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 2013  gennaio 31 Giovedì calendario

DELUSI DAL CENTRODESTRA, UNIAMOCI. E RIVOTATECI

[Denis Verdini]

Il vento pazzo della rimonta: ecco cosa soffia dalle parti della domus berlusconiana. E sembra un gioco delle parti. Silvio Berlusconi che non ci mette manco un centesimo in questa campagna elettorale, dice, infatti, che si vince. Rimonta per l’appunto, e così fa un favore al Pd che può allarmare l’elettorato e riprendersi i voti altrimenti dispersi tra pm in lista, Beppe Grillo e antipolitica varia. È così? Panorama rivolge la domanda a Denis Verdini, l’unico, per dirla con Niccolò Machiavelli, di «quella risma che è tutto un corpo con Moisè, Ciro, Teseo e Romulo». Tutto un corpo con Berlusconi, lui. E con due cani che ora latrano, ora gli stanno accucciati, chetati dal vocione, risponde in un momento d’ozio e di pensiero. Come fossimo all’Albergaccio in San Casciano presso Firenze, là dove la diffidenza de’ Medici aveva costretto al confino il Machiavelli, giusto nel novembre 1512, dove avrebbe scritto Il Principe (libro che il Verdini, va da sé, recita a memoria).
Allora, è un gioco delle parti... Ma dov’è mai questa rimonta?
Ma che dice? Ascolti il poeta: bisogna avere fiducia nell’imprevisto.
Giusta citazione di Eugenio Montale.
Rispetto a un paio di mesi fa, quando sembrava tutto compromesso, Silvio ha finalmente svegliato gli animi e ha ridato orgoglio. La grande performance da Michele Santoro è servita a rimettere tutti noi in corsa. È bastato cambiare sedia, mettersi al posto di Marco Travaglio e, oplà, ha invertito il bene e il male. Ha svelato il trucco.
La spinta propulsiva della santorata non può arrivare fino a fine mese...
La differenza tra i due poli c’è, indubbiamente. C’è chi dice 5 punti percentuali a nostro svantaggio. Ma un bel 40 per cento e passa di persone che non si dichiarano, e che andrebbero a votare, c’è. Ed è questo che può ribaltare il risultato. Il polo di sinistra, poi, è affollato. Ci sono i Grillo, gli Ingroia...
Grillo piace all’elettorato moderato, tartassato e deluso dal centrodestra.
Grillo ci toglie i voti solo sulle dichiarazioni d’intenti della gente interpellata, ma sui fatti, poi, sulla decisione ultima di mettere un segno sulla scheda, questa stessa gente toma a votare per noi. Insomma, il ris-ve-glio è avvenuto. Abbiamo un leader che si ama o si odia. E chi lo ha amato, anche se ne ha avuto delusioni, torna.
E tutta quella bella maggioranza di moderati, in Italia, perché non c’è più?
Non è che siamo stati bravi, questo non ho problemi a dirlo. E non abbiamo soddisfatto gli elettori. Poi, certo, i media hanno ingigantito. Coglioni non siamo o, meglio, non saremmo, ma non c’è dubbio, lo dico: l’elettorato di destra è deluso. E la delusione è più forte perché fortissima era l’aspettativa storica. Ognuno aveva il suo mondo da riversare in questo momento di riscatto. Così i craxiani, i democristiani, i liberali, i missini, i libertari. Ciascuno con il proprio mondo di valori e di interessi anche nella prospettiva di lanciare l’Italia al pari degli altri protagonisti della scena internazionale. E c’è stato l’orgoglio nazionale, quindi la bandiera, la revisione della storia, il dibattito sul debito pubblico. Tutto questo intorno a Berlusconi. Ne nasce uno ogni 500 anni di quelli come lui...
Siamo giusto nei 500 anni dalla pubblicazione del «Principe».
Sono innamorato di quel libro. C’è la lettera con la quale, a Lorenzino, il Niccolò la canta chiara: «La signoria vostra rivolga lo sguardo qui, nel basso, dove sono io, e si accorgerà delle cose umane». È un memento cui ricorro spesso nelle riunioni.
In queste riunioni palerete della delusione, perdoni se torno a bomba.
Ebbene, ci sono fatti precisi. È un Paese, l’Italia, che non ha potuto cambiare. Non nel 1994, col primo governo Berlusconi, con i pm alle calcagna. Non nel 2001, quando con l’attentato alle Torri gemelle cambia la faccia di tutto il mondo occidentale. Sono eventi, ovvio, più grandi di noi, e poco poteva fare una compagine governativa che cominciava a farsi largo persino coi suoi Follini e poi Casini, tanto per dare un’idea, fino ad arrivare alla scissione clamorosa con Gianfranco Fini che ridimensiona una maggioranza larga e solida.
È tutta colpa degli altri?
La delusione è legittima, ma è più di spirito che nei fatti perché questa è l’Italia. E il sistema elettorale è questo. Siamo l’unica nazione dove regna la frammentazione. Non è come in Gran Bretagna, dove chi vince va al governo. La memoria della storia politica italiana è ricca di sontuosi fallimenti di riforma, quella di Aldo Bozzi, quella di Tina Anselmi...
E non è mancata la decisione, magari rompere con una maggioranza sclerotizzata e rifondare subito, in corsa, come fece Mario Tosi a Verona: ruppe con Pdl e Lega nord e vinse mantenendo saldo un elettorato?
Se mi propone questa critica, io le vengo dietro. Negli ultimi mesi, a causa della delusione, molti dirigenti avevano preso una svista. Pensando di abbandonare Berlusconi per una cosa nuova sono precipitati in uno sfascio ancora peggiore.
A proposito, l’epurazione di tutti gli ex missini dalle liste...
Non c’è stata epurazione. Abbiamo applicato le regole.
Più che una guerra agli impresentabili è sembrato un jihad contro gli infedeli.
Con la scissione di Fini s’è ridotta di molto la quota. E magari è stato sacrificato chi ha mostrato debolezza nella fede.
Se non la conoscessi, sospetterei in lei un’anima da cardinale.
Giammai. Per me il Tevere è largo, ma proprio largo largo.
Giusta citazione di Giovanni Spadolini. Ma, clericali a parte, com’è possibile perdere un uomo come Mimmo Nania e caricarsi in lista quelli dell’Mpa, i cosiddetti autonomisti siciliani?
Nania non c’è più perché le regole che ci siamo dati prevedono un ricambio. Se non sbaglio aveva già quattro legislature.
Ma che senso ha privarsi di Marcello Dell’Utri e mettersi dentro casa uno come Raffaele Lombardo?
Marcello, come Nania, come Nicola Cosentino e come tanti altri, aveva un cumulo di legislature. Ci siamo dati delle regole e a quelle ci siamo attenuti. Il caso di Lombardo, invece, è un tipico caso di alleanza politica. Parliamoci chiaro: qui si combatte per vincerle le elezioni.
La famosa rimonta.
La gente si aspetta tutto dalla politica. C’erano una volta i tiranni e i re, adesso ci sono i poteri forti. Non mi faccia fare il marxista, se le masse spingono, tutto alla fine cambia, ma nella società moderna e nel mondo globalizzato non è così. La finanza, la finanza internazionale... che sicuramente non sta con il centrodestra.
Ecco, dopo parliamo di quella internazionale, dica di Siena, del Monte dei Paschi.
Alcuni cercano di tirarmi dentro. Gli atti che mi riguardano sono stati depositati e non c’è nulla. Come al solito si trascurano le proprie travi cercando le pagliuzze altrui.
L’aspetto politico è più interessante. Siamo nel bel mezzo di uno scandalo, un nuovo Bernardo Tanlongo come al tempo della Banca Romana (correva l’anno 1889 e travolse la sinistra storica).
La cosa è semplice. La banca è nelle mani della fondazione, la fondazione viene controllata dagli enti locali e questi, ovviamente, sono legati ai partiti che, in questo caso, non sono tanti ma uno. Il Pd che fu Ds, Pds e Pci. Un unico e lungo monocolore che attraversa la storia di questa grande banca. Ed è una catena che né io né lei possiamo interrompere.
Giusta citazione del professor Sassaroli da «Amici miei».
Resta la responsabilità. Il dovere e il coraggio di assumersi la responsabilità politica. Questo dovrebbe fare il Pd invece che tirarsene fuori. È un’occupazione avvenuta, nel tempo, in termini legali, palesi e legittimi. La Toscana delle coop è così. Come l’Emilia. Faccio appello al realismo. C’è da salvaguardare una banca. E l’unico modo è prendersi delle responsabilità.
Adesso torna Machiavelli. C’è un Principe, è il suo Silvio?
Il Principe è senza dubbio Berlusconi. L’attuazione machiavellica, però, è tutta del Pd. Non mi ha più chiesto della finanza internazionale.
Giusto, con chi sta?
Non con Berlusconi.