Francesco Manacorda, La Stampa 5/2/2013, 5 febbraio 2013
LA PAURA DI UN PAESE IN STALLO
«Il rischio di ingovernabilità rimane secondo noi molto alto». «Il rischio di instabilità politica è aumentato sostanzialmente». «La coalizione di centro-destra, secondo i sondaggi più recenti, è appena il 5% sotto il centrosinistra e questa ultima proposta (la promessa di rimborsare l’Imu, ndr) mira a ridurre ulteriormente il divario». Le tre frasi che avete appena letto sono state scritte ieri, in inglese, in altrettanti rapporti firmati da Deutsche Bank, Nomura e Mediobanca.
Sono frasi che per qualsiasi elettore italiano appaiono scontate: da settimane leggiamo pronostici sulla probabilità di un governo
Vendola-Bersani-Monti a geometria variabile con tutti i «rischi di ingovernabilità» che ne deriverebbero; da settimane sentiamo le dichiarazioni del centrodestra certificate in parte anche dai sondaggi, sulla rimonta di Silvio Berlusconi che mentre il traguardo delle elezioni si avvicina potrebbe insidiare un centro-sinistra finora sicuro della vittoria.
Eppure queste constatazioni banali, che ieri mattina a inizio settimana sono planate sui computer degli operatori di Borsa di tutto il mondo, hanno contribuito a innescare una giornata nerissima per Piazza Affari e per i nostri titoli di Stato.
La Borsa ha chiuso in ribasso del 4,5% mentre lo spread - ossia la differenza di rendimento - tra i Btp decennali e i Bund tedeschi, che a inizio giornata era a quota 261, ha chiuso la seduta a 287 punti. Il livello più alto dall’inizio dell’anno. Solo cinque giorni fa, era il 30 gennaio, le aste dei Btp a cinque e dieci anni avevano visto i rendimenti tornati al livello di fine 2010. Ora, invece, l’allarme risale.
Le paure dei mercati finanziari, cui danno voce anche giornali come il Wall Street Journal e il Financial Times, sono dunque sostanzialmente politiche e vertono su un «fattore S», come Silvio. Va detto che alle promesse elettorali di Berlusconi sull’Imu nessuno, nelle sale operative di Londra o di Milano, crede davvero. Del resto se anche l’ex ministro e sodale Giulio Tremonti ammette che ci sarebbero problemi per i conti pubblici nel trovare 8 miliardi (4 di Imu da restituire e altri 4 per rimpiazzare quel gettito mancante), appare difficile che qualcun altro possa prendere sul serio l’idea. Ma è vero che l’ultima sortita di Berlusconi, che secondo Nomura può valere almeno un paio di punti di risultato elettorale, aumenta ancora la difficoltà di «leggere» in anticipo un esito chiaro delle urne e incrementa i rischi di uno stallo politico. E questo per chi opera in Borsa e sui titoli di Stato - di solito la finanza non apprezza le sorprese a meno che non sia lei a organizzarle - è un male.
I timori per l’instabilità politica non riguardano però solo l’Italia e i timori per l’Italia non riguardano solo l’instabilità politica. Anche nella Spagna flagellata dalle polemiche per i presunti «fuori busta» pagati a mezzo governo del premier Mariano Rajoy la Borsa affonda, seppur meno che da noi, e lo spread tra i titoli locali e quelli tedeschi sale. E anche in questo caso i timori riguardano la tenuta di un possibile governo che succeda all’attuale esecutivo guidato dai Popolari e il rischio di un ammorbidimento delle politiche di rigore fiscale proprio in quella area dell’Europa mediterranea - Italia e Spagna - che ha i conti meno in ordine.
In quanto al nostro Paese, nello «spread» di credibilità che allontana gli investitori, specie dalla Borsa, pesa ovviamente anche un caso come Mps. La magistratura indaga su ipotesi che vanno da una tangente passata di mano nell’affare Antonveneta a possibili «stecche» su operazioni finanziarie prese da alcuni manager. Spetterà ai giudici decidere le responsabilità penali, ma intanto l’affare della banca senese offre al mondo pittoreschi quadretti italiani che piacciono poco: confusione di ruoli tra gli azionisti La Fondazione - e la banca; inefficienza (a dir poco) di chi come il collegio sindacale del Monte avrebbe dovuto vigilare sui conti e di chi, è il caso dei revisori, avrebbe dovuto certificare la regolarità dei bilanci; e ancora qualche perplessità sull’efficienza della vigilanza della Banca d’Italia o almeno sulle norme che regolano la sua attività. Per chi vede l’Italia da lontano è difficile fare troppe distinzioni: quello che è accaduto in una banca, si può pensare, potrebbe accadere agevolmente anche in altre. Ma sopra a tutto resta quella «political uncertainty», l’incertezza politica, che campeggia su tutti i rapporti delle banche d’affari: chi si occupa d’Italia a Londra o a Wall Street vorrebbe che fosse già il 25 febbraio.