Danilo Mainardi, Corriere della Sera 30/01/2013, 30 gennaio 2013
L’ELEFANTINO CHE ACCAREZZA LA MADRE AVVELENATA
Dieci rarissimi elefanti pigmei sono stati trovati morti, perché avvelenati, nel settore indonesiano del Borneo. Un cucciolo, che non si rassegnava alla morte della madre, ha provato a risvegliarla accarezzandole la fronte con la proboscide. I pachidermi compiono una sorta di rito funebre nei confronti dei loro defunti. Ma, in questo caso, l’elefantino è stato colto impreparato e così ha dovuto acquisire, attraverso una dolorosa trafila, la nozione di cos’è un essere dopo la morte.
Gli elefanti sono animali intelligenti e sensibili. Imparano a cogliere la differenza tra un animale vivo e uno morto, e protraggono l’attaccamento affettivo per un familiare al di là della sua stessa esistenza. Così almeno sembra, considerando quella sorta di rito funebre che questi pachidermi compiono nei confronti dei loro defunti. Famiglie intere vi partecipano ed è così che normalmente i giovani apprendono i comportamenti rituali di ispezione di ciò che resta dei loro morti. Del tutto diverso è però il caso di questo elefantino, perché l’imprevedibile morte della madre l’ha di fatto colto impreparato. Eccolo dunque acquisire per personale esperienza, attraverso una dolorosa trafila, la nozione di cos’è un essere dopo la morte. Lo scopre immoto, che non risponde ai segnali, che diventa freddo, sempre più freddo. È allora che, pur non conoscendo il concetto, impara che la morte è per sempre. Finché non restano che ossa. E sono proprio queste che tornano a visitare, a ispezionare i gruppi di parenti. E chissà quali pensieri elabora la loro mente straordinaria. Il caso dell’elefante bambino è dunque per vari motivi diverso, ed è anche più triste, perché quel cucciolo sperimenta sconcerto e un dolore vivissimo, senz’altro pari a quello di una madre che perde il proprio figlio. Dolore di cui possiamo farci un’idea leggendo la vivida testimonianza di Joyce Poole dell’Amboseli Elefant Project: «Osservando la sua veglia funebre per la prima volta ebbi fortissima l’impressione che gli elefanti conoscano il lutto. Non potrò mai dimenticare l’espressione degli occhi, della bocca, del portamento delle orecchie, della testa, del corpo. Ogni parte esprimeva dolore».
Danilo Mainardi