Maurizio Molinari, La Stampa 5/2/2013, 5 febbraio 2013
IRAQ, BOOM DI PRODUZIONE DI PETROLIO
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Cambieranno adesso gli equilibri regionali? L’Iraq torna ai livelli di produzione del greggio precedenti alla Guerra del Golfo del 1990 minacciando di rivoluzionare gli equilibri fra i Paesi petroliferi come fra i governanti di Baghdad. A fotografare la svolta sono le statistiche dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), secondo cui in dicembre la produzione ha raggiunto i 3,4 milioni di barili al giorno superando i circa 3 milioni dell’agosto 1990, quando Saddam Hussein invase il Kuwait. Ma ciò che più conta è che il greggio iracheno è disponibile in grandi quantità in giacimenti facili da raggiungere e sfruttare. È una conseguenza delle sanzioni internazionali che colpirono il regime di Saddam immobilizzando l’industria petrolifera fino alla caduta del regime nell’aprile del 2003. Ciò significa che, secondo le previsioni dell’Iea, la produzione irachena può accelerare nei prossimi anni fino a raggiungere 6,1 barili al giorno nel 2020, consentendo a Baghdad di gareggiare in prospettiva con gli 11 milioni al giorno dell’Arabia Saudita per rifornire i Paesi emergenti sempre più bisognosi di petrolio: a cominciare da Cina e India. Si avvera così una delle previsioni della Casa Bianca di George W. Bush che, con il vicepresidente Dick Cheney e il vicecapo del Pentagono Paul Wolfowitz, riteneva che la caduta di Saddam avrebbe portato ad un boom petrolifero in Iraq capace di finanziare la ricostruzione e di ridimensionare l’influenza dei sauditi nel Golfo. Per l’amministrazione Obama sono notizie positive per due motivi. Primo: può contare nel breve termine sulla produzione petrolifera di una nazione amica in grado di contribuire, assieme a sauditi e Kuwait, a stabilizzare i mercati in situazioni di crisi. Secondo: il greggio iracheno può rapidamente sostituire quello iraniano, bloccato dalle sanzioni, sui mercati asiatici evitando conseguenze negative sull’economia globale. C’è però anche un rischio immediato: il fiume di dollari che si sta per riversare su Baghdad minaccia di inasprire le già incandescenti rivalità fra leader sciiti, sunniti e curdi sulla suddivisione dei profitti generati da riserve stimate in 143,1 miliardi di barili. Basta guardare a cosa sta avvenendo a Kirkuk per avere un assaggio dei pericoli: le autorità del Kurdistan iracheno hanno ammonito la britannica Bp a non accettare la commessa del governo di Baghdad per sviluppare un vasto giacimento di petrolio in un’area contesa.
(Maurizio Molinari)