M. FEL., La Stampa 30/1/2013, 30 gennaio 2013
L’ACCANITO CACCIATORE DI LIBRI TRA PERLE E QUALCHE BUFALA
«Il rapporto con i libri comprende tutti i sensi. Dall’odore si può riconoscere pure il secolo di un libro, basta pensare alla spugna, alla cera che si passa, all’odore della polvere che si crea. E poi la vista: i dorsi con le incisioni in oro, i fregi particolari. La vista d’una biblioteca antica: come trovarsi di fronte a un monumento. Il tatto: la pergamena, il marocchino, il vitellino inglese, la carta vellutata, filigranata, giapponese...». Marcello Dell’Utri raccontò allo Specchio della Stampa (e lo ricordò un annetto fa Gianantonio Stella sul Corriere della Sera) il suo rapporto così fisico e così metafisico con i libri. Il celebre fiuto di cane da rarità di biblioteca non gli permise però di cogliere l’odore di marcio nei formidabili e ricorrenti doni che gli portava il direttore della Girolamini. Robetta così, un’edizione del 1577 del Trattato del governo de’ principi di San Tommaso d’Aquino, una del 1716 del De Rebus Gestis Antonii Caraphaei di Gian Battista Vico, opere di Leon Battista Alberti e di Giovanni Bernardo Gualandi. C’era anche, fra i gentili omaggi di Marino Massimo De Caro, un graditissimo volume di Giordano Bruno, stampato nel 1612: l’Artificium Perorandi. Dell’Utri, gli amici lo sanno, è uno dei più grandi collezionisti italiani di opere del filosofo diNola mandato al rogo nel febbraio del 1600. Un giorno spiegò che cosa si sente sulla punta delle dita, e nel profondo stomaco, quando si ha fra le mani un volume di Giordano Bruno: «Il pezzo più pregiato che ho è un’edizione del Candelaio. Mi costò parecchio ma fu un buon investimento. A Giordano Bruno do una caccia spietata: le sue opere sono quasi tutte bruciate con lui. Quelle rimaste hanno un sapore di ribellione e di verità che non si può comprendere senza un testo originale in mano».
Marcello Dell’Utri non riesce a stare lontano da guai. Nemmeno quando smette gli abiti dell’imputato perenne, o del politico disinvolto, per indossare quelli del bibliofilo raffinatissimo. Gira e rigira si prende o dà una sòla, ed è quello che è successo anche stavolta, perlomeno secondo la Procura di Napoli. Ma ci vuole niente a ricordare di quando il senatore recuperò il misteriosissimo capitolo mancante di Petrolio, l’ultimo lavoro di Pier Paolo Pasolini; lì dentro doveva esserci la spiegazione del suo assassinio e la prova del coinvolgimento di spie, servizi segreti e vari poteri forti. In realtà il capitolo non dice nulla e probabilmente (sostiene per esempio Emanuele Trevi, secondo all’ultimo Strega con Qualcosa di scritto, libro anche su Pasolini) è un falso. I due gaglioffi che glielo hanno procurato se la sono poi battuta per evitare grane (la questione, poiché Pasolini è stato ucciso, ha implicazioni penali). La pataccosa vincenda segue quella piuttosto nota dei diari di Benito Mussolini, che Dell’Utri annunciò di aver scovato nel 2007. Cominciarono a girare voci carbonare che avvalorarono l’ipotesi del colpo straordinario. Il senatore disse di averli acquistati dai figli d’un partigiano, di cui non fece il nome. La nipote, Alessandra Mussolini, dichiarò che quelle pagine le parevano proprio scritte dal nonno. Denis Mack Smith e Giovanni Sabbatucci e altri storici non nascosero la loro perplessità sinché un’inchiesta dell’Espresso dimostrò (o quasi) che era tutta spazzatura già scartata da Sotheby’s negli anni Novanta. A Dell’Utri parve brutto tenersi quel documento, e lo pubblicò da Bompiani con un titolo fra il suggestivo e il truffaldino: I diari di Mussolini (veri o presunti).
[M. FEL.]