiana è ovvio. Che i condoni abbiano dato un «enorme gettito» è messo in dubbio dalla Cgia di Mestre che ieri, dopo la sortita mattutina di Berlusconi sul «condono tombale» contro il «rullo compressore di Equitalia» a La7, ha diffuso uno studio ustionante. Dove si dice che, sulla base dei numeri forniti dall’Istat e da Fisco Oggi, la rivista dell’Agenzia delle Entrate, dal primo condono del 1973 a quest’anno, vale a dire in quasi quarant’anni, tutti i condoni messi insieme (una sfilza...) hanno permesso di recuperare in tutto, in moneta attuale, 123 miliardi e 68 milioni di euro.
Un incasso che, condono per condono, è quasi sempre stato più basso di quanto i governi si aspettassero. Lo accertò tempo fa la stessa organizzazione mestrina guidata da Giuseppe Bortolussi. Condono valutario del 1976: 4% degli incassi preventivati. Concordato fiscale del 1994: 12,4%. Sulle scritture contabili del 1995: 2,7%. Disfatte neppure paragonabili, però, alle sanatorie del 1989. Per ogni cento lire preventivate ne incassarono 6 e mezzo dal condono sugli immobili, poco più di 3 da quello sulla tassa dei rifiuti, meno di 2 dalla «fiscale forfettaria».
Una catastrofe che dava ragione all’allora opinionista Tremonti che scrisse di un «suicidio fiscale»: «Per la massa enorme degli evasori le probabilità di essere verificati sono minime (lo dicono le Finanze), le conseguenti liti tributarie si possono tirare in lungo senza costo (lo dicono ancora le Finanze) infine i condoni sono cadenzati ogni decennio: ’73, ’82, ’91. Vuol dire che il rapporto fiscale si basa su questa ragione pratica: farla franca, confusi tra milioni di evasori; farla lunga, coltivando con calma la lite; farla fuori, con poche lire di condono».
C’è chi dirà, citando l’ultima sanatoria «tombale» da oltre 20 miliardi di dieci anni fa, che gli ultimi condoni sono andati meglio. Sarà. Ma il Sole 24 Ore nel settembre 2011 riferiva che secondo la Corte dei Conti «i condoni del 2002 valevano, sulla carta, 26 miliardi. Alla fine dello scorso anno ne risultavano incassati solo 20,8» e sarebbero serviti «almeno dodici anni», cioè fino al 2021, «per incassare tutto l’arretrato». Perché? Perché molti furboni che avevano aderito alla sanatoria, «avevano pagato solo la prima rata per usufruire dello scudo giuridico del condono, lasciando un conto in sospeso di 4-5 miliardi».
Fatto sta che l’intera somma recuperata con quarant’anni di condoni che hanno devastato quel po’ che c’era di rispetto per il Fisco e di moralità pubblica corrisponde praticamente, come dicevamo, a 57 euro pro capite l’anno. Vogliamo fare un paragone? Se è vero, come dicono l’Istat e l’Agenzia delle Entrate, che l’evasione fiscale in Italia è stimata su oltre 120 miliardi di euro l’anno, quattro decenni di sanatorie spesso fallimentari e sempre deleterie sotto il profilo dell’educazione civica ci hanno fatto recuperare un solo anno di evasione.
Per carità, occorre assolutamente intervenire per rendere il Fisco più giusto, più rispettoso delle difficoltà delle persone, più corretto nel valutare i tempi con cui lo Stato pretende subito il pagamento dell’Iva e rimanda a dopo il pagamento di ciò che deve alle imprese. Ma per favore, condoni basta. Basta.
Gian Antonio Stella