Mario Ajello, Il Messaggero 5/2/2013, 5 febbraio 2013
COSI’ IL CICLONE DELLA PROPAGANDA AGITA I MERCATI
Alla vigilia tutti dicevano di sapere che questa non sarebbe stata una campagna elettorale come le altre, perché «l’Europa ci guarda».
E perchè ci eravamo salvati per un soffio dal collasso economico via spread. E perchè la politica della responsabilità, i mercati da rassicurare, il buon nome riconquistato dell’Italia da non sprecare tornando a quegli «eccessi di italianità» - ossia evanescenza programmatica e finzioni verbali - come li chi chiamava Cesare Garboli, massimo studioso del Tartufo di Molière, che lui considerava simbolo soprattutto del nostro Paese. E invece, come se nulla fosse e nulla fosse stato, lo scontro per il voto del 24 e 25 febbraio altro non si sta rivelando che la solita campagna elettorale, incurante del fatto che gli scoppi di parole fanno terremotare tutto, più di prima e più di sempre.
Parole così, indigeribili per Lady Spread, come quelle sull’Imu. «La abolisco», è il primo grido di battaglia di Berlusconi. Ora raggiunto dal suo raddoppio: «La risarcisco». Mario Monti, che s’era fatto la fama di tassator cortese, ora l’Imu la vuole «ridurre» e in generale «le tasse si possono abbassare». Pier Luigi Bersani, dopo la premessa «non racconto favole», sull’Imu si concede una licenza poetica: «Va ritoccata». Irap e Irpef: «Le abbasserò», proclama il Cavaliere nella gara di tutti contro tutti e tutti insieme contro il rigore finanziario che non produce facili consensi.
PATRIMONIALE SI’ ANZI NO
Si cerca ogni volta di calcolare quanti voti aumenta, oppure no, nei sondaggi Berlusconi appena annuncia l’esistenza di una sua giovane fidanzata o nel momento in cui acquista Balotelli o sbatte un plico sulla testa di un giornalista di sinistra. Ma perchè non si prova a conteggiare anche quanto influisce sull’altalena dello spread o sui monitor delle Borse lo scaricabarile sul redditometro? Oppure l’attacco a testa bassa di Tremonti a Bankitalia - «Non ha vigilato su Mps» - e se la prende con quella di oggi per colpire in realtà quella di ieri, quando la guidava Mario Draghi, uno degli idoli italiani agli occhi del mondo? Per non dire di Vendola. «Voglio rottamare la riforma Fornero sul mercato del lavoro» (considerata universalmente una delle poche misure che ci avvicina agli altri Paesi) e «la riforma delle pensioni è una grave ferita sociale che va suturata». Ancora Nichi il Rosso: «Bersani dice che non vuole la patrimoniale? Guardate qui (e apre in pieno Transatlantico una cartellina bianca, ndr): è la Carta d’intenti siglata da Pd e Sel. C’è scritto che si dovrà operare un prelievo sui grandi patrimoni nonchè una tassazione delle rendite». Però Bersani ha annunciato più volte: «No alla patrimoniale, non siamo Robespierre». E sempre Bersani ha ritoccato se stesso: «Tasse sui patrimoni di oltre 1,5 milioni di euro».
SENZA PADRI
Ha detto il premier Monti l’altro giorno: «Il redditometro è una bomba ad orologeria. Io non lo avrei mai messo. E l’ipotesi di toglierlo è da valutare seriamente». Ecco un caso, osserva Edoardo Novelli, docente di Comunicazione politica a Roma Tre, «di sdoppiamento della personalità in campagna elettorale.
Si vede che Monti è uno che sta imparando le tecniche di propaganda e in questo tirocinio incorre in qualche contraddizione». Monti è lo stesso Monti che, nel discorso d’insediamento da premier il 17 novembre 2011, aveva detto: «Potenziare gli strumenti di misurazione induttiva del reddito». Non si riferiva forse al redditometro che piace molto ai mercati? Prima era santificato e ora - nella campagna elettorale che doveva essere diversa dalle altre e invece è uguale - il redditometro è diventato un figlio illegittimo portato da una cicogna cattiva e illiberale.
Berlusconi lo introdusse nella manovra di fine luglio 2010 e adesso: «E’ da Stato di polizia». Così come Equitalia, introdotta dal Cavaliere con decreto del 30 settembre 2005, che ora «va abolita. Sono estorsori». E gli evasori? Meritano un «condono tombale». Maroni invece quello che annuncia: «Il 75 per cento delle tasse dei lombardi restino in Lombardia».
Una promessa che ai non lombardi costa 8 miliardi di euro che nessuno ha spiegato come coprire. «Il fatto è che - spiega Marco Belpoliti, docente di letteratura e studioso di parole e segni dello scontro politico - questa campagna elettorale non si gioca tanto sull’appeal dei leader. Quanto sulla memoria di ciò che è accaduto negli ultimi anni».
Se fosse così, c’è da tremare perchè quella degli italiani forse no ma la memoria dei mercati è lunga e continuamente ravvivata.