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 2013  febbraio 01 Venerdì calendario

CHI COMBATTE CONTRO ASSAD

Dall’Esercito di liberazione a Jabhat al Nusra, versione siriana di al Qaeda. I gruppi di ribelli sono sempre più numerosi e organizzati–

Per entrare in Jabhat al Nusra devi scegliere tra due liste. Se ti iscrivi nella prima significa che sei disposto anche a compiere attentati suicidi, nella seconda invece combatti e basta ma devi sottostare a delle regole molto dure...Taha ha 27 anni e ha disertato l’esercito regolare siriano a giugno del 2011, un mese prima della nascita dell’Esercito di liberazione siriano (Els) dove ha combattuto per più di un anno prima di approdare nel famigerato Jabhat al Nusra, l’assembramento di combattenti sunniti inserito a dicembre dagli Usa nell’elenco delle organizzazioni terroristiche internazionali. Letteralmente il nome significa "Fronte del supporto al popolo", di fatto si tratta della versione siriana di al Qaeda, anche se non mancano le differenze a partire dal reclutamento aperto anche a volontari senza preparazione militare. Non a caso il numero dei suoi membri è passato da 600 a 2.500 in poco meno di un anno. «Ci hanno appena raggiunto due fratelli egiziani», racconta Taha da Antakya, nel sud della Turchia: «Un ingegnere elettronico di 34 anni che si è iscritto nella prima lista e uno studente di legge che invece non si sente pronto al martirio».
Il Sud della Turchia insieme a Tripoli (nel nord del Libano) rappresentano i due principali punti di passaggio per i volontari della Jihad internazionale provenienti da Iraq, Algeria, Tunisia, Marocco ma soprattutto Arabia Saudita (quest’ultimi concentrati nella città di Homs). Arrivano in supporto dei «fratelli sunniti» per rovesciare la dittatura del presidente alauita (e quindi sciita) Bashar al Assad. Nella variegata galassia dei gruppi di combattenti siriani, in parte uniti sotto il comando del Fronte islamico siriano, Jabhat al Nusra è diventata popolare grazie alla sua capacità di eliminare check point e conquistare le basi militari dell’esercito regolare. Le caserme vengono prese o distrutte sia con esplosioni remote che con attentati suicidi. Il kamikaze, spiega un altro membro dell’organizzazione basato in Libano, «è necessario quando deve guidare un’auto carica di esplosivo dentro una grande base militare. Il martire indossa una divisa dell’esercito regolare e attiva l’esplosione solo quando arriva il più vicino possibile al bersaglio», ovvero i soldati colpevoli «di non disertare».
In un video autentico postato su YouTube il 4 settembre scorso si vede un kamikaze (in arabo "shahid", martire) entrare nel campo militare di Neirab nella regione nordoccidentale di Idleb. L’uomo, originario del Marocco, dice di chiamarsi Abu Mussab, prima di compiere l’attentato recita una lunga preghiera e saluta la propria famiglia. Canzoni con significato religioso fanno da sottofondo, poi una voce fuoricampo chiede: «Come ti senti oggi?». Risposta: «Mi sento meglio di ieri perché sono più vicino al paradiso».
IL CALIFFATO ISLAMICO E I RAPPORTI CON ELS
I membri di Jabhat al Nusra, dichiarano di voler istaurare un califfato islamico basato sulla shariaa, il diritto coranico, ma di non essere intenzionati a combattere l’Occidente o le altre religioni anche se in un recente video un aspirante suicida recita: «Dio fa di me una palla di fuoco che brucia i miscredenti alauiti e accettami come martire». Chi entra nel gruppo non risponde ai proclami del leader di al Qaeda, Ayman al Zawairi, ma deve pregare cinque volte al giorno e smettere tassativamente di fumare.
Quanto all’applicazione della shariaa, al Nusra è l’unica brigata ad aver eseguito la legge del taglione nelle corti islamiche sorte nella Siria liberata. Diverse fonti interne all’Els confermano il caso di un ladro condannato al taglio di una mano e di una gamba (in lati opposti) dopo essere stato sorpreso a saccheggiare degli appartamenti vuoti nella zona nordorientale di Aleppo.
Per far fronte alla ferocie efficacia di questo gruppo, l’esercito dei disertori ha deciso di riformarsi e avere una struttura gerarchica più credibile. Dal summit del 7 dicembre scorso che si è tenuto ad Antalya, in Turchia, è emersa quindi una nuova organizzazione: la Siria è stata divisa in cinque macro aree dove combattono circa 200 brigate legate a loro volta ai 70 battaglioni principali. I comandi generali sono guidati dal neoeletto leader dell’Els, Salim Idris, un brigadiere originario di Homs più alto in grado del suo predecessore, il colonnello Riad al Asaad. Idris, ingegnere poliglotta di 55 anni, ha disertato circa un anno fa affermando di non appartenere a nessuna organizzazione politica seppure circa i due terzi dei 300 militari che lo hanno eletto ha relazioni dirette con il partito siriano dei Fratelli musulmani o con la variegata galassia salafita. Idris ha poi affermato che la definizione di Jabhat al Nusra come organizzazione terrorista è stata «troppo affrettata».
ALTRI GRUPPI INDIPENDENTI
Oltre a Jabhat al Nusra ci sono poi altri gruppi forti che si dichiarano indipendenti ma che continuano a collaborare con l’Els per l’obiettivo comune della caduta del regime di Bashar al Assad. Tra questi c’è Jabhat Tahrir Suria (la brigata della Siria libera) che si è distinta recentemente per aver distrutto buona parte dell’aeroporto militare di Taftanaz (300 km a nord di Damasco). Il gruppo jihadista prende finanziamenti per lo più dal Kuwait (singoli donatori).
Un’altra brigata molto radicata nel territorio è quella di al Faruk, che conta ormai più di 18mila uomini non più concentrati esclusivamente ad Homs come all’inizio del 2012. Il gruppo gode dell’appoggio diretto dell’imprenditore miliardario Firas Tlass figlio dell’ex ministro della Difesa Mustafà Tlass recentemente riparato a Parigi dopo la sua clamorosa diserzione. Fino ad agosto a capo della al Faruk c’era un membro della famiglia Tlass, Abdul Razzaq, costretto poi alle dimissioni dopo l’uscita a sua insaputa di un video in cui viene sorpreso a masturbarsi su Skype davanti a una donna seminuda.
APPROVVIGIONAMENTO DI ARMI E SOLDI
Per i ribelli esistono principalmente tre modi per rifornirsi di armi: comprarle in Turchia, in Libano o attingere al mercato nero interno. Gli stessi uomini dell’esercito regolare o shabbiha (la miliazia pro Assad) le vendono per arrotondare stipendi non adeguati all’inflazione, ormai fuori controllo, o semplicemente per fare affari. Comprarle fuori comunque costa molto meno. È dal confine turco che passa il numero maggiore di approvvigionamenti bellici grazie alla complicità dei gendarmi turchi che di notte lasciano il campo libero su diversi punti della frontiera (nella regione di Hatay e Gazientep). Dal Libano passano invece soprattutto pistole, munizioni, esplosivi, bombe a mano e fucili di alta precisione. I prezzi di questi ultimi variano molto, ma ciò che più conta per i ribelli è che in Libano si trova di tutto. L’eredità di trent’anni di guerra civile è una piazza tristemente ricca. Un As Val, fucile da cecchino di fabbricazione belga o israeliana, costa intorno ai 2 mila dollari. Le pistole dell’esercito regolare libanese valgono invece poche centinaia di dollari, mentre una Beretta italiana si paga fino a 1.500 dollari. Non mancano poi Kalashnikov russi, cinesi e jugoslavi da poco. Per un nuovo Pks russo, che può sparare fino a 400 proiettili in un minuto, i ribelli arrivano a spendere fino a 7mila dollari. Ma ce ne sono di più cari, un M4 americano costa 10 mila dollari. Quanto ai missili, diversi video non verificabili dimostrano come i ribelli siano riusciti in alcuni casi a prendere possesso di fabbriche e a prodursi armi da soli, come la brigata al Faruk che ha recentemente prodotto il suo "Air Faruk1".
I soldi all’Els arrivano sotto forma di donazioni private (veicolate spesso tramite organizzazioni caritatevoli) da parte di siriani all’estero, politici libanesi sunniti o uomini d’affari provenienti per lo più da Arabia Saudita, Qatar e Kuwait. Anche per questo si è assistito nell’arco di meno di due anni alla crescita esponenziale dei gruppi armati. Di fatto qualsiasi sheikh (leader religioso) può creare per capriccio una propria milizia in Siria allo scopo di allontanare da Damasco la presenza degli iraniani sciiti alleati di Assad. La capitale siriana infatti è tradizionalmente percepita come uno dei luoghi più importanti dell’islam sunnita.