Giusi Fasano, Corriere della Sera 31/01/2013, 31 gennaio 2013
L’AFFARISTA DI INSUCCESSO: «SE MI INNERVOSISCO POSSO FARE DEI MACELLI» —
Le sue parole come fumogeni. Buone a confondere, nascondere e far fuggire tutti. Potente uomo d’affari e un attimo dopo patetico millantatore. Un giorno «lei non sa chi sono io», quello dopo a chiedere l’elemosina di una qualsiasi carica societaria.
Francesco Furchì era tutto e il suo contrario. «Un Giano bifronte», per dirla con le parole degli inquirenti, che «alterna, in simbiosi spesso inestricabile, la spendita di effettive conoscenze con le millanterie più grossolane» e che «sovrappone atteggiamenti eleganti e forbiti a condotte prepotenti e arroganti».
Era convinto di farcela, Furchì. Si sentiva a un passo dalla vita che voleva da sempre. Si vedeva già lanciato in politica, voleva fare soldi, aspirava all’amicizia di «persone che contano» e immaginava incarichi importanti. I contatti con il parlamentare europeo Pino Arlacchi, con l’ex ministro Salvo Andò, con giornalisti e personaggi dell’ambiente ecclesiastico... pietre preziose del suo scrigno. Sapersi vendere è sempre stata la sua specialità. Salvo esagerare in un «inestricabile e fantasioso intreccio di fatti veri e fatti non veri». In sostanza le faceva e diceva troppo grosse e l’effetto (così scrivono di lui gli inquirenti) è stato che «tutte le sue iniziative sono sempre cadute, regolarmente e in tempi brevissimi, nella rovina più totale. Senza contare i malumori e i dissapori che sistematicamente si verificano con i vari soggetti convolti, sempre delusi dal comportamento di una persona che nonostante rutilanti vanterie si rivela incapace e inaffidabile»
Sua moglie Angelina ha chiesto la separazione, dice che è «un pazzo che crede alle sue stesse palle» e «vive in un mondo virtuale» e a giudicare dal ritratto che ne fanno gli investigatori Furchì, calabrese di un paesino in provincia di Vibo Valentia, sembra fosse abbonato alle bugie. Prendi la sua associazione per promuovere la cultura e gli interessi della Calabria nel territorio piemontese, per esempio. Si chiama «Magna Grecea Millegnum», indirizzo nel suo ufficio torinese. Tutto vero, salvo che non si è capito bene di che cosa si sia occupata negli anni mentre si è capito che Furchì «si muove all’onore del mondo presentandosi come presidente dell’Associazione Magna Graecia Millennium», vocali e consonanti diverse per una società della provincia di Catanzaro che non ha mai avuto niente a che vedere con lui.
Millantatore navigato, uomo legato a pregiudicati della criminalità calabrese, pieno di debiti e violento. Sua moglie e le sue due figlie non ne fanno segreto. Angelina ha presentato di recente due denunce per maltrattamenti e al telefono l’ha confidato a un’amica: «Mi ha spaccato il naso e ha picchiato le mie figlie, quell’uomo frequenta solo la feccia, è un bastardo calabrese che ha come solo obiettivo la vendetta». Tutto questo mentre lui, al telefono con l’amante, ammette di essere «uno che si innervosisce molto» e si convince che forse è meglio non andare dalla moglie come dovrebbe fare il giorno dopo perché sennò «non riesco a tenermi» e chissà che «macello» succede.
Un momento di moderazione in una vita di eccessi continui vissuta più che da potente faccendiere da banale affarista che tira a campare fra mille espedienti. Dai dati falsi dichiarati per aprire un conto al Monte dei Paschi alla scalata improbabile della Arenaways, società del settore ferroviario che doveva diventare la sua personale fabbrica di soldi. Non c’è niente, nella vita di Furchì, che sia andato esattamente come avrebbe voluto lui. Né la politica (aspirava a essere capo della lista che appoggiava quella di Musy), né le amicizie (dopo il primo incontro finiva che tutti prendevano le distanze), né il successo professionale (mai arrivato) e men che meno quello economico (non aveva un centesimo e non presentava una dichiarazione dei redditi dal 1999). Niente.
Anche il suo ultimo impiego è finito in malo modo: l’impresa che lo aveva assunto lo ha cacciato via accusandolo di aver «divulgato notizie perniciose per l’azienda». La Procura la riassume così: «Tutti i suoi partner hanno in brevissimo tempo maturato una pessima opinione di lui. Furchì ha lasciato la campagna elettorale con un brutto ricordo di sé in tutti coloro che vi partecipavano».
Fumogeni, appunto. Un uomo che faceva di tutto perché non fosse chiaro nulla di quello che gli ruotava attorno. Tanto che nemmeno la moglie ha mai saputo esattamente di cosa si occupasse. E «stupisce» dicono gli inquirenti «che una moglie non sapesse quali fossero le attività economiche del marito». Dice un passaggio del provvedimento di fermo: la frase di lei («è un pazzo che crede alle sue stesse palle e vive in un mondo virtuale») è «un’efficace sintesi della vera essenza della personalità dell’indagato».
Giusi Fasano