Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 30/01/2013, 30 gennaio 2013
MPS, SE LO STATO CONTROLLASSE TEMPORANEAMENTE LA FONDAZIONE?
Il Monte dei Paschi di Siena (Mps) è costretto a chiedere un prestito di 4 miliardi allo Stato, dopo che nel novembre 2007 aveva comprato la Banca Antonveneta per un prezzo superiore quasi del 50% a quello, già elevato, al quale il venditore Banco Santander l’aveva a sua volta comprata solo pochi mesi prima. Si sospetta, per di più, che su tale prezzo abbiano gravato tangenti. È infine emerso che una serie di contratti derivati avevano natura molto diversa da quanto scritto nei bilanci e dichiarato a mercato, Banca d’Italia e Consob: servivano a nascondere perdite rinviandone la responsabilità a tempi (e amministratori) futuri. Ne derivano altre perdite di 700 milioni per gli azionisti.
Mps, nonostante la legge Ciampi lo vieti, è controllata dalla Fondazione Mps, facente capo alla politica senese che ha nel centrosinistra, ex Ds e Margherita, il riferimento. Nell’Italia dei cento campanili (e delle altrettante cupole), a queste forze si mescolano anche tracce robuste di massoneria. L’imminenza delle elezioni scatena la polemica politica, ma per uscirne bisogna cercare cause e conseguenze vere della vicenda.
L’acquisto di Antonveneta a prezzi altissimi poteva essere magari digerito se la crisi non fosse subito deflagrata, ma la crisi è arrivata. Alla radice dello scandalo ci sta non la perdita ma il suo occultamento. Anche Banca d’Italia e Consob poco possono contro la malafede di chi nasconde documenti nelle casseforti o nelle botole; lì non c’è difesa che tenga, anche se pare strano che chi gestiva Mps non si sia premunito informando la Fondazione degli accordi segreti ora emersi. Fermo che la politica non deve interferire con la gestione, il tema Fondazioni scalda gli animi; spazzarle via sarebbe irrealistico e pericoloso, ma consentire loro di concentrare tutto in una banca di cui hanno il controllo assoluto è proibito perché pericoloso: per la banca e per la Fondazione. Non deve più succedere.
I derivati in sé sono solo uno strumento che, a seconda dell’uso, può avere effetti benigni o letali; speriamo che il loro uso criminale sia raro, ma la loro flessibilità li rende ideali per posporre perdite o anticipare utili, smussando o falsando i conti di banche e aziende ovunque, non solo in Italia. Ci mettiamo, del nostro, una corruzione diffusa che trova solo flebili ostacoli nell’ambiente, facilitando la cresta a chi ha le mani in pasta, e magari se le lava «scudando» milioni, peraltro lasciati all’estero. Siamo fra i maggiori acquirenti di derivati incomprensibili dalle banche internazionali: perché più intelligenti, più sprovveduti, o più corrotti?
Se l’Italia di tutto ha bisogno tranne che di uno scandalo bancario, un mondo a questo avvezzo come la finanza non si sorprende troppo: pensa che così fan molti. Deutsche Bank e Nomura, controparti di Mps nei contratti sotto accusa, dicono di aver avuto assicurazioni che tutto era alla luce del sole. Dio sa se ne avevano bisogno: potrebbero presto accorgersi dei danni derivanti, anche ai loro nomi, dal non aver vegliato sui bonus di oggi che aprono falle nei conti di domani.
Specie in banche e assicurazioni, sono certamente in corso controlli accurati per scoprire eventuali altri casi simili; se la crisi durasse ancora a lungo, con il suo contorno di svalutazioni e conseguenti necessità di aumenti di capitale che il mercato non assorbe, ci potrebbero essere altre sgradite sorprese, ovunque nel mondo.
La Consob dovrebbe utilizzare il suo avanzato know-how per imporre agli emittenti titoli complessi di scomporli nei loro elementi costitutivi, fornendo una rappresentazione probabilistica dei loro rendimenti: nell’ultimo periodo, lo ha ricordato qui ieri Milena Gabanelli, ha fatto proprio il contrario, ma quanto ora emerso può portare a un operoso ravvedimento. Ognuno fa la sua parte; se le banche amano l’opacità che aumenta i margini, spetta alla Consob usare il disinfettante migliore, che è la luce del sole.
Per chiudere, ci si domanda se uno Stato che sta tenendo in piedi una banca altrimenti condannata non debba averne il controllo, estromettendo fin d’ora la Fondazione che ha concentrato tutto in una banca che non ha saputo controllare; tanto più che, se le cose vanno bene, allo Stato andrà un rendimento alto sì, ma limitato, ma se vanno male tutto il prestito potrebbe andare perso.
L’argomento è fortissimo, ma il nuovo vertice di Mps, in lotta contro il tempo, sostiene che il gruppo non va smembrato - cosa che lo Stato certo farebbe - e confida nel suo piano, prevedendo il ritorno di Mps alla normalità con restituzione del prestito. Se gli si vuole dare fiducia, andrebbero studiati mezzi per riequilibrare almeno in parte i pesi, ad esempio prevedendo la restituzione al salvatore di parte dell’utile eventualmente registrato dagli azionisti a seguito del salvataggio. Un’alternativa più radicale, che a tutta prima pare irrealizzabile ma che abili e volonterosi giuristi ben potrebbero confezionare, è che lo Stato occupi il piano di sopra (ormai vuoto), assumendo il controllo temporaneo di una Fondazione che ha così palesemente fallito la propria missione: sarebbe la logica conseguenza del fatto che il solo cespite di rilievo della Fondazione è una banca che senza lo Stato, sarebbe affondata.
Salvatore Bragantini