Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 31 Giovedì calendario

GIANNI AGNELLI A NEW YORK E L’ITALIA DEGLI ANNI CINQUANTA

Ho trovato la figura di Gianni Agnelli nella lettura della biografia di Truman Capote a firma di Clarke e le chiedo come l’Avvocato potesse essere così ben inserito nell’aristocrazia newyorkese degli anni 50 visto che l’Italia era al tempo davvero una nazione poco più che agricola.
Marco Sostegni
marco.sostegni@libero.it
Caro Sostegni, negli anni Cinquanta Truman Capote, nato nel 1924, era già uno dei più noti e discussi protagonisti della vita letteraria americana. I suoi libri di quel decennio (da Altre voci, altre stanze del 1949 a Colazione da Tiffany del 1958) avevano grande successo. Le sue stravaganze, le sue battute, il suo abbigliamento, le sue apparizioni nella società di New York facevano la gioia dei commentatori mondani. Apparteneva alla stessa categoria di Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio: personaggi geniali, estetizzanti, decisi a fare della propria vita un’opera d’arte.
Gianni Agnelli era nato nel 1921, aveva fatto la Seconda guerra mondiale su due fronti (la Russia e la Libia), era l’erede di una delle maggiori aziende automobilistiche europee, amava molto l’America dove aveva fatto un lungo viaggio-premio dopo la licenza liceale, parlava bene l’inglese e aveva un considerevole fascino personale. Le sembra davvero strano che un italiano ricco, colto, attraente, capace di essere contemporaneamente molto frivolo e molto serio, fosse «bene inserito» nell’alta società americana e frequentasse gli stessi salotti di Truman Capote?
Aggiungo che l’Italia non era in quegli anni un Paese prevalentemente agricolo. Nel 1949 l’agricoltura rappresentava ancora il 27% del Pil (prodotto interno lordo), ma la percentuale sarebbe scesa al 12% nel 1967 sino a toccare il 2% in questi ultimi anni. Il Paese non aveva la grande rete nazionale delle piccole e medie imprese, ma era solidamente presente in settori industriali che sono stati abbandonati negli ultimi decenni. Poteva contare su una importante industria chimica e su uno scienziato, Giulio Natta, che avrebbe ricevuto, di lì a qualche anno, un premo Nobel per le sue scoperte nel campo dei polimeri. Era molto avanzata nel campo della fisica nucleare e aveva un’azienda di macchine per scrivere (Olivetti) che sarebbe stata all’avanguardia nel campo dell’elettronica e dell’informatica. Aggiungo che negli anni di cui lei parla nella sua lettera, l’Italia fu protagonista di un miracolo economico che trasformò la società nazionale. Quando frequentava New York negli anni Cinquanta, Agnelli poteva portare orgogliosamente con sé l’immagine un Paese dinamico, intraprendente, ottimista, pronto ad affrontare le sfide della modernità. Lascio a lei giudicare, caro Sostegni, se questi possano essere oggi i sentimenti di un italiano a New York.
Sergio Romano