Roberto Giardina, ItaliaOggi 26/1/2013, 26 gennaio 2013
L’SPD COMPIE UN SECOLO E MEZZO
L’Spd, il partito socialdemocratico, è più antico della stessa Germania, compie 150 anni e viene celebrato in una mostra alla fondazione Friedrich Ebert a Bonn. Lungo la stessa sponda del Reno, pochi chilometri a monte, si trova Bad Godesberg, dove nel 1959 l’Spd decise di sbiadire le sue bandiere, dallo storico rosso a un più rassicurante rosa, sempre meno intenso.
Una svolta che nel ’69 aprì le porte della Cancelleria a Willy Brandt, la storia della repubblica federale cominciò a cambiare, e così quella dell’Europa. Vent’anni dopo sarebbe caduto il Muro di Berlino. La socialdemocrazia è in crisi in tutta Europa, ma in Germania tra qualche mese l’Spd potrebbe tornare al governo, difficile da solo, più probabilmente insieme ai conservatori di Frau Merkel.
Non si ripudia, non del tutto, il padre spirituale Karl Marx, si espongono le prime edizioni delle sue opere, ma si celebra il fondatore Ferdinand Lassalle. Cominciano le lotte operaie durante la rivoluzione industriale, si segue il partito attraverso la Belle époque, la prima guerra mondiale, gli anni splendidi e tragici della Repubblica di Weimar, si chiude un occhio sugli errori che facilitarono l’ascesa al potere di Hitler. Gli stessi compiuti dalla nostra sinistra con Mussolini.
Lo storico Gian Enrico Rusconi in un recente saggio denuncia lo «strisciante straniamento» tra i politici italiani e tedeschi. Difficile parlarsi, spesso impossibile capirsi, a Berlino non decifrano neanche le sempre cangianti sigle dei nostri partiti. Ma a lungo l’interlocutore privilegiato dell’Spd fu il nostro Pci, più vicino dei due partiti socialisti. I comunisti italiani potevano svolgere il ruolo di mediatori con il Pc della Ddr, e con Mosca. Nel ’69, Willy Brandt inizia la sua Ostpolitik, la politica di distensione verso l’Est che spesso fa una deviazione verso Roma. Il Kpd, il Pc della Repubblica federale, non supera l’1%, tutti i comunisti stanno al di là, nell’altra Germania. Sarà Willy Brandt, e non i conservatori, ad approvare il Berufsverbot, il divieto di assumere gli estremisti, tra cui anche chi è iscritto al Kpd. Oggi si preferisce dimenticare.
Willy cade per la spia della Ddr, Günther Guillaume, ma è vittima anche del complotto interno dei suoi amici nel partito. Molti sapevano, nessuno lo mise in guardia. E la Cia usò l’agente di Berlino Est come una pedina avvelenata. A Brandt succede Helmut Schmidt, un socialdemocratico pragmatico che va spesso d’accordo con il conservatore Franz Josef Strauss. E non capisce i Verdi, li giudica un fenomeno passeggero, perdendo per sempre il voto degli ecologisti.
Quando la Vw in crisi, l’unica grande impresa a partecipazione statale, gli chiede aiuto, risponde duro: «Fate auto migliori, o chiudete». E loro le fanno ancor oggi. Ma c’è un limite. All’inizio degli anni ottanta, i liberali alleati al governo pretendono una politica antinflazionistica, anche a costo dell’occupazione. Siamo oltre il 5%, e si comincia a parlare di Weimar. «Non potete chiederlo a un socialdemocratico», risponde pur sapendo di giocarsi la poltrona. L’Fdp passa con i cristianodemocratici, un ribaltone alla tedesca, e inizia l’era di Helmut Kohl, durata sedici anni.
Lafontaine, Oskar il rosso, come lo chiamano, è contrario alla riunificazione delle Germanie, sarebbe meglio una federazione, e perde contro Kohl il primo voto dopo l’unità. E abbandonerà il partito deluso dalla politica dell’ex amico Gerhard Schröder, troppo vicino agli industriali: «Per me, il cuore batte sempre a sinistra». Fonda Die Linke, insieme con gli ex del Pc orientale. Schröder avvia una profonda riforma sociale, anche con l’appoggio indispensabile dei cristianodemocratici, ma la scissione gli farà perdere il posto. Nel 2005, gli basterebbe chiudere un occhio «all’italiana», e stringere la mano al traditore Oskar, per mantenere la maggioranza e bloccare Frau Angela. Non lo farà, perché aveva giurato agli elettori che non lo avrebbe mai fatto. Incomprensibile in Italia. Forse i voti della Linke potrebbero essere decisivi anche il prossimo settembre. La politica è fatta di compromessi ma, come diceva Helmut Schmidt, un politico li fa con i suoi avversari, non con la sua coscienza. O non dovrebbe. A volte non si va al governo, ma si vive per un secolo e mezzo.