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 2013  gennaio 31 Giovedì calendario

GERMANIA, IL PASSATO NON PASSA


I tedeschi ci invidiano (e ci criticano) per la disinvoltura con cui trattiamo il nostro recente passato. Il nazismo avrà più colpe del fascismo, ma Mussolini è pur stato il maestro di Hitler, così pensava lo stesso Adolf. In Germania, il passato continua a non passare, qualunque passato.
Chi sostiene che un pezzetto di Muro andava lasciato come testimonianza di un periodo storico rischia di passare per comunista. Chi ha difeso lo Stadio olimpico, quello dei Giochi con la svastica del 1936, contro chi voleva abbatterlo, doveva essere un nostalgico nazista. C’è sempre la tentazione di cancellare le colpe di ieri con le ruspe. Quando, durante un dibattito sul tema, osservai che se avessimo imitato i berlinesi, a Roma avremmo raso al suolo il Colosseo, l’editore Klaus Wagenbach, che ama la nostra letteratura, mi rispose: «Hai ragione, purtroppo non siamo italiani». Lui, al Foro italico, aveva visto i mosaici con la scritta «W il Duce».
Qui, basta una parola o un gesto fuori posto per giocarsi la carriera e il buon nome. Durante una tournée in Israele, a tarda sera, dopo qualche bicchiere di troppo, un orchestrale dei Berliner Philarmoniker fece il saluto nazista. Licenziato in tronco al ritorno a casa. Inutile ricordare il Nobel Günter Grass che, fuori tempo massimo, confessò di aver indossato la divisa delle Waffen SS a 17 anni. Non lo hanno mai perdonato, eppure Dario Fo, altro Nobel, aveva militato nella Repubblica di Salò. Ma Grass era schiacciato dalla colpa e aveva taciuto. Era lui il primo a non perdonarsi.
A volte si fraintende. Helmut Kohl disse che la sua generazione (1930) aveva goduto del privilegio di una «späte Geburt», una nascita tardiva. Sarà stato goffo, ma intendeva che lui e i suoi coetanei si chiedevano come si sarebbero comportati nei panni dei fratelli maggiori durante il III Reich: da eroi, da complici, da vili? Invece, la frase fu intesa come una relativizzazione del nazismo. Nell’ottantesimo anniversario della presa di potere di Hitler, 30 gennaio 1933, si ripete un’altra domanda: i tedeschi di oggi, il 70% nato dopo la guerra, hanno ereditato la colpa dei padri? La colpa è individuale, rimane il dovere di non dimenticare, ha ammonito Frau Merkel, nata nel 1954.
Nel novembre del 1988, il presidente del Bundestag, il cristianodemocratico Philipp Jenninger, pronunciò un fatale discorso. Pessimo oratore, sbagliò le pause e si ebbe l’impressione che una citazione fosse un suo personale elogio per Hitler. Fu costretto a dimettersi in 24 ore, ed era innocente. Ingmar Bergman nell’autobiografia Lanterna magica rivelò che a 15 anni, in vacanza in Germania, fu sedotto dal fascino di Adolf. Scrissero subito che era stato svelato il passato nazista del regista. Aveva semplicemente confessato un suo pensiero che serviva a capire come un adolescente possa venire sedotto da un cattivo maestro.
Gli inglesi, sempre loro, continuano a ripetere che il Papa indossò la divisa nazista. Ratzinger era stato nella Hitlerjugend, come dire i figli della lupa, tutti gli studenti erano obbligati, a meno che i genitori non si opponessero apertamente, il che equivaleva a una condanna a morte. Il futuro Pontefice aveva 17 anni alla fine della guerra, appena più anziano di Kohl.
Eva Herman, nata nel ’58, era un volto notissimo del Tagesschau, il telegiornale dell’Ard, il primo canale pubblico. Scrisse Das Eva Prinzip, un attacco al femminismo. Per andare controcorrente e promuovere le vendite, a un talk show nel 2007, osò dire che «Hitler proteggeva la famiglia, le madri con figli» meglio di Angela Merkel, o qualcosa di simile. Lei sostenne di essere stata fraintesa: voleva criticare l’attuale politica familiare e non elogiare il nazismo. Invano. Fu giudicata una furba spregiudicata, e avventata. Vero che il Führer aiutava le madri prolifiche ma per trasformare i figli in soldati. La Tv la licenziò, non trova più un editore disposto a pubblicare i suoi libri. Eva ha fatto causa, e ha perso. L’anno scorso ha chiesto il «fallimento privato», qui possibile, perché non in grado di pagare i debiti. Dovrà vivere con l’assistenza sociale in attesa della pensione.