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 2013  gennaio 31 Giovedì calendario

TUTTI I BILANCI AL SETACCIO. 500 MILIONI A RISCHIO NEL PATRIMONIO DELLA BANCA —

Si chiama «indemnity side letter» ed è un documento segreto che potrebbe segnare una svolta clamorosa nell’inchiesta della procura di Siena sull’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps.
È una lettera relativa al prestito «Fresh» da 960 milioni di euro (tecnicamente un’emissione obbligazionaria convertibile) emesso nel 2008 attraverso Jp Morgan e servito, insieme con l’aumento di capitale da 5 miliardi, a reperire i 9 miliardi necessari per pagare la banca padovana messa in vendita dalla spagnola Santander. Quella lettera, secondo fonti a conoscenza dell’indagine, sarebbe stata redatta a favore di un sottoscrittore molto particolare: la stessa Fondazione Mps, che di quel bond prese la fetta maggiore, 490 milioni, praticamente la metà.
Già l’idea di ricorrere al Fresh anziché fare un aumento di capitale da 6 miliardi era stata giustificata con l’obiettivo di evitare che l’ente presieduto da Gabriello Mancini scendesse sotto il 50% del Montepaschi di Siena.
Ora però la lettera di indemnity determinerebbe l’esistenza di un sottoscrittore privilegiato rispetto agli altri che parteciparono al prestito. In questo modo, però, sarebbero state violate le disposizioni della Banca d’Italia che imponevano alla banca presieduta da Giuseppe Mussari di trasferire completamente «a terzi il rischio d’impresa». E se così fosse, il patrimonio primario di Mps nel 2008 potrebbe rivelarsi più leggero di quasi mezzo miliardo.
I pubblici ministeri di Siena Antonino Nastasi, Giuseppe Grosso e Aldo Natalini insieme con il nucleo di Polizia valutaria della Guardia di Finanza hanno ritrovato quel documento segreto già da diversi mesi e lo stanno esaminando anche sotto il profilo del valore giuridico. E in quella direzione hanno continuato ad indagare su tutti i passaggi successivi del bond, a cominciare dal pagamento della cedola del 2009, che scattò solo perché la banca aveva riconosciuto un interesse di appena un centesimo di utile, e soltanto a favore delle azioni di risparmio, per un totale di appena 186 mila euro. La cedola fu pagata dall’istituto grazie all’utile di 220 milioni che quell’anno fu possibile raggiungere anche grazie alla ristrutturazione di alcuni prodotti derivati come l’ormai famoso Alexandria con la banca giapponese Nomura.
Nel verbale di perquisizione del luglio scorso a carico dell’ex direttore generale Antonio Vigni, indagato per ostacolo alla vigilanza, è scritto che il banchiere avrebbe mentito alla Banca d’Italia in più occasioni: sia quando — parlando dell’assorbimento delle perdite — affermò che Jp Morgan (Jpm) aveva acquistato la proprietà delle azioni (la banca Usa compare ancora tra i soci con il 2,52%) al servizio del bond e che era esposta alle oscillazioni del relativo valore «senza ricevere dalla banca (Montepaschi, ndr) alcuna protezione implicita o esplicita»; sia quando sostenne che con la strutturazione del prestito convertibile «Jpm ha poi a sua volta trasferito tale rischio ai portatori degli strumenti finanziari convertibili emessi da Bank of New York, con un’operazione alla quale la banca è estranea». Inoltre, a proposito della flessibilità dei pagamenti, Vigni avrebbe rappresentato alla Banca d’Italia che il corrispettivo riconosciuto a Jpm come «nudo proprietario» dei titoli (poi dati in usufrutto ai sottoscrittori del bond) non andava considerato come «interesse» quanto come «corrispettivo di diritto di usufrutto, che dal punto di vista della banca ha un valore e merita una remunerazione». Per i pm però la «indemnity side letter» potrebbe smentire proprio tali affermazioni. In ogni caso Via Nazionale lo scorso dicembre ha avviato un procedimento sanzionatorio proprio sul Fresh.
La garanzia ulteriore (non si sa se ci siano più beneficiari) sarebbe stata redatta dopo che il pressing della Banca d’Italia durato da maggio a ottobre 2008 aveva portato a una riscrittura del regolamento del bond in senso più restrittivo, come ha ricordato la stessa Vigilanza nella relazione depositata mercoledì alla Camera dal ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. E l’indemnity sarebbe stata concessa proprio per aggirare i vincoli diventati più stringenti. Non a caso nel 2009 tra i sottoscrittori vi fu chi contestò quelle regole più dure: l’hedge fund svizzero Jabre Capital Partners, per esempio, scrisse a Mps sostanzialmente contestandole di avere cambiato le carte in tavola e protestando per essersi ritrovato con in mano non più un bond ma delle vere e proprie azioni. Era esattamente quello che la Banca d’Italia voleva ottenere. Ma per il destinatario della «indemnity side letter» le carte in tavola sarebbero cambiate una terza volta. L’ultima, in suo favore. Violando i diktat di Mario Draghi.
Fabrizio Massaro