Massimo Giannini, la Repubblica 31/1/2013, 31 gennaio 2013
BANKITALIA: PIU’ POTERI ALLA VIGILANZA
«LA BANCA d’Italia ha la coscienza a posto, e non abbiamo nulla da rimproverarci. Il nostro obiettivo è la stabilità del sistema, e siamo convinti di averla garantita». Al “piano nobile” di Palazzo Koch il Direttorio si è appena riunito, per discutere gli ultimi sviluppi del caso Mps. Il governatore Ignazio Visco, se arriverà una richiesta formale, è pronto a riferire in Parlamento.
IL DIRETTORE generale Fabrizio Saccomanni fa il punto con i suoi colleghi. Se lo scandalo di Siena appare “esplosivo” alla Procura, per i gravi risvolti giudiziari che presto potrebbero travolgere i protagonisti della vicenda, in Banca d’Italia il Direttorio lancia segnali più rassicuranti. «C’è una nuvola nera, che incombe sul Montepaschi, e che rischia di oscurare tutto e tutti. Ma mai come ora c’è bisogno di distinguere. La giustizia penale ha il suo corso, i magistrati prenderanno le loro decisioni, com’è giusto che sia. Ma trascinare nello “scandalo” gli organi di Vigilanza e diffondere l’allarme sulla stabilità della banca e sull’inevitabile “contagio” dell’intero sistema creditizio, è un modo barbaro e pericoloso per affrontare il problema ».
Il centrodestra spara ad alzo zero, non solo contro il Pd ma anche contro Via Nazionale. Tremonti attacca a viso aperto Mario Draghi. La Banca d’Italia finisce nel tritacarne della campagna elettorale. Visco e i suoi uomini non accettano la caccia alle streghe: «Vorremmo essere capiti meglio», si dice nel Direttorio, anche se molti esponenti anche autorevoli del mondo politico sembrano poco propensi ad esaminare «i dati di fatto». Quello che è inaccettabile, per i vertici della Banca centrale, è che «si pensi che qualcuno ha voluto tenere nascosto » un presunto scandalo che nasce a Siena ma coinvolge l’intero circuito del credito. «Non è così».
Per confermare la tesi, il Direttorio di Palazzo Koch rimanda al corposo
e puntiglioso documento consegnato al ministro Grilli per l’audizione alla Camera dell’altroieri, in cui si dà conto delle azioni intraprese dalla Vigilanza fin dal 2008 nei confronti del management del Montepaschi. «Chiunque abbia letto con attenzione quel testo non può sostenere che la Banca d’Italia sia stata inerte o disattenta. I nostri controlli, viceversa, sono stati serrati fin dall’inizio. Abbiamo fatto tre ispezioni, abbiamo avviato quattro procedimenti sanzionatori nei confronti del management. Gli interventi della Vigilanza sono stati intensi, e sono culminati nella nostra richiesta di rinnovare la governance dell’istituto. A novembre 2011 abbiamo convocato i massimi vertici di Mps e della Fondazione, mettendoli di fronte alle proprie responsabilità e chiedenbanche
do loro una rapida e immediata discontinuità nella conduzione aziendale». Ci sarà pure una ragione — si conclude in Banca d’Italia — se lo stesso Mussari ha detto che Mps è stata sottoposta ad una vigilanza «asfissiante».
Al di là delle strumentalizzazioni irresponsabili della falange forzaleghista, resta tuttavia il dubbio evidente che il sistema dei controlli non sia abbastanza efficace, e che la stessa normativa sull’azione degli organi di Vigilanza sia inadeguata. La linea di Palazzo Koch è che «la Banca d’Italia non ha poteri di polizia giudiziaria», come lo stesso governatore ha dichiarato a Davos lo scorso fine settimana. Gli ispettori di Via Nazionale non possono irrompere in una banca, e far aprire le casseforti, come pure sarebbe stato necessario nel caso del famigerato contratto Alexandria sottoscritto segretamente con Nomura e scoperto da Profumo e Viola nella “contabilità occulta” del Monte. «Ma è giusto che sia così», si precisa ora. La Banca centrale «non vuole poteri di polizia giudiziaria». Non si può trasformare in un organo che «dipende dai pubblici ministeri». Ed è bene che la «normativa prudenziale di Vigilanza resti autonoma », vista la sua delicatezza e la sua strettissima connessione con i principi di tutela della stabilità e del risparmio.
Altra questione è il rafforzamento dell’apparato sanzionatorio a disposizione della Banca, quando ravvisi irregolarità gravi come quelle che hanno caratterizzato la gestione del Montepaschi. Anche in questo caso il Direttorio rimanda alla cronistoria dei fatti trasmessi a Grilli. Di «messe in mora» e anche di sanzioni ce ne sono state diverse, compresa quella irrogata al cda e ai revisori di Mps per la buonuscita da 4 milioni concessa all’ex dg Vigni, responsabile dei trucchi sui derivati, all’atto del suo «licenziamento ». Ma se i vecchi vertici di Siena hanno continuato per almeno due anni a manipolare i bilanci, a spalmare e a nascondere le perdite in contratti «strutturati» sempre più rischiosi, questo significa che la «moral suasion» e l’effetto deterrente della Vigilanza di Banca d’Italia, per quanto «asfissiante», non è sufficiente.
Dunque, Via Nazionale ha bisogno di strumenti più incisivi, per
sanzionare, e dunque prevenire, i comportamenti scorretti dei manager. Sono i cosiddetti strumenti di «enforcement», sollecitati anche in sede europea. Uno su tutti, che in altri Paesi funziona da tempo e che lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha più volte sollecitato: il cosiddetto «removal», cioè il potere discrezionale dell’organo di Vigilanza di procedere alla rimozione immediata dell’amministratore «infedele» di una banca. Ma questi strumenti - è la posizione di Palazzo Koch - «non possiamo darceli da soli». Serve un’assunzione di responsabilità da parte della politica, e una disposizione normativa che modifichi la legge vigente in materia di risparmio. Se questo ci fosse, e se nella prossima legislatura il governo che uscirà dalle urne vorrà prendere un’iniziativa, Via Nazionale non potrà che esserne soddisfatta.
Allo stesso modo, al vertice di Banca d’Italia si guarda con attenzione a quanto potrà accadere su un altro fronte, aperto dallo scandalo Montepaschi: la disciplina delle Fondazioni. Queste «istituzioni » furono concepite da Amato e Ciampi, nel lontano 1990, con un altro spirito. Dovevano sbloccare la «foresta pietrificata» del credito, fino ad allora in mano al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio che faceva le nomine con il manuale Cencelli nelle banche pubbliche e nelle famose «Bin». Dovevano assumere provvisoriamente il controllo di quelle stesse banche, e traghettarle velocemente nel mare aperto del mercato. Trent’anni dopo, quello spirito è andato perso, e le Fondazioni sono diventate centri di potere, e cinghie di trasmissione improprie tra politica e finanza. È il cuore del problema Mps: il Sistema Siena, con tutte le sue distorsioni e tutte le sue connessioni tra enti locali e Pd, nasce da qui. Allo stesso modo in cui nasce in tutte le altre Fondazioni, da Carige al Banco di Sardegna, in cui gli amministratori locali di ogni partito e di ogni colore hanno il controllo dei cda delle «banche conferitarie».
Questo rapporto «incestuoso» va interrotto. Nel Direttorio di Banca d’Italia il «veicolo» delle Fondazioni viene considerato «molto utile all’inizio, perché ha costituito la base di un azionariato stabile per le
». Ma ora «sarebbe utile un ripensamento», per rendere più aperto il mercato e più efficiente il controllo. Se una rivisitazione del genere fosse stata compiuta prima, oggi forse lo stesso scandalo Mps avrebbe un impatto diverso. Se non sul piano finanziario (visto che allo stato delle inchieste si tratta comunque di veri e propri falsi in bilancio e di azioni compiute da singoli per ostacolare le attività di vigilanza) sicuramente sul piano politico.
Ma anche sul caso Montepaschi, gli inquilini del piano nobile di Palazzo Koch ci tengono a sfumare ogni eccesso di allarmismo. L’intervento della Vigilanza - come è ribadito nel documento del 28 gennaio - è stato finalizzato a migliorare «la situazione di liquidità», a adeguare il capitale «ai limiti regolamentari », «a incrementare il coefficiente patrimoniale del gruppo» dal 9,3% di fine 2008 al 15,4% del settembre 2012. Ora resta da capire se l’iniezione dei Monti bond da 3,9 miliardi sarà sufficiente a garantire il ritorno alla piena operatività della banca, anche rispetto ai vincoli più stringenti fissati dall’Eba. Al momento attuale, nel Direttorio nessuno dubita sulla «validità del piano industriale messo a punto dal nuovo management». È un piano sicuramente «ambizioso e molto impegnativo», ma che «va nella giusta direzione». Ma anche in Banca d’Italia c’è consapevolezza di quanto sia «costoso» il prestito pubblico, che peserà per 400 milioni l’anno sulle casse di una banca già molto stressata sul piano della redditività, e che alla lunga potrebbe rendere inevitabile quella che Monti ha chiamato la «nazionalizzazione di risulta».
Il male minore, anche secondo Palazzo Koch. Purchè sia una soluzione provvisoria. E purchè serva a far capire a tutti, risparmiatori italiani e osservatori internazionali, il doppio messaggio che a Via Nazionale sta adesso più a cuore. Primo: nonostante le criticità della fase, il Montepaschi non è affatto «una banca sull’orlo del fallimento», ma è e resta il terzo gruppo creditizio del Paese. Secondo: nonostante il peso dei Btp e dei derivati, il sistema bancario italiano è sano, molto più di quello di altri partner dell’Eurozona. C’è da sperare che quella di Visco e del suo direttorio sia una «fullfilly prophecie»: la profezia che si autoavvera.