Mario Gerevini, Corriee della Sera 31/1/2013, 31 gennaio 2013
Con quel nome sembra un dentifricio, invece è una mina finanziaria che viaggia fra decine di fondazioni bancarie, cooperative e fondi di investimento
Con quel nome sembra un dentifricio, invece è una mina finanziaria che viaggia fra decine di fondazioni bancarie, cooperative e fondi di investimento. Il Bond Fresh è un «pacco» da un miliardo di euro che arriva da Siena, mittente Banca Mps. È una parte della provvista messa insieme nel 2008 per acquistare Antonveneta da Abn Amro. Si sapeva soltanto che a sottoscrivere quel miliardo di titoli fin troppo innovativi era stata la Fondazione Mps per il 49%. Ma il resto? A chi l’avevano piazzato i collocatori Jp Morgan, Goldman Sachs e Mediobanca? È seguendo il flusso delle obbligazioni e i codici identificativi (spesso riportano solo la sigla di Bank of New York, l’emittente fiduciario) che si arriva nel portafoglio di molte fondazioni. Investitori istituzionali per eccellenza, hanno fatto sistema per aiutare la Fondazione Mps, allora aggrappata disperatamente alla maggioranza assoluta della banca. L’investimento era comunque allettante (rendimento pari all’euribor a tre mesi +4,25%), senza scadenza definita ma convertibile in azioni Mps. E poi si andava a rimorchio dell’ente proprietario della banca che «deve» essere remunerato. Una botte di ferro, apparentemente. È così che la Fondazione Cariparo (Cassa di risparmio di Padova e Rovigo), uno dei più importanti azionisti di Intesa Sanpaolo (4,2%) ha comprato titoli Fresh per 30 milioni e ora si trova una minusvalenza latente pari a due terzi. «L’investimento — afferma la Cariparo, interpellata — è stato consigliato alla Fondazione nell’aprile 2008 da Prometeia, a quel tempo consulente della Fondazione sull’asset allocation». La Fondazione Cassa di Gorizia ha portato in Friuli una tranche da 3 milioni che adesso ne vale uno; il presidente Franco Obizzi la prende con filosofia: «Era un investimento interessante. Dovrebbe esserci la possibilità di vendere i titoli sul mercato secondario ma le ultime transazioni sono avvenute a livelli molto molto bassi. Lo teniamo e aspettiamo tempi migliori». Il timing in effetti è stato micidiale: già nel 2008 il titolo (convertibile in azioni Mps) aveva perso il 45% (a settembre il crac Lehman). Ma ha sempre pagato le cedole fino all’anno scorso. Poi ad aprile 2012 basta, perché il bilancio 2011 si era chiuso in perdita (-4,6 miliardi). E qui c’è un passaggio fondamentale. Le cedole del Fresh vengono pagate solo se la banca corrisponde dividendi alle azioni. Ma la Fondazione Cariparo, ad esempio, afferma nei suoi documenti che la cedola del Fresh viene pagata (attraverso un flusso da Mps a Jp Morgan a Bank of New York fino agli obbligazionisti) se la banca distribuisce dividendi «o ha utili distribuibili risultanti dall’ultimo bilancio non consolidato sufficienti a coprire tale importo». Utili distribuibili: il che sembra configurare una categoria di serie A, quelli del Fresh, e poi gli altri se avanza qualcosa. Fantasie? Nel 2010 sul bilancio 2009 Mps pagò un dividendo di 0,01 euro alle sole azioni risparmio per una cifra totale ridicola: 188mila euro. Una scelta inspiegabile lì per lì. Ma così fece scattare la cedola da decine di milioni sul Fresh. E la Fondazione Mps ne incassò il 49%. Ora la festa è finita. Alla Fondazione di Piacenza e Vigevano avevano comprato una bella fetta del Fresh: 15 milioni. Poi ci hanno piazzato sopra un derivato su consiglio di Prometeia e controparte Jp Morgan. Quindi il «mostro» che oggi hanno in pancia a Piacenza è un inestricabile swap sul complicatissimo Fresh. La sostanza è che lo swap del Fresh ha 10 milioni di minusvalenza. La solidarietà toscana, ora che le cedole sono azzerate, rischia di costare cara alla Fondazione Cassa di Livorno (7,6 milioni di obbligazioni convertibili) e a quella di Pistoia (10 milioni) ma anche a Bologna la Fondazione del Monte si ritrova in casa 3 milioni di quel titolo, un po’ avariato più che Fresh. La Navale Assicurazioni del gruppo Unipol si prese 10 milioni. Poi piccole tranche sono finite in alcuni fondi di investimento dei gruppi Anima, Nextam Partners, Banca Finnat (New Millenium Sicav) e Banca Arner (Areion Fund). Ci sono dentro (poco) anche i notai con la loro ricchissima cassa e molte coop, secondo quanto si sente dire. Una volta erano tutti in serie A. Ora si portano dietro il peso di un titolo che già il nome ufficiale di battesimo doveva insospettire: «Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid Preferred Securities». Detto Fresh. Mario Gerevini