Edoardo Vigna, Sette 1/2/2013, 1 febbraio 2013
ASSUMIAMO INGEGNERI PER FARE IL CAFFÈ
[Maurizio Cimbali]
Lo schermo dei comandi touchscreen somiglia a uno smartphone; il collegamento al macinadosatore, on demand, è wireless – attraverso il bluetooth –; la pressione della caldaia si abbassa quando non serve con la funzione Energy Saving; e anche se non sembra, la Cimbali M100 – il modello che celebra il centenario della casa di Binasco, alle porte di Milano – è green anche perché prodotta con materiali riciclabili. «Io la chiamo la “fuoriserie” della categoria», spiega il presidente, Maurizio Cimbali. Ammettiamolo: quando, all’estero, entriamo in un bar e sbirciamo dietro il bancone una macchina del caffè italiana, tiriamo un sospiro di sollievo. Anche chi fra noi, in fatto di cibo, ha gusti più spericolati, ed espatriando “evita” la cucina italiana. Se si tratta di una Cimbali, il sospiro è doppio. E se poi si aggiungono tecnologia e design avveniristici, scatterà anche un pizzico di giustificatissimo orgoglio nazionale.
Così, pur con i venti di crisi che soffiano potenti ormai da un quinquennio, non si può essere sorpresi se il marchio della famiglia che controlla il 50% del mercato italiano delle macchine da caffè, ed esporta l’80% della produzione, cresce inesorabilmente: il fatturato – 133 milioni di euro – è un terzo in più di quello firmato nel 2009, e anche nel durissimo 2012 l’aumento è stato di un buon 2%. Mentre, di pari passo, procede l’assunzione di una bella squadra, ingegneri in primis, per la ricerca interna: 13, l’infornata più recente. Rigorosamente italiana.
Già, ecco la coppia d’assi calata dal gruppo milanese: innovazione e italianità, punti di riferimento tenuti fermi lungo tutto l’attraversamento delle tempeste economiche. «La prima riflessione l’abbiamo fatta a proposito del know how», aggiunge Maurizio Cimbali. «Nel 2008 ci siamo accorti che, da diversi anni, avevamo trascurato la ricerca, che cominciava a soffrire». Così l’ordine di scuderia dei Cimbali, che vedono in azienda la terza generazione (e la quarta è all’orizzonte), appoggiata da un management a cui è affidata la gestione operativa, è stato: ricominciare a investire.
E sì, perché – in fondo – le macchine da caffè sono tutt’altro che un banale parallelepipedo dalla banale meccanica. Basta farsi un giretto nel Mumac: laddove prima c’era un capannone dell’azienda alle spalle della fabbrica, i Cimbali hanno aperto il Museo delle macchine da caffè, il primo al mondo. Duecento esemplari da bar, con 500 libri antichi e migliaia di documenti digitalizzati. Il tempo delle caldaie cromate che, ancora fino al secondo Dopoguerra, facevano solo caffè nero senza “cremina”, è lontano. Ma, in fondo, lo sono anche le premiatissime macchine di design con cui Cimbali aveva fatto un primo salto nella modernità negli Anni 60 (la Pitagora dei Fratelli Castiglioni, vincitrice del Compasso d’oro, è del 1962) e 70, quelli in cui il giovane universitario Maurizio andava con il padre a trovare clienti che si chiamavano Motta, Alemagna, Campari. «Oggi 50 persone compongono il team dedicato a progettazione meccanica, elettronica e innovazione», spiega il presidente. «Nella Ricerca & Sviluppo mettiamo il 9% del fatturato». Una cifra pari anche a ben più del doppio della media dell’industria manifatturiera. «Il risultato è che, negli ultimi anni, abbiamo depositato ben 44 brevetti». E questo mentre l’intera organizzazione aziendale è stata rinnovata e rivoltata come un calzino. «Abbiamo puntato sull’integrazione verticale Made in Italy, semplificando il numero dei fornitori, passati da 10 a 2-3, tutti in Lombardia».
Scene da un bar. La famiglia Cimbali ha via via, nel corso degli anni, acquisito gli altri marchi principali di casa nostra, come Faema: «Svizzeri e tedeschi», spiega il numero uno del gruppo di Binasco a proposito della concorrenza, «fanno prodotti di qualità. Ma noi riusciamo ad aggiungere l’emotività che alle loro macchine manca». Proprio così: emotività. Perché noi siamo abituati a guardare distrattamente l’amico barista mentre sgomitiamo al mattino per ordinare un caffè, ma in realtà con gli occhi dell’inconscio registriamo una “scenografia” completa per i nostri sensi: gestualità, rapidità di esecuzione, qualità del prodotto, l’eleganza del design, e ora anche l’effetto sorpresa dell’high-tech. Elementi decisivi nell’orientare la produzione delle macchine, che peraltro, nel mercato mondiale, sono soprattutto per cappuccino e “famiglia del latte”, più che per il solo espresso.
Queste “Ferrari” parcheggiate sul bancone del bar comunque ormai girano sui “circuiti” di tutto il mondo. «Il 25% della nostra produzione va fuori Europa, dove vanno benissimo Gran Bretagna e Germania. Le prospettive più interessanti, America a parte», precisa Cimbali, «ci fanno guardare al Far East, Giappone e Cina in testa ma non solo: si lavora molto bene anche in Vietnam, per fare un esempio, in prospettiva c’è pure l’India».
Caffè all over the world, visto che nemmeno la patria del tè resiste all’invasione. Che Cimbali pianifica con 10 sedi estere e 700 distributori. Un network molto “social”, in un certo senso. Perché una marcia in più, ti spiegano al quartier generale di Binasco, (che sta mettendo a punto una risposta anche nel mercato delle semiprofessionali a cialde, sempre più utilizzate soprattutto nei piccoli ristoranti) te la dà la catena post-vendita. Il servizio al cliente. Solo un esempio: per ottenere sempre una consistenza del caffè ottimale, riducendo le variabili, possono essere necessari 12-15 aggiustamenti ogni giorno del macinino. Bene, la macchine di nuova generazione con il dosatore ci “dialogano” via blootooth, dandogli in tempo reale gli ordini necessari a ottimizzare il servizio. «Adesso possiamo anche gestire “da remoto” l’intera manutenzione della macchina, collegandoci attraverso il wi-fi del locale». In pratica, un tecnico, dall’altra parte del pianeta, si “impossessa” del software, ne controlla e ne regola i vari parametri. «Faccio l’esempio di una catena di bar in Messico. Costi ridotti, risparmi di tempo, di personale e perfino di benzina per i tecnici, prodotto migliore: un bel risultato, ottenuto mettendo a punto le macchine da centinaia di chilometri».
(terza puntata della serie. Le precedenti sono state pubblicate sui n. 42 e 47 del 2012)