Roberto Di Caro e Francesca Sironi, l’Espresso 1/2/2013, 1 febbraio 2013
Battaglione AMBROSOLI– La prima sorpresa è la mamma, Annalori Gorla Ambrosoli, una signora assai discreta, quasi dimessa, sorridente, che ha smesso i golfini grigi quando i capelli le si sono incanutiti
Battaglione AMBROSOLI– La prima sorpresa è la mamma, Annalori Gorla Ambrosoli, una signora assai discreta, quasi dimessa, sorridente, che ha smesso i golfini grigi quando i capelli le si sono incanutiti. La incontri alla sede del comitato elettorale di suo figlio Umberto, l’intero primo piano di una palazzina anni Sessanta in via degli Arcimboldi nel dedalo di viuzze dietro il Duomo: «Vero, sono qui tutti i giorni, quando non faccio la baby sitter ai tre figli di Umberto, s’intende. Do una mano, seguo un po’ gli eventi, ma non interferisco», si schermisce. Poi scopri che la sede l’ha trovata lei: «Ce l’ha data in uso gratuito per tre mesi la mia carissima amica Marina Salamon», maggiore imprenditrice italiana di abbigliamento per bambini, proprietaria della Doxa, già assessora a Venezia giunta Cacciari. E che, insieme a Patrizia Galeazzo, direttore allo Iulm dei master in comunicazione, anche la rete di volontari l’ha inizialmente messa in piedi lei, mamma Ambrosoli, la vedova di Giorgio "l’eroe borghese": «Sì, in effetti il primo incontro l’abbiamo tenuto da don Sante, parrocchia di San Pietro in piazza Wagner, che è anche la mia. Arrivarono cento e più persone...». L’altra sorpresa è lui, Umberto Ambrosoli, candidato presidente della Regione Lombardia col centrosinistra contro l’ex ministro degli Interni Roberto Maroni per Lega e Pdl e l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini per Monti e i centristi. Che questo quarantunenne avvocato dai modi composti e finora alieno alla politica, uso ad argomentare e per nulla avvezzo alla battuta da talk show, riuscisse in un mese a mobilitare in massa energie nuove e a dare slancio a persone d’ogni fatta che come lui non s’erano mai buttate in una campagna elettorale, beh, forse molti lo speravano, ma pochi ci credevano davvero. Invece è ciò che sta accadendo. È tutto un brulicare di iniziative tra loro diversissime, mosse da attori che altrimenti difficilmente si incontrerebbero: il banchiere e l’operaio, la girotondina e l’avvocato che non ha mai votato a sinistra in vita sua, il writer col codino e il noto industriale che la domenica mattina va con moglie e figli in piazza Cadorna a distribuire volantini del "Patto civico con Ambrosoli, forte perché libero", come recita il suo slogan. Sono le facce vere (e il linguaggio normale, le aspettative, le passioni) di una "società civile" che altrimenti evapora in vacuo slogan, evocata com’è da tutti e il più delle volte a sproposito, giusto per distanziarsi dall’aborrita "politique politicienne". Tra questi volti c’è pure Umberto Ambrosoli bambino. No, non in foto, in carne e ossa: nel senso dell’attore che lo interpretò in "Un eroe borghese" di Michele Placido dal libro di Corrado Stajano: Sebastiano Silvestri, un faccino da diciottenne anche se di anni ne ha 24, laurea in Bocconi e master madrileno in gestione ambientale, che qui coordina la rete Giovani con Bertò (il soprannome di Umberto da piccolo): «Siamo in cento, autonomi dal resto dei volontari. Organizziamo biciclettate per la città, incontri con gli studenti sul diritto allo studio, un pomeriggio di musica reggae al Barrio’s in zona Barona, l’aperitivo in un luogo simbolo di Milano come piazza Affari». Manco a dirlo, l’ha cercato mamma Ambrosoli, che l’aveva visto intervenire «come un furetto» alla presentazione del libro di Umberto su suo padre. Dei Giovani con Bertò è la campagna Centopercento Ambrosoli, a sberleffo del 75 per cento di tasse che Maroni vuole tenere in Lombardia: «Una bufala, specchietto per le allodole», il candidato Ambrosoli gira tenendo in tasca il Bollettino della Banca d’Italia dove sta scritto che, contando la quota di servizi statali, quella percentuale è già oggi raggiunta. Sono al momento cinquemila i volontari, in tutta la Lombardia. Per la sola lista civica di Ambrosoli. C’è il battaglione che lo sostiene fin dalle primarie di dicembre, quelli che dopo si sono iscritti sul sito e vengono in sede a chiedere spille, shopper, programmi e materiale informativo, quelli che si aggregano e si muovono su Facebook e i social network. Stessa storia per i comitati. I dodici provinciali appena nati più quelli costituitisi per l’elezione di Pisapia e rimasti a supporto del sindaco, ma soprattutto «quelli spontanei che spuntano in tutta la Lombardia, sganciati sia dai partiti sia dalla nostra lista: 25 il giorno stesso in cui abbiamo lanciato l’appello, ottanta nella prima settimana, tre o quattro nuovi ogni giorno. Giuro, non ho mai visto una campagna elettorale così trasversale e partecipata»: e Luca Montani di campagne ne ha curate decine, è il suo lavoro con Civicom di Roberto Basso, già campaign manager di Pisapia e ora di Ambrosoli. Lo staff al centro? «Siamo una sessantina, solo sette retribuiti, e un team di disoccupati doc come me», racconta Silvana Zanon, responsabile organizzazione e taglio costi in una private bank, che da un anno si dedica ai tre figli e ora all’impegno politico. Poco somiglia, la macchina del candidato, all’agit-prop dei partiti tradizionali, Pd e Sel inclusi, coi quali s’incrocia ma senza programmazioni dall’alto se non sugli eventi: «Non ce n’è bisogno», sostiene Montani, «e ciascuno dei 474 candidati delle sei liste che sostengono Ambrosoli fa campagna con mezzi e soldati propri, declinando temi specifici come l’inquinamento e la mafia a Desio piuttosto che la sanità o i diritti civili». Magari con un’esigenza di omogeneità e univocità se un altro uomo di comunicazione, Maurizio Trezzi, è all’opera perché oltre al volto la sua lista abbia anche contenuti chiari e definiti per tutti, «centrati su legalità, trasparenza, cambiamento, partecipazione, merito». Milano è un conto, il resto della Lombardia è tutt’altra storia. Sotto la Madonnina si sono mossi i salotti buoni, cene amicali in casa e pranzi pubblici di fundraising con 400 paganti, maxischermo e Gad Lerner che intervista il candidato. L’avvocato era magari ignoto al grande pubblico ma ben presente in enti, fondazioni e centri studi, e chi lo ha visto all’opera lo appoggia anche da posti chiave di solito allergici agli endorsement: «È colto, intelligente, per bene, quello che gli anglosassoni chiamano "very good citizen". Ha la sensibilità giusta per contrastare l’intreccio letale e sottovalutato tra economia nera, criminale, e grigia, evasione e sommerso», annota Donato Masciandaro, direttore in Bocconi del Centro Paolo Baffi per l’analisi dell’economia monetaria e finanziaria inclusa quella illegale, fondato da Mario Monti e nel cui board siede Ambrosoli. Si sono mossi Roberto Notarbartolo, 21 anni in Mediobanca, che presiede l’associazione civile Giorgio Ambrosoli, e sua moglie Veronica Marzotto, presidente Fondazione Marzotto nonché in Vidas e Caritas. Sta nascendo un comitato di avvocati. Letterati e artisti sono sul sito fra i sostenitori, Umberto Eco e Giulio Giorello, Ermanno Olmi e Eugenio Finardi che ha tenuto un concerto elettorale, Nanni Svampa, Geppi Cucciari, Elio delle Storie Tese. Nella sede di via degli Arcimboldi incontri Daria Colombo, che prima di Nanni Moretti s’inventò i girotondi «nella cucina di casa mia» e di suo marito Roberto Vecchioni: responsabile eventi della campagna, mostra orgogliosa il truck sul quale Ambrosoli ha cominciato a girare la Lombardia, una specie di transformer che «diventa ufficio e la sera un palco dove si esibisce un comico o la filodrammatica del luogo». Costa comunque meno che montare un palco a ogni tappa: il fundraising ha reso per ora 250 mila euro, non sembrano intenzionati a calcare la mano, ai costi prestano attenzione. Che effetto fa il candidato Ambrosoli nelle roccaforti leghiste e del centrodestra in regione lo vedi sabato pomeriggio all’Albergo Centrale di San Pellegrino Terme, presenti metà dei sindaci della val Brembana e un centinaio di persone, pubblico curioso e interrogante. Lui arriva un po’ spettinato, in camicia e maglione di lana blu. Si alza un signore dai capelli bianchi, dice che «col suo zainetto in spalla non è il solito milanese col loden e la 24ore. Però bisogna si faccia conoscere!». Chiedono di avere voce, questi valligiani. E Formigoni non aveva orecchie per loro: «Ci ha tolto ogni autonomia», attacca Carmelo Goglio, vicesindaco di Olmo, «era un dittatore, non potevamo più tagliare un albero senza chiedere il permesso, ci obbligava a spendere 60 mila euro per rifare il piano regolatore, poi ci rompeva le scatole coi piani acustici: in montagna, dove se non urli non ti sente nessuno!». E la Lega? «A San Giovanni Bianco ci ha portati al dissesto finanziario e al commissariamento», racconta il giovane sindaco civico di centrosinistra Marco Milesi, «e dopo 15 anni abbiamo vinto noi, anticipando la rivoluzione di Ambrosoli». Tutti belli carichi, ciascuno con le sue richieste: «Non basta che cambi la politica, lei deve sostituire uno per uno anche i funzionari degli uffici!», gli intima Stefano Ambrogioni, sindaco di Tenna. Pacato, senza giri di parole da leguleio, Ambrosoli risponde che sì, lo farà, nei tempi giusti e a cominciare dalla sanità. New deal. Legalità. Criteri trasparenti. È questa la Lombardia che vuole.