Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 31/1/2013, 31 gennaio 2013
DENTRO I MONTI BOND È NASCOSTO UN REGALO SOLO PER LE BANCHE
[La nazionalizzazione del monte non prima del 2015 perché i creditori della fondazione hanno bisogno di tempo per evitare un buco da oltre 300 milioni] –
Sapete come finirà? Che nel 2015 il Monte dei Paschi verrà nazionalizzato, tutto il costo dell’operazione sarà a carico dei contribuenti – i 3,9 miliardi di prestito e chissà cos’altro – mentre le uniche a festeggiare saranno le banche creditrici della Fondazione Mps. La storia è intricata, ma va capita. Oggi il primo azionista della banca Monte dei Paschi è la Fondazione omonima, quella piena di ex politici del Pd che negli anni ha distribuito sul territorio 2,1 miliardi (anche per garantire i voti alla sinistra). Per mantenere la presa, la Fondazione si è indebitata per partecipare agli aumenti di capitale. Oggi controlla il 33,5 per cento della banca. Ma tutte le sue azioni sono in pegno a un pool di 11 banche creditrici guidate da JP Morgan (tra le altre ci sono Mediobanca e Credit Suisse). La Fondazione non ha più niente da offrire come garanzia per il suo debito da 350 milioni di euro.
LE BANCHE e la Fondazione hanno rinegoziato più volte le condizioni del prestito, l’ultimo rinvio (standstill) risale a giugno 2012 e prevede che il debito possa essere rimborsato al più tardi nel 2018. Problema: che succede se il prezzo delle azioni scende? Che la garanzia vale meno e va integrata. Ma la Fondazione non ha più nulla da offrire. C’è un prezzo soglia – mai comunicato ma che i ben informati dicono essere tra 0,13 e 0,17 euro per azione – che fa scattare l’obbligo e di integrare le garanzie. Se la Fondazione non lo fa, le banche creditrici dovranno prendere atto che il loro credito è meno garantito. Quindi rischia di dover essere svalutato.
Per fortuna ci sono i Monti Bond: 3,9 miliardi dallo Stato in prestito alla Banca Monte Paschi a un tasso elevatissimo, 9 per cento annuo. Vanno rimborsati nel 2015. Quindi per tre anni il problema è rimandato. Non solo: contro il parere della Banca centrale europea di Mario Draghi, il governo ha previsto che a scadenza se Mps non ha i soldi, potrà rimborsare il Tesoro con altri titoli, cioè emettendo altro debito. La nazionalizzazione, sulla carta, non è automatica. Un sostegno così congegnato dovrebbe rassicurare gli investitori che l’esito non è scontato, che se la cura di risanamento dei nuovi vertici (Alessandro Profumo e Fabrizio Viola) funziona, la banca starà in piedi da sola. E quindi il prezzo di Borsa dovrebbe rimanere sopra la soglia critica che fa scattare l’aumento delle garanzie. Il documento programmatico per il 2013 della Fondazione prevede “in presenza di situazioni di mercato favorevoli ovvero di tensioni di liquidità future, cessioni di ulteriori pacchetti della partecipazione”. Tradotto: se il prezzo è buono, si vende.
Ieri in Borsa le azioni Mps erano scambiate a 0,24 centesimi, ben al di sopra della soglia critica. Ma il titolo era anche in calo del 9,46 per cento. Secondo quanto anticipato dal Sole 24 Ore, la Fondazione è pronta a vendere anche il 10 per cento della sua partecipazione. Le banche creditrici sono ben contente, visto che è meglio avere indietro subito soldi freschi che tenersi in pegno azioni il cui valore può crollare se si avvicina lo spettro della nazionalizzazione.
MORALE: NELLO SCENARIO peggiore, nel 2015 le banche creditrici della Fondazione avranno recuperato gran parte dei loro 350 milioni di credito grazie alla vendita delle azioni da parte della Fondazione. Quando poi si capirà che lo Stato deve nazionalizzare perché la banca non può rimborsare, i Monti bond verranno convertiti in azioni e il contribuente si farà carico di tutto il costo dell’operazione (già ai prezzi attuali il Tesoro diventerebbe proprietario dell’82 per cento). Ma le banche creditrici si saranno salvate o almeno avranno minimizzato il danno.
Andrà così? Probabile. C’è un’alternativa: se il piano di risanamento di Profumo e Viola funziona e se riescono a trovare un socio di lungo periodo che versa il miliardo necessario all’aumento di capitale. Monte Paschi avrebbe una risorsa a cui attingere; i suoi oltre 25 miliardi di euro investiti in titoli di Stato che si stanno rivalutando man mano che lo spread scende (gli ultimi stress test hanno penalizzato il Monte proprio perché troppo sbilanciato sui Btp). Peccato che i contratti derivati sottoscritti con le banche d’affari, come quelli oggetto degli scandali di questi giorni, impediscano alla banca di beneficiare del ritorno della calma sul mercato del debito. Per questo i vertici di Monte Paschi stanno trattando con Nomura e Deutsche Bank per chiudere il prima possibile le posizioni aperte sui derivati Alexandria e Santorini. Si pagherebbe subito una penale cospicua, ma si possono recuperare parecchi milioni di euro di rendimenti sui Btp. La partita è difficile e ancora in corso.