Lucio Sironi, ItaliaOggi 26/1/2013, 26 gennaio 2013
COSA C’È DIETRO IL +26% DI UNICREDIT IN UN MENO DI UN MESE
Un balzo del 26% in meno di un mese non è un exploit che possa passare inosservato. Soprattutto se a metterlo a segno è una delle maggiori banche italiane, vale a dire Unicredit, blue chip tra le più in forma in questo primo scorcio di 2013 in barba alle traversie in cui è incorsa in questi stessi giorni un’altra big del sistema creditizio italiano, Mps. Peraltro, grazie al forte recupero messo a segno ieri, anche l’azione del malandato istituto senese rispetto alle quotazioni del 2 gennaio presenta un guadagno che sfiora il 15%.
Ma sono numerosi i titoli bancari che vantano performance eccellenti, dal 24% della Popolare di Sondrio al 20% del Banco Popolare, dal 18,5 della Bper al 17,7% di Mediobanca, al 14,5% di Intesa Sanpaolo. Le giustificazioni al rally del settore non mancano, la principale è che nel frattempo lo spread Btp-Bund che funge da punto di riferimento per i titoli bancari si è ridotto in misura significativa, passando da 318 a 250.
Nel caso dell’istituto di Piazza Cordusio, un aiuto supplementare rispetto ai concorrenti lo ha dato la sua maggiore diversificazione geografica, determinante in un momento in cui l’Italia è colpita dalla recessione economica più dei Paesi concorrenti e le prospettive di recupero paiono ancora scarse.
Ieri a tenere banco sono state le indiscrezioni secondo cui la banca guidata da Federico Ghizzoni prevede di tagliare fino a 50 filiali e mille posti di lavoro in Germania entro la fine del prossimo anno nel tentativo di ridurre i costi della banca retail.
A fine settembre 2012 l’organico della banca in Germania era di 19.336 dipendenti, ovvero il 12,3% dell’intero gruppo. Una notizia positiva inaspettata, secondo Mediobanca, dal momento che la maggior parte degli 1,5 miliardi di euro di tagli dei costi previsti per i prossimi tre anni è in gran parte rivolta al franchising italiano. Il piano di Unicredit prevedeva una riduzione di 5.559 posti in Europa occidentale da settembre 2012 a dicembre 2015 dopo aver tagliato 1.723 unità nell’ultimo anno, in particolare in Italia. Non è dunque chiaro se i tagli ventilati in Germania siano stati già inclusi nel piano industriale.
Una ristrutturazione delle attività tedesche retail è comunque necessaria per ripristinare la redditività della banca: il cost/income ratio della divisione retail di Unicredit è stato in media del 94% negli ultimi quattro anni e al momento Cheuvreux (underperform e target price a 3,3 euro confermati sul titolo) stima un cost/income ratio, esclusa la ristrutturazione, del 100% per i prossimi due anni.
Se la notizia fosse confermata, Cheuvreux si dice pronta a rivedere le stime ipotizzando una discesa sotto il 90%, così che l’impatto positivo sull’utile netto del gruppo migliorerebbe circa del 3%.
Sulle base delle stime di questo broker, Unicredit quota a un p/e 2014 di 9,4 volte, a premio del 20% rispetto a Intesa Sanpaolo. Il più conveniente multiplo p/bv (0,6 contro 0,7 di Intesa Sanpaolo) di fatto sconta una redditività inferiore (media rote del 4% nel biennio 2013-2014 contro il 7% di Intesa). Per il 2013 Kepler (hold e target price a 4,4 euro) stima invece per Unicredit costi per 14,4 miliardi di euro, il 5,5% in meno rispetto al target della banca a 15,3 miliardi, e sotto a 14 miliardi nel 2015 (15,8 miliardi il target).
Tuttavia le stime di Kepler sono più caute sui ricavi e sugli accantonamenti, per cui il broker arriva a una stima di utile netto 2013 a 1,5 miliardi di euro, ben al di sotto (60%) dell’obiettivo posto dall’istituto a 3,8 miliardi.