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 2013  gennaio 30 Mercoledì calendario

RUZZOLIAMO INSIEME?

Asini – Sirena – Sireni – Sani – Beni – Peni – Parie – Reni – Neri – Nari – Asine – Ansie – Ripa – Pari – Pesi, e via digitando.
Duemilasettecentotrenta punti che non sono bastati al mio trionfo. Mi ha battuta, per la terza volta in due giorni. Credevo di averla in pugno ma mi deve aver fregato con «Panieri», 159 punti in un colpo solo.
Le 3 di notte. Mio marito mi dorme accanto e io gioco a Ruzzle sotto le lenzuola, per non svegliarlo con la luce dello schermo del cellulare. E per vergogna, forse.
A due settimane dal mio primo incontro con l’app, lo ammetto: ho una dipendenza. Non mi era mai successo prima. Non sono una fanatica di videogame né di applicazioni, ma con Ruzzle è diverso. È un gioco per smartphone e tablet (gratuito, ma c’è anche una versione «deluxe» a pagamento) in cui ci si sfida nella composizione di parole: vince chi riesce a trovarne il maggior numero usando le 16 lettere sullo schermo. Una specie di Scarabeo che mi sta dando alla testa. Ok, è numero uno nelle classifiche di download Apple in 50 Paesi, e a oggi quasi 20 milioni di persone ci stanno giocando, ma il suo successo non giustifica la mia ossessione.
Le 3.30 di notte. Dovrei dormire, la rabbia di aver perso contro lei, la compagna del liceo un po’ snob, mi tiene sveglia. Non conto più le pecorelle, stilo liste di parole: Mare – Mari – Aria – Arie.

LE BUGIE
Sette e trenta, suona la sveglia. Faccio colazione e assumo la mia prima dose di Ruzzle: nonostante le 4 ore di sonno mi sento lucidissima. Di solito il mio meglio lo do la mattina: batto tutti. Mi sfida un giocatore che non conosco, dal primo round (ce ne sono tre) capisco che vincere sarà un gioco da ragazzi, e lo è. La seconda sfida con un amico di Facebook, un ex fidanzato che mi ha lasciata 10 anni fa. Primo round vinco io, secondo lui. Nel terzo mi batte. Possibile? Non era mai successo. Lo contatto nella chat di Ruzzle: «No, cavolo, mi si è bloccato il cell proprio all’ultimo». Lui ci crede. Lo risfido: vinco. 
Ho mentito, è vero, ma non posso permettermi di perdere contro chi mi ha spezzato il cuore. Uno a uno.
Non è la prima bugia che dico da quando gioco a Ruzzle. Qualche sera fa, a mio marito, ho promesso: «Basta, ti giuro, non lo tocco fino a domani». Stavamo guardando un film in televisione, durante la pausa pubblicitaria si è alzato per una chiamata di lavoro, il tempo di sentir chiudere la porta della camera ed ero di nuovo con l’indice teso a comporre più parole possibili sul touchscreen, fino al suo ritorno, quando ho nascosto il cellulare tra i due cuscini del divano.
Ho mentito anche a mio fratello, «ruzzoliano» da dieci giorni e mio acerrimo nemico. A lui ho detto che una volta ho composto una parola da 500 punti.
Devo trovare una soluzione al più presto, oggi cercherò di stare lontana dall’applicazione. Vado al lavoro ma prima di uscire di casa faccio una sfida. E come nella Coscienza di Zeno, quando Zeno Cosini per smettere di fumare annota nel diario la data e la sigla «U.S.», Ultima Sigaretta, penso: U.R, Ultimo Round.
I RUZZOLIANI
Sono le 18.00 e in treno, nel mio vagone, individuo cinque persone impegnate a giocare a Ruzzle. Con me siamo in sei.
I «ruzzoliani» si riconoscono facilmente: cellulare nella mano sinistra a 20 centimetri dal naso, indice destro teso, frenetici movimenti del polso.
Per due minuti, la durata di un round, il ruzzoliano doc è impegnatissimo a vincere il match e qualsiasi distrazione lo rende nervoso. Come quel ragazzo, due sedili più in là: «Cacchio, proprio adesso», grida quando gli arriva una chiamata che gli mette in pausa il gioco. Poi risponde al telefono: «Ciao, amore».
Ruzzle è stato lanciato nel marzo 2012 da Mag Interactive, una piccola agenzia di software svedese, ma solo nelle ultime settimane – per qualche misterioso meccanismo virale – è diventato un fenomeno mondiale. Il numero delle persone che scarica la app, ormai in 128 Paesi, cresce a un ritmo di 4 milioni di download a settimana. Gli ingredienti che creano
dipendenza sono la sua socialità – perché si sfidano gli amici di Facebook e Twitter, ma anche i perfetti sconosciuti, e si condividono i risultati sui social network – e la rapidità d’utilizzo.
Diagnosi: Ruzzle è infettivo.
Me lo confermano i messaggi di amici e parenti che mi incolpano di averli iniziati a una droga. «Ieri, al lavoro, mi sono nascosta in bagno per una partita, non giocavo da 3 ore», mi scrive Chiara. Ma a farmi paura è mio padre che, quando mi vede, mi chiede lo smartphone per una sfida: «Solo una, lo giuro».

LA CHAT
Sono le 21.00. Oggi ho giocato poco. Mi alleno un po’ e poi guardo un film. Di solito faccio così: mi esercito con gli sconosciuti per dare il massimo contro i contatti Facebook e Twitter. Aspetto il primo «Avversario a caso». Ecco Bert70 che accetta la sfida. Vinco con facilità: 1.790 a 900.
Bert70: «Wow, che campionessa», mi scrive in chat. Abbocco alle lusinghe: «Grazie, ma è solo questione di esercizio». Ricevere un complimento per le mie abilità di giocatrice è sempre un piacere. «Non sarai mica una di quelle che usa Ruzzle Cheater (uno strumento per barare, ndr)?». «No, no, che senso avrebbe?», rispondo. «Comunque sembri molto carina», mi dice, riferendosi alla minuscola foto che ho come immagine di profilo. Eccolo lì, è un ruzzle-corteggiatore che si aggira per round alla ricerca di una sconosciuta. «Sei di Roma?». Lo saluto e lascio la conversazione. Non ci avevo pensato: con Ruzzle si possono anche fare conquiste.
Conquiste: Ste – Con – Qui – Ciste – Coste – No – On – Noce. A riportarmi alla realtà, un nuovo messaggio in chat. Mio fratello: «Accetta la sfida, me lo sento, stasera ti straccio». Faccio questa e poi smetto. U.R.