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 2013  febbraio 01 Venerdì calendario

INTERVISTA A CARLO FRECCERO

Trent’anni di televisione commerciale hanno formato il gusto medio del Paese, la sua ideologia politica, l’adesione e il consenso al berlusconismo», annuncia subito Carlo Freccero a chi prende in mano il suo nuovo libro, "Televisione", in uscita in questi giorni per le edizioni Bollati Boringhieri. Ma aggiunge: «Ora però è finita. Con l’avvento del digitale assistiamo all’agonia della tv generalista e alla nascita di qualcosa di nuovo». Chi ama la televisione, ma anche chi la detesta, si ritroverà nelle pagine scorrevoli e dense di questo trattatello che è insieme l’autobiografia intellettuale di un protagonista e l’analisi impietosa di un mezzo che ha dominato il nostro sentire per trent’anni, modificandoci nei comportamenti e nella percezione della realtà. Ma che ora, avviato al tramonto, ci lascia nelle braccia multiple, diversificate, specializzate, in sintesi più democratiche, dei nuovi media.
Eppure, Freccero, mai come oggi c’è la corsa ad apparire in televisione. La campagna elettorale si svolge tutta lì.
«È vero, ma questo accade perché nonostante la sua crisi e l’avvento di altri metodi di marketing politico, la televisione generalista resta il riferimento centrale, e spesso unico, per un pubblico anziano, culturalmente poco attrezzato e facilmente influenzabile. I sondaggi dicono che la tv può condizionare il 75 per cento dell’elettorato, dato che in Italia soltanto il 25 per cento si documenta altrove».
È per questo che Berlusconi l’ha rioccupata in tutti i suoi spazi?
«L’ha fatto in quel modo massiccio perché il suo spettacolo si era interrotto e lui doveva riannodarne il filo per riportare il discorso pubblico sul proprio terreno. È un attore formidabile. Con le sue apparizioni ha smontato lo scenario montiano di ogni sacralità. La politica è tornata spettacolo e tutti hanno dovuto inseguirlo».
Persino Grillo.
«Già, proprio il più accurato sostenitore di Internet chiuderà la campagna elettorale in televisione. E pensare che Casaleggio aveva dichiarato che attraverso la Rete il messaggio di Grillo si sarebbe diffuso come quello di Gesù. Ma sui media Grillo la sa lunga, tanto è vero che tutti i suoi uomini utilizzano a tempo pieno le tv locali».
Messa così sembra però il trionfo della tv.
«E invece la televisione come l’abbiamo conosciuta, cioè generalista e commerciale, è destinata comunque a soccombere. Glielo dice uno che per tutta la vita ci ha fatto un continuo corpo a corpo. Ho cominciato nel 1980 proprio nelle tv di Berlusconi, ho fatto televisione in Francia e ora dirigo Rai 4. Ho visto il passaggio dalla tv pedagogica a quella di intrattenimento, a quella dell’infotainment. So di che cosa parlo. È cambiato lo spirito del tempo».
Come?
«Lo vediamo ogni giorno. Il passaggio dall’analogico al digitale ha permesso l’interazione tra i vari media, ha fatto nascere televisioni tematiche destinate a pubblici individualizzati e competenti, ha dato vita a figure inedite come quella del reporter diffuso, cioè il cittadino pronto a filmare e a diffondere un evento di cui è spettatore. Questo pubblico attivo sta decretando la fine di quella dittatura della maggioranza da cui è stata pervasa la nostra vita collettiva».
Eravamo in una dittatura?
«Nel senso che spiego nel mio libro, sì. La televisione generalista ci ha fatto vivere in un clima culturale dove la qualità è stata soppiantata dalla quantità, e quest’ultima ha finito per costituire la verità. È il criterio quantitativo che stabilisce se un fatto è vero o no, e lo fa attraverso un sondaggio che dà anche l’illusione della democrazia diretta. Con la dittatura della maggioranza la norma ha coinciso con la media statistica. Berlusconi ha dominato per vent’anni perché ha applicato alla politica questa sua filosofia commerciale».
Come mai la sinistra non ha saputo fermare questa deriva?
«Perché la sinistra non ha mai capito niente di comunicazione. È ancora legata alla galassia Gutenberg e non ha neanche assimilato il messaggio di McLuhan. Continua a pensare che il condizionamento dell’elettorato riguardi, come nell’età moderna, i contenuti e non i medium stessi, il programma non le emozioni. Solo oggi comincia a capirci qualcosa e lo abbiamo visto con Renzi. Ma la beffa è stata che Renzi, che è poi una semplice imitazione di Berlusconi, arriva quando Berlusconi è alla fine della sua parabola. Un fallimento».
Quindi la sinistra non ha scampo.
«Può cavarsela se capisce che ora di nuovo tutto sta cambiando. Il computer, a differenza della tv, permette di coniugare la quantità con le scelte individuali. Oggi la quantità, cioè la massa, viene progressivamente sostituita dalla moltitudine come somma di differenze, un concetto che ho preso in prestito da Toni Negri. Dieci anni fa polemizzai con lui proprio su questo, ma oggi ammetto che aveva visto le cose in anticipo. Adesso penso che l’idea di moltitudine rifletta bene la gestione computerizzata del presente: dal mercato, all’informazione, alla politica. Ma chissà se la nostra sinistra se ne accorgerà!».
Non sarà semplice se, come lei scrive, la tv ha cambiato addirittura la nostra organizzazione del pensiero.
«Ogni medium che si affaccia rappresenta un’estensione della nostra sensibilità, ma la sua diffusione finisce per mutarci anche nel modo di ragionare. Come la stampa aveva creato l’uomo rinascimentale, legato alla scrittura, la tv ha disgregato quel mondo traghettandoci dal moderno al postmoderno. Con la televisione i fondamenti del discorso pubblico, esperienza, argomentazione, contraddittorio si sono mutati in intrattenimento. Le neuroscienze dovrebbero verificare quanto siamo cambiati. Forse avremmo delle sorprese».
Lei sostiene che è mutata anche la nostra esperienza del tempo.
«Certo. È la stessa condizione del postmoderno a farci vivere in un eterno presente e la televisione amplifica questa immobilità con la continua possibilità di recuperare il passato e di ripercorrerlo infinite volte, mischiandolo con l’attualità. In Italia non c’è neanche l’obbligo di mettere la scritta "Immagini d’archivio" sotto vecchi filmati per cui oggi si può ascoltare una dichiarazione di qualcuno con immagini dell’estate scorsa. Ma nessuno si meraviglia. Nell’archivio permanente rimandato dalla tv, la nostra giovinezza vive in eterno alimentando anche i miti delle generazioni successive. Per questo oggi manca quella benefica frattura che contraddistingueva il passaggio e lo scontro tra padri e figli. È tutto un unicum immobile».
Ci dia almeno una via di fuga, Freccero. Quando siamo davanti allo schermo tradizionale, che cosa possiamo guardare per non soccombere? .
«Telefilm americani, amica mia, come fanno del resto tutte le persone intelligenti ancora in circolazione. Mentre la Rai finanzia ancora sceneggiati alla Bernabei, tanto è vero che il più grande produttore di fiction è ancora lui, i nuovi telefilm dettano il linguaggio dei tempi e mettono al bando l’ascolto distratto tipico della televisione. Per essere capiti richiedono una concentrazione assoluta e anche visioni successive. Reggono moltissime repliche e non si consumano. Ma comunque non disperi, le nuove televisioni tematiche ci aiuteranno a tornare tutti intelligenti. Glielo dice uno che se ne intende».