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 2013  febbraio 05 Martedì calendario

ELETTROCHOC, IN ITALIA ANCORA PRATICATO

I medici la chiamano ’Terapia elettro con­vulsivante’ ( Tec), ma ai profani è più nota come ’elettrochoc’. Un nome sinistro, che evoca libri e film (come l’indimentica­bile Qualcuno volò sul ni­do del cuculo ). In pochi sanno però che questo trattamento è ancora ap­plicato in molti paesi del mondo, Italia compresa. L’argomento è tabù, tanto che persino i laureandi in medicina spesso sono portati a credere che la Tec sia ormai un cimelio del­la storia della psichiatria. Non è così. In Gran Breta­gna è regolarmente utiliz­zata in 160 centri psichia­trici, la Germania si ’fer­ma’ a 159. Negli Usa è somministrata a 100 mila persone l’anno.
In Italia, secondo i dati re­si noti dal ministro della Salute Renato Balduzzi durante un’audizione alla commissione Sanità del Senato, è praticata in 12 centri: 9 pubblici e 3 pri­vati. Ma secondo uno stu­dio dell’Università di Pa­via, sono almeno 14 le strutture dotate di un macchinario per la tera­pia. A Cagliari l’hanno ab­bandonata due anni fa, a Pavia negli ultimi vent’an­ni sono stati trattati solo 4 casi. Ma altrove i numeri sono significativi. All’o­spedale San Martino di O­ristano, tra il 1999 e il 2009, sono stati trattati 199 pazienti, con 6 sedu­te a testa in media. A Mon­tichiari nel 2009 sono sta­te eseguite 557 applica­zioni: 51 pazienti sono stati sottoposti a Tec in media 8 volte, mentre al­tri 16 hanno ricevuto altri trattamenti «di manteni­mento » a distanza di 3-6 mesi, a seconda della ri­comparsa dei sintomi psi­chiatrici. Nella clinica del­l’Università di Pisa la Tec viene applicata a 80-90 pazienti l’anno. In tutto, in Italia nel triennio 2008-2010 sono stati eseguiti più di 1.400 elettrochoc, soprattutto su donne e o­ver 40 . I numeri tengono conto solo delle strutture pub­bliche o convenzionate con il servizio sanitario. In base alla direttiva emessa nel ’99 dal ministro Bindi (ancor oggi l’unico riferi­mento normativo), sono le sole autorizzate a ese­guire la Tec. Ma nei fatti non è così. Ci sono clini­che non accreditate che arrivano a praticarla sul 6 per cento dei ricoverati. Poco o nulla si sa, però, di cosa accada veramente tra le loro mura. Racco­gliere informazioni è in­fatti difficile: l’indagine dell’Università di Pavia si scontrò con la diffidenza di diversi centri interpel­lati, timorosi che «un’at­tenzione particolare po­tesse creare problemi al lavoro clinico».
Meglio insomma tenere le luci spente su una terapia nata nel 1938 su intuizio­ne dei neurologi italiani Ugo Cerletti e Lucio Bini. Avendo notato l’effetto a­nestetizzante di una mo­derata scarica elettrica sui maiali destinati al macel­lo, decisero di sperimen­tarla su soggetti schizo­frenici. Oggi la Tec è uti­lizzata solo nei casi di de­pressione più gravi, re­frattari ai farmaci. Si ri­chiede il consenso «libe­ro, consapevole, attuale e manifesto», da esprimere in forma scritta dopo una completa informativa da parte del medico. Qualora il paziente «non fosse in grado di esprimere libera­mente il suo consenso», la Tec può essere praticata – dietro assenso del tutore – in regime di trattamen­to sanitario obbligatorio ( Tso).
La comunità scientifica resta profondamente di­visa. Ma in assenza di una legge che proibisca l’elet­trochoc (nel 2000 fu inu­tilmente presentato un di­segno di legge che preve­deva anche il carcere per chi lo avesse praticato), il problema è essenzial­mente quello dei control­li, non sempre adeguati e rigorosi: la circolare Bindi prevedeva la vigilanza da parte delle Asl e di com­missioni interne, che però non si sa fino a che punto sia effettiva. Una questio­ne sollevata dall’interro­gazione parlamentare del­l’onorevole Delia Murer (Pd), che non ha ricevuto risposta. La circolare Bin­di sottolinea che «la psi­chiatria dispone attual­mente di ben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale», tuttavia il Co­mitato nazionale di bioe­tica, a suo tempo, ritenne che non ci fosse motivo «per porre in dubbio la li­ceità della terapia elettro­convulsivante nelle indi­cazioni documentate dal­la letteratura scientifica». Il parere risale al 1995. Do­po 17 anni, la Tec è anco­ra avvolta da ombre e pre­giudizi, in attesa che qual­cuno faccia chiarezza una volta per tutte.